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Tokayev, il presidente kazako che sogna l’autonomia da Mosca

Brillante diplomatico e abile politico, il presidente del Kazakistan Kassym-Jomart Tokayev si sta dimostrando un osso duro per le ambizioni di Mosca in Eurasia. Che già pensa di fare del Paese centro-asiatico la seconda vittima illustre del nazionalismo russo.

Una vita da enfant prodige

Nato da uno scrittore, veterano di guerra nella Grande Guerra Patriottica, e con una madre impiegata nell’Istituto di lingue straniere di Almaty, il giovane Kassym-Jomart ha deciso di intraprendere una carriera che mettesse insieme le due culture dei genitori. Le relazioni internazionali, disciplina prismatica e richiedente una buona dose di lungimiranza, hanno portato il futuro presidente kazako a studiare nel famoso MGIMO, l’Istituto statale di Mosca per le relazioni internazionali. Avvicinatosi all’amministrazione sovietica, trascorre un semestre in Cina presso l’ambasciata sovietica di Pechino, venendo successivamente assunto dal ministero degli Affari esteri sovietico nel 1975, per conto del quale si trasferisce presso l’ambasciata sovietica di Singapore.

La profonda conoscenza degli affari asiatici ha portato il giovane Tokayev a trasferirsi di nuovo a Pechino e, da lì, ad iscriversi all’Accademia diplomatica del ministero degli Affari esteri dell’URSS proprio nel momento in cui iniziava a scricchiolare l’architettura sovietica, nell’oramai lontano 1991. L’anno successivo viene nominato viceministro degli Affari esteri e, dopo soli due anni, assume la guida del dicastero. Nel 1999 viene nominato vice-Primo ministro e dopo pochi mesi assume la guida dell’esecutivo, incarico mantenuto fino al 2002. Ha assunto di nuovo, poi, la funzione di ministro degli Affari esteri e, contemporaneamente, quella di Segretario di Stato, fino alla nomina di presidente del Senato. Nel 2011 è diventato Direttore generale della rappresentanza delle Nazioni Unite a Ginevra, fino a giungere alla nomina, nel 2019, alla carica di Presidente della Repubblica, dopo un breve ritorno alla presidenza del Senato.

Da ombra di Nazarbayev a rottamatore professionista

La nomina di Kassym-Jomart Tokayev alla presidenza della Repubblica, per la verità, è arrivata come un fulmine a ciel sereno. Il primo presidente Nursultan Nazarbayev, in sella da quasi trent’anni, non ha mai lasciato trapelare le reali ragioni delle proprie dimissioni. Secondo molti analisti, tuttavia, dietro a questa scelta ci sarebbe stata la volontà di guidare, e non subire, il passaggio di consegne e di influenzare dall’ombra la transizione che Tokayev avrebbe messo in campo senza il rischio di una rivoluzione colorata. L’Asia centrale è un territorio prono alle defenestrazioni dei propri leader, per cui l’Elbasy, come viene chiamato Nazarbayev in Kazakistan, ha avuto l’idea di scegliere il momento più adatto per ritirarsi dalla vita politica attiva. Ciò non ha significato, tuttavia, che il Paese si sia liberato dalla rete di lacci e lacciuoli creati dal clan dell’ex presidente e che drenavano ingenti risorse economiche nelle tasche di personalità vicine a Nazarbayev. Lo stesso presidente uscente si è peritato di assicurarsi la posizione di presidente del Consiglio di sicurezza del Kazakistan, ruolo chiave nella vita del Paese, ed ha lasciato sua figlia Dariga alla presidenza del Senato. Chiaro segno che il clan Nazarbayev sarebbe tornato in posta non appena fossero scaduti gli anni di presidenza di Tokayev. Ma così non è stato.

Tokayev ha indetto le elezioni poco dopo la sua nomina per suffragare la propria leadership nel Paese, avviando contestualmente una serie di riforme che avrebbero dovuto traghettare lo Stato centro-asiatico nella modernità. Liberalizzare l’economia, favorire la partecipazione politica e migliorare la situazione dei diritti umani sono state le principali misure messe in campo dal presidente, che tuttavia ha dovuto scontrarsi con la frammentazione del Kazakistan in diversi clan e con la presenza di significative minoranze etniche. La stessa persistenza di Nazarbayev e di sua figlia nella vita pubblica kazaka hanno limitato lo spazio di manovra del nuovo presidente, che come segno di fedeltà al proprio predecessore ha deciso di rinominare la capitale Astana in Nur-Sultan. Il supporto popolare, tuttavia, complice anche una situazione economica complicata, è iniziato a vacillare e Tokayev è stato visto sempre più come un prestanome del sempreverde Nazarbayev.

Ciononostante, nel corso degli anni il presidente ha saputo dimostrare la propria indipendenza politica dal predecessore, innanzitutto depotenziando la figura di Dariga Nazarbayeva, rimossa nel 2020 dalla carica di presidenza del Senato. Il “Gennaio di sangue” del 2022, poi, ha spianato la strada a Tokayev per la rimozione di Nazarbayev e del suo clan dalla maggior parte dei ruoli chiave nello Stato, sia politicamente che nell’economia. Pur non assumendo i tratti di un’epurazione vera e propria, questa mossa segue la scia della volontà popolare espressa durante le contestazioni, rivolte principalmente contro l’Elbasy e non contro il presidente in carica.

La Russia affila gli artigli contro l’alleato

Se in patria le cose per Tokayev si mettono relativamente bene, dopo l’esautorazione del clan Nazarbayev e l’avvio di ulteriori riforme volte, tra l’altro, alla limitazione dei poteri del presidente, le relazioni tra Nur-Sultan e Mosca appaiono piuttosto fredde. Questa è iniziata come una politica che doveva viaggiare sul solco multivettoriale creato da Nazarbayev, sostanziata in un’integrazione eurasiatica, nel dialogo privilegiato con la Russia e con la Cina, ma anche in un’apertura all’Occidente. Negli anni, tuttavia, Tokayev ha messo sempre più in ombra il ruolo moscovita negli affari del Paese, privilegiando Pechino e l’Occidente. 

Quanto accaduto negli ultimi mesi è sintomatico di uno stato delle relazioni bilaterali russo-kazake deteriorato. Nel “Gennaio di sangue” Nur-Sultan si è vista riconosciuta lo status di Paese too big to fail da parte non solo russa, ma di tutto il CSTO, accorso per sostenerla e scendendo per la prima volta in campo a difesa di un alleato in difficoltà per questioni interne. L’ordine di far ritirare le forze dal suolo kazako subito dopo la stabilizzazione del Paese e la ferma volontà di non cadere sotto il giogo russo, tuttavia, non sono sfuggiti a Mosca, che più volte ha lasciato intendere, sia attraverso canali ufficiali sia non ufficiali, di considerare il proprio vicino meridionale come nient’altro che un’appendice della Russia, da riportare nell’alveo del cosiddetto Russkij Mir, o mondo russo.La guerra russo-ucraina esplosa a febbraio, infine, ha segnato il de profundis delle relazioni russo-kazake, con il Paese centro-asiatico in disaccordo quasi su tutto rispetto al suo alleato settentrionale, che invece si aspettava riconoscenza per l’aiuto fornito un mese prima e supporto materiale per condurre l’invasione. Quando l’economia kazaka, tra marzo e aprile, è stata toccata di rimbalzo dalle sanzioni alla Russia, Tokayev ha deciso di agire da battitore libero e iniziare a dialogare con l’Occidente senza tener conto della guerra commerciale mossa da quest’ultimo al suo storico alleato. Dimostrandosi disponibile a calmierare il prezzo dell’energia sul mercato europeo attraverso le esportazioni del proprio greggio, Nur-Sultan si è messa definitivamente di traverso rispetto alla strategia di Mosca di stritolare gli europei lasciandoli senza gas questo inverno. Attirandosi le prime reazioni russe che hanno colpito le infrastrutture energetiche sul suolo russo, essenziali per trasportare la stragrande maggioranza delle risorse energetiche del Kazakistan verso ovest. La risposta kazaka non si è fatta attendere, avviando un dialogo serrato con l’Azerbaigian per realizzare un oleodotto transcaspico e per incrementare il traffico di petroliere con l’Iran. Complice la distrazione della Russia nelle sabbie mobili ucraine, Tokayev ne ha approfittato per rivoltarsi apertamente contro il suo storico alleato, come visto nel corso dello SPIEF. Le reazioni russe potrebbero fare del Kazakistan una seconda Ucraina, una volta conclusasi la guerra ad occidente. La posta in gioco per Mosca è troppo alta.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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