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Tango a Buenos Aires

I puri rituali erotici del ballo voluttuoso scandiscono dall’eternità la vita nei sobborghi di Buenos Aires.

L’Argentina, terra di immigrazione, a cavallo tra due secoli, ha generato miseria, risentimento, tristezza nei “guachos de la Plata” che modulano nei passi languidi, a tratti nervosi, ritmicamente cadenzati del tango, frustrazioni esistenziali.

Danza dall’etimologia ignota, racchiude l’anima etnica delle rive assolate del Parana, tra le radure fertili e sconfinate della Pampa e i quartieri stanchi e desolati della capitale.

“Un pensiero triste che si balla”, il tango rappresenta l’arte di una terra risultato di ibridazioni etniche secolari.

Nuovo senso di danza che non ammette “pose”, ma risulta rabbiosamente “non decorativa”, giocando tra luci ed ombre, spiazzando consuetudini di logiche spaziali e inseguendo verità più che certezze.

Dove il corpo dell’altro è un semplice oggetto e il puro contatto non permette di trascendere la brutale solitudine, la metafora dell’atto sessuale è doppiamente triste poiché aggrava nell’uomo sofferenze recondite.

Il perverso meccanismo spiega la fondamentale melanconia del tango legato a scoramento, rancore, minaccia e sarcasmo intrisi di risentimento erotico e di tortuose manifestazioni del senso di inferiorità del “nuevo” argentino.

Il “machismo” è un tratto caratteristico del porteno, per cui il sesso è la forma primaria di potere.

Lascivi e stanchi, torridi e generosi di forme, i corpi danzanti e i giochi pittorici dei chiaroscuri della penombra esotica, da cui emanano ambientazioni di un sud profondo, rovente, melanconico, si irretiscono in ansiose, brutali cadenze in movimento, troncando l’inesorabile trascorrere del tempo nel pensiero porteno la cui frustrazione di sogni, nella morte finale, rivela il tragico epilogo.

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