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Tagikistan, poliziotto condannato a sette anni per aver torturato un minorenne

 

Da quando, a marzo, il Tagikistan ha introdotto nella legislazione interna il reato di tortura, le autorità giudiziarie del paese centroasiatico pare vogliano fare sul serio.

Per la prima volta, giovedì scorso il tribunale del distretto di Yavan, nella regione di Khatlon, ha applicato l’articolo 143.1 del codice penale, condannando un ispettore di polizia a sette anni di carcere per aver torturato, ad aprile, un ragazzo di 17 anni. Il tribunale ha anche stabilito un risarcimento di 1619 somoni (circa 260 euro) per coprire i costi delle cure mediche cui la vittima ha dovuto sottoporsi.

Il ragazzo, il cui nome è noto ad Amnesty International che ne protegge la privacy, era stato arrestato il 27 aprile a Yavan perché sospettato di furto. Era stato picchiato per indurlo a confessare e poi rilasciato. Il giorno dopo era stato riconvocato nella stessa stazione di polizia per un altro pestaggio. Tornato a casa, il 29 aveva tentato il suicidio. Ricoverato in ospedale, gli esami effettuati avevano confermato la presenza di gravi lesioni.

Oltre a essere riconosciuto responsabile di atti di tortura, l’ispettore di polizia è stato anche giudicato colpevole di “abuso di potere”, ai sensi dell’articolo 316 del codice penale e sospeso da ogni incarico presso il ministero dell’Interno per cinque anni.

Secondo il viceprocuratore generale Habibullo Vokhidov, nei primi sei mesi del 2012 sono state presentate 17 denunce di tortura. Su sei di queste sono state aperte indagini: una per tortura, le altre (risalenti al periodo precedente l’entrata in vigore della legge contro la tortura) per “abuso di potere”.

L’Italia deve prendere esempio dal Tagikistan. Mentre il tribunale di Yavan emetteva la sua condanna, la Commissione Giustizia del Senato aveva appena approvato, con quasi un quarto di secolo di ritardo, un disegno di legge per introdurre nel nostro codice penale il reato di tortura. Ne abbiamo parlato venerdì in questo blog. Quando l’Italia ratificò la Convenzione delle Nazioni Unite sulla tortura, che quel reato obbliga a prevedere, il Tagikistan non era neanche uno stato indipendente. Correva l’anno 1988.

Nessun paragone sulla diffusione della tortura in Tagikistan e in Italia. In questo blog non facciamo classifiche sulle violazioni dei diritti umani. Ma un confronto è doveroso, e imbarazzante per l’Italia, sulla capacità dei parlamenti dei due paesi di porvi rimedio nel tempo. Così come non è affatto inutile una riflessione su quanta differenza faccia, nei procedimenti giudiziari, la previsione o meno del reato di tortura nel codice penale.

Chi volesse contribuire a incalzare le autorità italiane a colmare il ritardo, può unire la sua alle oltre 10.000 firme già poste in calce all’appello di Amnesty International.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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