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Telecom diventa spagnola. E chi se ne frega

Apriti cielo. Tragedia. Gli spagnoli si portano a casa Telecom e, a sentire i nostri bigotti variamente colorati, questo equivarrebbe alla fine del mondo.

Che poi non sai proprio così; che Telefonica si limiti a diventare il socio di maggioranza di Telco, che possiede solo un quarto di Telecom, poco importa. Quel che davvero conta è essere in prima fila a sventolare, un po’ tardivamente, il tricolore.

Guarda valuta e vigila, il buon Enrico Letta, che perlomeno ricorda come ormai Telecom sia un soggetto privato e che, come tale, può essere acquistato dal miglior offerente senza dover chieder permesso a nessuno. Il piddino Martella, chiede spiegazioni al governo. Di cosa, poi? Gli spagnoli han tirato fuori il grano e han comprato. Punto. Grillo chiede che siano usati i fondi per la Tav per mandare a monte l’affare; i suoi vogliono che si apra una commissione d’inchiesta. E si sa che una bella commissione fa sempre bene.

Ovvio che alzino lamenti anche le prefiche del Pdl. Barbara Saltamartini dichiara: “Non si può restare inermi a guardare”. Sì, giusto; incateniamoci alla ruota del telefono di nonna. Non fa mancare la sua commozione Niki di Puglia. “In questo paese è latitante qualunque politica industriale”, dice Narcisismo & Logorrea “e i guai provocati sono sotto gli occhi di tutti”.

E chi se ne frega, invece. Chi se ne frega di chi sia il padrone di Telecom, esattamente come non dovrebbe importare a nessuno chi è il padrone di Alitalia. Importano, ai cittadini e alle imprese, la qualità ed il prezzo del servizio reso. (E da cliente Telefonica, lasciatevelo dire, non è che si vada a migliorare granché). La politica, anziché occuparsi di quel che non dovrebbe essere affar suo, badi a questo: a che il mercato sia davvero libero e a che i diritti dei consumatori siano tutelati. Qualcosa che finora ha fatto pochissimo e malissimo o non ha fatto del tutto.

E che risate, a sentir parlare di “politica industriale”, come se fosse qualcosa di separato dalla politica senz’altro. Come se tra le cause del nostro disastro non vi fossero una burocrazia farraginosa e parassitaria, una legislazione fiscale assurda, l’inefficienza dei più elementari servizi, dalle poste ai trasporti merci su rotaia, il ritardo tecnologico delle nostre reti infrastrutturali …

Che risate, se la Commissione europea non si trovasse davanti, domani, un rapporto secondo il quale la competitività dell’industria italiana sta diminuendo (unica in Europa, assieme a quella finlandese) mentre la de-industrializzazione, da noi, avanza più celermente che negli altri paesi.

Abbiamo un paese dalle potenzialità enormi che sta morendo per la sua incapacità di cambiare. Perché le nostre categorie stanno abbarbicate allo scoglietto dei propri micragnosi privilegi. Perché il settore pubblico serve solo in minima parte a produrre servizi per i cittadini. Perché troppa della nostra imprenditoria ha pensato di poter continuare a fare quel che ha sempre fatto, con investimenti minimi , limitandosi a rispondere alla nuova concorrenza internazionale con la diminuzione del salario reale dei propri dipendenti. Sì: una Confindustria di geni che, con la complicità dei peggiori sindacati d’Europa, ha raggiunto l’ammirevole risultato di accoppare il proprio mercato. Il vecchio Ford, quando l’ha saputo si è messo a fare la trottola nella tomba.

Un paese, soprattutto, che non ha saputo darsi una classe politica decente. Anzi, una classe politica. Quella che si spaccia per tale, e adesso chiede commissioni d’inchiesta, per capire che c’è che non va dovrebbe solo guardarsi allo specchio.

 

Foto: Wikimedia

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.162) 25 settembre 2013 11:09

    Concordo con l’Articolista soltanto nella parte in cui il centro del problema è individuato in un ceto politico indecente (vuoi per inettitudine, vuoi per interessi personalistici).Ma, a parte quelli del "privato è bello" (a convenienza, s’intende) è così difficile capire che in una Unione Europea politicamente e democraticamente inesistente gli stati-nazione hanno ancora assoluto bisogno di aziende strategiche che, va da sé, devono essere a prevalente capitale pubblico?

  • Di Daniel di Schuler (---.---.---.6) 25 settembre 2013 11:50
    Daniel di Schuler

    Tutto dipende da cosa si considera sia strategico.Strategica potrebbe essere la rete telefonica; non lo è certo la sua gestione. Mi permetto di osservare che la vecchia Sip, interamente pubblica, garantiva un servizio pessimo (basta pensare ai tempi d’allacciamento) per tariffe salatissime. E quanto ad Alitalia, meglio neppure parlarne. 

    • Di (---.---.---.162) 25 settembre 2013 12:53

      Purtroppo l’ennesima anomalia di una democrazia liberale incompiuta (quella italiana) costringe ancora a ragionare nell’ambito (ristrettissimo) della scelta fra "mangiatoie politico-partitiche" e "mangiatoie private" . Non è infatti inusuale, nel nostro Paese, assistere o a privatizzazioni di facciata che, di fatto, non mutano il precedente regime monopolistico (si veda alla voce: Poste Italiane S.p.A.) od ad aziende/imprese/società private che "spolpano" gli utenti con attività di esasperata (e occulta) lobbing e/o con patti di cartello (vedasi alle voci: banche, assicurazioni, società petrolifere). 

  • Di Persio Flacco (---.---.---.4) 26 settembre 2013 00:16

    Nessuna tragedia: gli utili vanno in Spagna invece che in Italia. Tutto qui.

  • Di (---.---.---.160) 29 settembre 2013 11:17

    L’unica cosa che veramente mi preoccupa è che a forza di acquisizioni estere la nostra insipiente ed incapace Banda Bassotti( destra , sinistra, avanti e indietro ) non potra’ piu’ piazzare gli amici degli amici con le solite laute prebende et pensioni di platino avallate dalla Cassazione!

  • Di (---.---.---.195) 29 settembre 2013 22:38

    anche eventuali perdite vanno in Spagna invece che in Italia. Si chiama mercato!


    Comunque a parte gli slogan non é possibile che ci si lamenti sempre che nessuno investa in Italia, poi quando si trova uno abbastanza fesso da farlo glielo si voglia impedire.

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