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Studiare all’estero, il nuovo trend dei ragazzi italiani

Dei 50 invitati alla mia festa di laurea, due settimane fa, quasi un terzo aveva esperienze di studio all’estero. Ed erano almeno cinque gli amici presenti alla festa che si trovavano in Italia per così dire di passaggio, ma che studiano e vivono all’estero.

Questo perché passare un periodo di studi fuori dai confini è uno dei trend sociali più importanti tra i ragazzi italiani – un trend con il quale mi sono dovuto confrontare scegliendo la data e spedendo gli inviti, ma che più in generale sicuramente incrocia le vite quotidiane di molti miei coetanei.

È uno dei trend sociali più significativi per i ragazzi italiani: c’è chi fa l’Erasmus e chi parte di sua iniziativa. Anche subito dopo il liceo

Per chiarire di cosa si tratta: c’è chi va in Erasmus (uno scambio tra l’ateneo italiano di provenienza e un altro ateneo europeo, che dura in genere un semestre), altri scelgono invece di trasferirsi all’estero di propria iniziativa, per un master post-laurea dopo aver frequentato triennale o anche magistrale vicino a casa – quasi l’80 per cento dei ragazzi, in Italia, studia nella regione in cui ha sempre abitato -. Sono pochi, ma il loro numero è in ascesa, gli studenti italiani che partono subito dopo il liceo, in direzione di un bachelor’s degree all’estero.

Complessivamente, parliamo di oltre 60.000 persone: gli universitari italiani iscritti in università all’estero sono circa 42.000, ai quali si aggiungono i quasi 18.000 che partecipano ad Erasmus (dati fondazione Migrantes 2011).

Sono 60.000 gli studenti Italiani fuori Italia, di cui 18,000 in Erasmus

Il profilo dei laureati 2010 di Almalaurea fornisce dati un po’ diversi, perché si riferisce alle esperienze di quegli studenti iscritti e laureati in Italia che hanno trascorso un periodo all’estero (il 12,3% del totale). Poco più della metà di questi (il 6,6 per cento) ha usufruito del programma Erasmus; gli altri si sono trasferiti grazie ad altri programmi di scambio (il 2,1) o per iniziativa personale (il 3,6).

Quanto alle destinazioni, la top four delle nazioni europee in cui vanno i ragazzi italiani in Erasmus è guidata dalla Spagna (34%), che distanzia nettamente Francia (15%), Germania (10%) e Gran Bretagna (9%).

Vince la Spagna, tra gli italiani in Erasmus.

A svolgere periodi di studio fuori Italia sono soprattutto i laureati in lingue (47%), seguiti dagli studenti del gruppo politico-sociale (13%), economico-statistico (10%) e letterario (9%). Seguono architettura (8%), agraria (7%), giurisprudenza, psicologia, ingegneria e scienze (5%). Chiudono la classifica gli studenti di chimica, farmacia, medicina e professioni sanitarie (3%).

Non sorprende, ma vincono le lingue. I futuri medici quelli che si spostano meno

Ma da che cosa dipende la partecipazione all’Erasmus? Secondo Almalaurea, soprattutto dal livello di istruzione dei genitori – che non è assurdo pensare sia correlato alla disponibilità economica -: tra gli studenti i cui genitori hanno un titolo basso o non hanno nessun titolo appena il 4% partecipa a questo programma, percentuale che sale all’11% tra chi ha padre e madre laureati.

Che si tratti della famosa ‘fuga di cervelli’ o di ragazzi che vogliono semplicemente cogliere un’occasione per fare un’esperienza di studio e di vita diversa, una cosa è certa: molti italiani vanno all’estero, pochi stranieri vengono in Italia.

Il problema dell’Italia? Ospitiamo solo 57.000 studenti stranieri. Un quarto di Francia e Germania, un quinto dell’Inghilterra

Fra i 57.000 ragazzi che ospitiamo e i 60.000 che esportiamo il saldo è negativo, unico caso tra i grandi Paesi europei. Dei 3 milioni e 343 mila studenti internazionali all’estero (dati Ocse) il 19% frequenta un’università negli Stati Uniti, il 10% in Inghilterra, il 7% abbondante in Francia e in Germania. In Italia, solo il 2%.

E le cose non vanno molto meglio se calcoliamo, come fatto da Vision e British Council, quanti studenti provenienti dal cosiddetto BRIC (Brasile, Russia, Cina, India), dagli USA e dalle principali nazioni europee sono iscritti nelle nostre università: appena lo 0,5%, contro il 2,1% della Francia, il 2,6% della Germania e il 5,2% del Regno Unito. Dei 5.000 studenti cinesi in Italia, poi, quasi 4 su 10 si concentrano in appena tre atenei (Politecnico di Torino, Politecnico di Milano e Università di Bologna).

Pochi dai grandi Paesi emergenti. E concentrati tra Polito, Polimi e Unibo

Numeri che sembrano dare ragione a chi osserva che il problema del nostro Paese non sta nel portare fuori talenti italiani, ma nel non riuscire a portare dentro talenti da altre nazioni. Insomma: gli italiani nel mondo ci vogliono, ma forse ci vorrebbe anche un po’ più di mondo in Italia.

di Lorenzo Pregliasco

Questo articolo è stato pubblicato qui

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