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The food migration: che mondo sarebbe senza migrazioni?

Chi è il migrante? Cosa indica la parola migrante?

Le opinioni sono discordanti e confuse. Partendo dal logico presupposto che la parola non sia altro che il participio presente del verbo “migrare”, ci sarebbe poco da dubitare.

Comprensibile, tuttavia, la difficoltà nell’includere tra i “migranti” il ricco imprenditore che si trasferisce in Svizzera per lavoro o l’anziano signorotto che decide di passare gli ultimi anni della sua vita alle Bahamas. Migranti, a prescindere dalla loro posizione sociale, dalla loro condizione economica, dalla loro nazionalità. Se non è dunque immediato, ed è anzi sbagliato, il nesso con i termini “profugo”, “rifugiato”, “richiedente asilo”, “clandestino”, “sfollato”, “extracomunitario” (termine svuotato di significato con la nascita dell’Unione Europea), quali sono le caratteristiche del migrante?

La mancanza, l’assenza di qualcosa che si ritiene soggettivamente necessario. Questa generica indicazione si può addurre alla mancanza di diritti umani, di lavoro, di affetti, di stimoli, mancanza di tutto ciò che può mancare a una persona. È proprio da questa necessità “altra” che inizia la ricerca, a volte affannosa e a volte piacevole, di ciò che non sempre il luogo d’origine ci offre e di ciò che non è produttivo attendere “ci caschi dal cielo”. Il movimento, il migrare, non è solo un’opportunità, ma come molti filosofi affermavano è vita e sarebbe svilente e contraddittorio concepirlo come un concetto negativo.

Se poi ci si deve “muovere”, non lo si può che fare all’interno di uno spazio e maggiore è lo spazio, maggiore diventa la libertà: di restare, di partire, di tornare, di continuare a viaggiare. Ragionandovi a lungo, ho dunque ritrovato questo percorso concettuale (mancanza-ricerca-movimento-spazio-libertà), sepolto da anni di sterili disquisizioni, di errori, di stereotipi e pregiudizi, di cattiva informazione in cui ero rimasta io stessa ingabbiata. Non è stato dunque così agevole scoprire che la parola migrante, beh, è proprio una bella parola.

Dalla volontà di fare chiarezza e proporre una lettura positiva e (a mio parere) più veritiera del termine nasce l’idea della Food Migration. Da quante parti del pianeta deriva ciò che mangiamo? Non mi riferisco certo a strani frutti esotici, ma agli ingredienti più utilizzati come per esempio il sale o il cacao. La nostra ricca cultura culinaria è anch’essa prodotto delle migrazioni che, volontariamente o meno, portano sempre qualcosa con sé. Parafrasando un noto slogan pubblicitario: che mondo sarebbe senza migrazioni ?

 

Nadia Bedhaminou per “Segnali di Fumo – il magazine dei diritti umani”

Foto: I dit for the lulz/Flickr

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