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Sviluppo sostenibile: fra strumentalizzazioni, impegni europei, sen, sussidi alle rinnovabili e carbone

Intervista di Orizzontenergia all'Ing. Giuseppe Girardi, Vice Presidente SOTACARBO
Dirigente di Ricerca, Coordinatore Impiego Sostenibile dei Combustibili Fossili, ENEA

Negli ultimi anni si sente sempre più spesso parlare di scelte energetiche per lo Sviluppo Sostenibile del Paese. Ma in termini pratici questo che cosa significa?

Lo sviluppo sostenibile fu introdotto nel rapporto “Our Common Future” del 1987 come uno sviluppo in grado di assicurare «il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri». Il concetto, definitivamente lanciato alla Conferenza di Rio su ambiente e sviluppo del 1992, mette in stretta relazione tre aspetti di fondamentale importanza: quello economico, quello ambientale e quello sociale.

Parlando di sviluppo sostenibile si evoca un approccio multidisciplinare la cui ultima finalità prevede, fra l’altro, di interrompere il degrado del patrimonio e delle risorse naturali (che di fatto sono esauribili) ed un loro utilizzo più efficiente anche per meglio controllare e ridurre sempre più il carico verso l’ambiente in termini di emissioni in atmosfera.

Se prendiamo in considerazione il fattore umano, il traguardo da raggiungere è l’aumento equo del tenore di vita dell’intera popolazione del Pianeta che, guardando al tema energetico, vuol dire sia sicurezza di approvvigionamento delle fonti e disponibilità di elettricità, sia solidità dei sistemi industriali. Come si vede è un tema che afferisce agli economisti, e dunque la questione dello sviluppo sostenibile non è da considerarsi come un concetto astratto e “filosofico”. 

Focalizzando l’attenzione sul tema energetico, un importante documento europeo al quale fare riferimento è il noto Libro Verde - Un quadro per le politiche dell’energia e del clima all’orizzonte 2030, presentato lo scorso marzo al Parlamento Europeo e sul quale si sta ancora discutendo. In esso si affronta il tema della sostenibilità vista come la sintesi tra sostenibilità ambientale, sicurezza degli approvvigionamenti energetici e competitività economico-industriale. Nello specifico, il tema ambientale ha a che fare con la riduzione delle emissioni in atmosfera, sia di inquinanti che – principalmente – di anidride carbonica, la riduzione del consumo di energia e quindi l’efficienza energetica, ed ovviamente lo sviluppo delle rinnovabili. 

Parlando invece di sicurezza degli approvvigionamenti energetici, bisogna guardare alla diversificazione delle fonti di energia, sia per quanto riguarda le regioni d’origine che la logistica.

Un altro aspetto da non sottovalutare riguarda la stabilità delle reti e la risoluzione degli attuali problemi legati all’intermittenza e alla variabilità dell’energia elettrica prodotta dalle fonti rinnovabili. Questo richiama quindi l’esigenza di adeguare le infrastrutture. Infine, la competitività comporta ad esempio l’abbassamento dei prezzi dell’energia, lo sviluppo di nuove tecnologie, la creazione di nuovi posti di lavoro, il sostegno alle politiche industriali ovvero l’aumento dell’efficienza tecnologica. .

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Giuseppe Girardi
Giuseppe Girardi - Vice Presidente SOTACARBO Dirigente di Ricerca, Coordinatore Impiego Sostenibile dei Combustibili Fossili, ENEA

Digitando sul web le parole "Sviluppo Sostenibile" compaiono schermate di immagini dal colore verde per lo più legate al concetto di ambiente. La figura dell’uomo non compare. Cosa ne pensa in merito?

Purtroppo, negli ultimi decenni, il concetto di sviluppo sostenibile è stato spesso strumentalizzato e divulgato in maniera parziale. Ad oggi vi sono infatti diverse interpretazioni di tale concetto, che non rispecchiano appieno il suo senso vero ed il significato che ne danno gli economisti: le reali finalità sono quelle di governare in maniera equilibrata e sinergica le tre complessità del sistema prima citate. 

In svariati casi l’attenzione è univocamente rivolta all’ambiente, oscurando prepotentemente gli aspetti economici e sociali; sul fronte opposto si condizionano le scelte alla sola “sostenibilità economica”. Insomma, oggi tutti parlano di sviluppo sostenibile con accezioni anche contrapposte. Esemplare è il “Caso Ilva”. Non bisogna affatto abbassare la guardia sul fronte ambientale, anzi lì bisogna intervenire ripristinando addirittura la legalità, ma sicuramente bisogna tener in debito conto le drammatiche implicazioni sociali ed economiche, legate quest’ultime al mantenimento di un settore strategico come quello della siderurgia ed al suo potenziamento. In generale penso che forzature univoche ed estremizzazioni dal punto di vista ambientale non portano alla risoluzione dei problemi, specialmente quelli ambientali.

A suo parere quali sono gli aspetti positivi/negativi delle politiche di sussidi attuate a sostegno delle FER? In Italia sono state fatte scelte giuste?

Anche in questo caso assumerei come riferimento dei documenti europei. In primis la Roadmap dell’energia al 2050 che pone come target europeo la riduzione entro il 2030 delle emissioni di gas serra del 40% rispetto ai valori del 1990 per poter conseguire una riduzione dell’80-95% entro il 2050, in linea con l’obiettivo concordato a livello internazionale di limitare il riscaldamento globale a 2º C. Ciò a partire dai ben noti Obiettivi 20-20-20 da conseguire entro il 2020: riduzione del 20% delle emissioni di CO2; aumento al 20% della quota di fonti rinnovabili nella copertura dei consumi finali; riduzione del 20% dell’utilizzo dell’energia / incremento in termini di efficienza

Premesso che quello sulle fonti rinnovabili è un obiettivo sul quale non si può tornare indietro e metterlo in discussione significherebbe estraniarsi da un cammino di sviluppo tecnologico che rappresenta il futuro di molti Paesi, ci sono anche altre considerazioni da fare. Negli scorsi giorni il Presidente Obama ha rilasciato due interventi forti. 

Il primo nel quale ha consolidato la volontà degli Stati Uniti di puntare sul gas naturale ed in particolare sulle enormi riserve del cosiddetto shale gas, dal momento che tale fonte, negli USA, costa molto poco (ad esempio circa un quinto di quanto costa in Europa); non è un caso che già nel 2012 una progressiva sostituzione del carbone con tale fonte decisamente molto meno onerosa, ha consentito un incremento (valutato in un punto) del PIL della Nazione.

Accanto a questo gli USA si propongono di puntare fortemente anche su efficienza energetica e rinnovabili. In questo caso la politica energetica americana, nella decisione di ridurre l’uso del carbone per la generazione di energia elettrica, ha sostanzialmente perseguito un obiettivo economico, di riduzione dei costi; e, insieme alla spinta sulle rinnovabili, consentirà all’industria americana di essere più competitiva sul mercato globale dell’impiantistica energetica dei prossimi anni e decenni. L’oggetto del secondo intervento è invece stato il cosiddetto progetto Africa Power, tramite il quale verranno messi a disposizione del continente africano 14 miliardi di dollari - tra fondi pubblici ed investimenti privati - allo scopo di adeguarne le infrastrutture ed impedire al Paese di seguire le stesse traiettorie inquinanti seguite dall’Occidente. 

Ne consegue la promozione dello sviluppo di tecnologie USA vendibili sul mercato internazionale, in preparazione di eventuali inasprimenti futuri delle normative internazionali sulle emissioni. Anche in questo caso le scelte effettuate sono dettate da ragioni di competitività sul mercato. L’aspetto competitività non va quindi sottovalutato né nel settore dei combustibili fossili né in quello delle rinnovabili, in particolare guardando al mercato globale. 

L’Italia nel sostegno alle FER ha scelto di prendere ad esempio la Germania, dove le politiche di sussidio economico alle rinnovabili ne hanno favorito la diffusione ed allo stesso tempo hanno posto le basi per lo sviluppo di un industria nazionale. Questo è quello che è avvenuto in Germania.

Purtroppo in Italia nonostante gli ingenti incentivi erogati alle rinnovabili – per le quali vi è stato di fatto un inaspettato boom di applicazioni – questi non hanno portato allo sviluppo di un’industria di qualità. A trarne vantaggio sono invece state le finanziare e i fondi d’investimento, con speculazioni a volte di portata davvero enorme. È stata fortemente criticata la politica deli incentivi in Italia. Io penso che vada criticato il loro uso irrazionale: essi hanno un senso, e possono svolgere una funzione essenziale per la competitività (vedi Germania), purché il processo sia ben governato nella sua complessità.

Un aspetto della complessità è rappresentato dalla inadeguatezza della nostra rete a gestire un carico così importante di energia intermittente: è un problema enorme, che non può essere sottovalutato. Questo si lega all’articolazione del nostro parco di centrali termoelettriche e alla necessità di tenerlo in considerazione per gestire il processo di transizione ad un nuovo assetto della produzione verso una società sempre meno basata sul carbonio: in sintesi, non si può pensare solo alle FER senza tener conto del contesto. Nel nostro Paese, l’inattesa penetrazione delle rinnovabili nella rete, per effetto delle priorità di dispacciamento, ha infatti condotto ad una crisi di diversi impianti termoelettrici, con una sensibile riduzione del loro funzionamento medio annuo. Basti pensare che i parchi termoelettrici a gas di Enel si attestano in media al di sotto delle 2.000 ore annue. Ciò sta comportando una profonda crisi di quel settore, anche occupazionale.

Detto ciò, cosa ci prospetta il futuro dell'Italia? Anche in relazione all'utilizzo del carbone per la generazione elettrica?

Per effetto della politica americana che si è rivolta alle riserve di shale gas, si sono resi disponibili sul mercato internazionale quantitativi di carbone elevatissimi. Conseguenza diretta è stata la diminuzione del costo del carbone in Europa (specialmente in relazione al gas naturale), tant’è che nel 2012 vi è stato un vero e proprio boom nella realizzazione di tali impianti. Considerando inoltre l’attuale andamento di mercato (che dovrebbe mantenersi similare anche nei prossimi decenni), è ragionevole pensare che sul piano economico gli impianti a carbone potranno costare meno di quelli alimentati a gas naturale. Naturalmente ciò non vuol dire, a mio parere, che il nostro Paese debba puntare maggiormente sul carbone, ma piuttosto occorre mantenere stabile la quota di elettricità proveniente da esso, come previsto dalla SEN (Strategia Energetica nazionale). In sintesi, non penso che occorra aumentare il parco impianti a carbone, ma un retrofitting o sostituzione di quelli vecchi sì.

Per sostenere tale settore bisognerebbe pensare ad interventi di miglioramento tecnologico utili ad abbassare i costi ed ottenere energia più pulita. Due le vie: una è quella dello sviluppo di tecnologie che siano allo stesso tempo più efficienti e meno inquinanti, le cosiddette HELE – High-Efficiency, Low-Emissions; l’altra è quella delle CCS – Carbon Capture Storage. Entrambe rappresentano un’opportunità enorme.

Se una delle priorità a livello globale è quella di produrre energia elettrica“pulita” e a basso costo, è necessario puntare – specialmente per noi italiani – alla innovazione degli impianti guardando ai costi di generazione, e alle emissioni (tecnologie HELE e CCS) per mantenere la competitività complessiva del nostro sistema industriale in ambito internazionale: non possiamo permetterci il lusso di perdere anche il settore dell’impiantistica energetica, destinato ad essere profondamente mutato sotto la spinta, appunto, delle tendenze internazionali e delle politiche energetiche praticate da aree strategiche (Cina e India in primis) che continueranno ad impiegare per svariati decenni combustibili fossili ed in particolare carbone.

Qual è lo scenario internazionale attuale della cattura e sequestro della CO2, particolarmente in relazione alla generazione elettrica da carbone? Quando e in base a quali condizioni questa tecnologia troverà applicazioni industriali?

Posso dire di avere un quadro abbastanza completo di quanto sta accadendo in questo settore, essendo delegato italiano nel Working Party sui Combustibili Fossili dell’IEA, nel Carbon Sequestration Leadership Forum e nel gruppo europeo del Set Plan sulle iniziative industriali CCS. In primis va detto che l’obiettivo che ci si pone è quello di rendere utilizzabile industrialmente le CCS a partire dal 2030. Per questo occorrono non solo molta ricerca e sviluppo, ma anche impianti dimostrativi su scala industriale dotati di questa tecnologia, affiancati ovviamente ad un’opportuna normativa ed interventi politici: da quest’ultimo punto di vista sono d’esempio la Carbon Tax norvegese sulle emissioni di carbonio piuttosto che l’ETS europeo, ma ovviamente è necessaria una normazione internazionale abbastanza omogenea.

Vorrei ribadire che in un’ottica di raggiungimento dei citati target europei di riduzione delle emissioni al 2050, occorrono comunque interventi “a ventaglio”, che consentano in primo luogo di incrementare le rinnovabili e l’efficienza energetica ma anche di introdurre la tecnologia delle CCS che può contribuire per almeno il 20% al conseguimento dell’obiettivo. Occorre, però, superare gli attuali limiti, ovvero quello dei costi e quello dell’accettabilità sociale. Partiamo dal primo limite. Come emerso da un recente studio effettuato dalla piattaforma tecnologica europea ZEP (Zero Emissions Fossil Fuel Power Plants), il costo medio per catturare e stoccare l’anidride carbonica, varia dai 60-70$ agli oltre 100$ a tonnellata di CO2.

L’obiettivo è quello di ridurlo a 40$. Questo sarà possibile solo grazie allo sviluppo di sistemi più efficienti, attraverso attività di ricerca e sviluppo e attraverso la realizzazione di impianti industriali pilota e dimostrativi di grande taglia. Sul fronte invece dell’accettazione sociale le maggiori preoccupazioni riguardano le possibili conseguenze di eventuali fuoriuscite incontrollate della CO2 iniettata nel sottosuolo. Va detto in tal senso che molte sono le conoscenze già acquisite sia da un punto di vista tecnologico (messa a punto di sistemi di monitoraggio) che geologico.

Già da tempo si utilizza infatti l’anidride carbonica per aumentare la produttività dei pozzi di petrolio avvalendosi della tecnologia EOR - Enhanced Oil Recovery, e sono in corso nel mondo moltissime iniziative industriali volte a dimostrare la fattibilità di tali applicazioni in giacimenti acquiferi salini e pozzi depleti.

Il punto centrale è avviare una vera ed efficace politica di “partecipazione”, che interessi i cittadini e le Istituzioni locali, basata su un’azione di informazione seria ed autorevole sulle tecnologie e tutte le relative implicazioni; occorre riuscire a comunicare e a dialogare con la popolazione e gli amministratori, senza reticenze, senza negare i problemi e allo stesso tempo dando conto delle garanzie di sicurezza basate sulle conoscenze e sulle precauzioni che si possono e devono adottare: è l’unica strada, non solo in questo settore specifico, per poter dare vita a nuovi investimenti e ad un numero maggiore di applicazioni dimostrative. Nel nostro Paese è comunque già in essere un’importante iniziativa in questo settore, che spazia dalla ricerca e sviluppo, alla dimostrazione su scala industriale, fino alla formazione-informazione e crescita dell’accettabilità sociale.

Ci troviamo nell’area del Sulcis, nel territorio Sud Ovest della Sardegna: un’area che si presta molto bene allo stoccaggio dell’anidride carbonica in quanto è una zona non sismica e presenta formazioni acquifere saline considerate le più idonee per lo stoccaggio della CO2.

Inoltre, al di sopra di tali acquiferi salini troviamo strati di carbone non utilizzabili. Tutte queste condizioni consentono di sperimentare simultaneamente due differenti tecnologie di stoccaggio: l’iniezione in acquiferi salini e lo stoccaggio in giacimenti no sfruttabili di carbone Enhanced Coal Bed Methane – tramite il quale si pompa CO2 negli strati di carbone liberando il metano lì presente.

Il secondo aspetto importante che ritroviamo in tale area è l’assenza di ostilità sociali e politiche locali. Ci troviamo infatti in un’area che storicamente ha impostato la sua attività economica sul carbone e che attualmente è affetta da una clamorosa deindustrializzazione, e la cui popolazione è pertanto maggiormente aperta a questo tipo di impianti dimostrativi. Su tale base il Governo ha stipulato un accordo con la Regione Sardegna, il cosiddetto Piano Sulcis. In quest’ambito è prevista la realizzazione di un polo tecnologico per lo sviluppo di energie “zero emission”, facendo riferimento al carbone e guardando anche alle rinnovabili ed alla loro integrazione con impianti a combustibili fossili.

Caratteristica essenziale del piano è di operare sui tre pilastri che portano all’innovazione industriale: studi e sperimentazione su attrezzature da laboratorio, sviluppo delle tecnologie con attività su apparati pilota di taglia rilevante, e qualificazione e trasferimento mediante realizzazione ed esercizio di impianti industriali dimostrativi. Tale piano si basa sull’esperienza e le infrastrutture già presenti presso Sotacarbo e sugli studi in corso su svariate tecnologie sia di cattura che di stoccaggio della CO2, e anche sulla produzione di nuovi combustibili liquidi e gassosi a partire da carbone e alla cosiddetta “poligenerazione”. Il piano vuole valorizzare e promuovere l’industria italiana e lo sviluppo delle tecnologie per consentire al settore manifatturiero termoelettrico di competere sul mercato internazionale: anche per questo si pensa alla realizzazione di un impianto pilota di 50 megawatt basato sulla tecnologia di ossicombustione: una tecnologia con brevetto italiano sviluppata da ITEA (gruppo Sofinter), che ha già destato l’interesse di Enel e anche del Department of Energy americano. Nel campo dello stoccaggio, poi, è previsto un ampio programma volto alla sperimentazione e caratterizzazione del sito Sulcis per l’iniezione di CO2 in “acquiferi salini” e in strati di carbone con possibile estrazione di metano (la cosiddetta tecnologia ECBM:Enhanced Coal Bed Methane): è un’opportunità enorme quella di poter sperimentare due soluzioni tecnologiche nello stesso sito, che peraltro ha caratteristiche geologiche di grande pregio, essendo anche in zona non sismica, ed è di sicuro interesse in ambito comunitario.

Da ultimo, si pensa anche alla possibilità di realizzare un dimostrativo industriale di taglia medio-piccola (potenza intorno a 350 MWe) dotato parzialmente di sistemi CCS di taglia intorno a 70 MWe. Infine, per chiudere la catena dell’innovazione, si andrà ad aggiungere a ricerca, sviluppo e dimostrazione anche la formazione, con la nascita di un polo di riferimento tecnico scientifico.

Già da fine luglio di quest’anno partirà infatti la prima edizione dell’International Summer School sulle CCS che durerà 4 giorni e vedrà la partecipazione di una trentina di studenti. L’idea è quella di trasformare l’area del Sulcis in un centro internazionale di riferimento tecnico scientifico e perché no in una meta per un turismo d’élite a carattere scientifico. Un passo importante verso la sostenibilità del Paese, con l’auspicio che un progetto culturale e scientifico di tale calibro possa favorire anche a livello nazionale l’accettazione sociale di tale tecnologia.

Foto: P. Put/Flickr

 

 

 

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