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Speciale scuola: un salto indietro nel futuro

Come per la moda, per lo sport, per la musica e le varie tendenze, anche economiche, il futuro dell’Italia è spesso inquadrabile osservando l’immediato presente o passato vicino, degli Stati Uniti.

Il passaggio da istituti pubblici a "fondazioni" delle università italiane sancisce di fatto un avvicinamento alla situazione statunitense, avvertendo di un progressivo distacco della cosa pubblica dal mondo universitario. Da tempo molti atenei lamentano la carenza di fondi e già in molte riforme era stata proposta questa trasformazione (Lombardi, ad esempio, la propose), ma di fatto nessuno aveva mai avuto il coraggio di questo passo.

La crisi finanziaria degli atenei ed il loro nuovo compito economico (il decreto prevede ad esempio una redazione di bilancio), fa intravedere tra le righe la possibilità di procacciazione di fondi privati per finanziare i mezzi e le infrastrutture didattiche. Questo aspetto è confermato dal fatto che qualsiasi donazione agli atenei è detassata del 90%. Tutto questo significa una sola cosa, in parole povere: largo spazio agli sponsor ed alla pubblicità all’interno degli atenei.

A conferma della mia visione apocalittica, viene, appunto, il futuro-presente degli Stati Uniti, dove, insistendo sulla necessità di dotare le università di tecnologia e strutture migliori, i grandi marchi come Nike o Disney, si sono fatti strada tra i banchi di scuola. E questo nonostante le perplessità del mondo dell’istruzione (un accesso ad internet può davvero migliorare la didattica?), poichè i datori di lavoro chiedono personale formato sulle più nuove e disparate avanguardie tecnologiche.

 

"In questo contesto molte scuole pubbliche (...) hanno visto nelle aziende e nelle sponsorizzazioni la sola via d’uscita dal vicolo cieco hi-tech. (...)Il fatto che sempre più scuole si rivolgano al settore privato per finanziare l’acquisto di strumenti tecnologici non significa che i governi abbiano definitivamente abbandonato il loro ruolo, per quanto riguarda la fornitura di computer a scuole pubbliche. Al contrario! Un numero sempre crescente di politici fa del concetto ’un computer su ogni banco’ un punto chiave del proprio programma elettorale, anche se in collaborazione con aziende locali. Ma intanto i consigli scolastici locali riducono i fondi per programmi come musica o educazione fisica per finanziare questo sogno hi-tech, e, anche in questo caso, aprono la porta a sponsorizzazioni aziendali e a forme di promozione diretta del marchio nelle mense, sempre al verde, e nei programmi sportivi.

Nel momento in cui le catene di fast food, produttori di articoli sportivi e società del settore informatico si danno da fare per colmare le distanze, portano con sè i loro programmi educativi." Non è sufficiente tappezzare di loghi le scuole: i brand manager fanno quello che hanno già fatto con la musica o lo sport: spingono affinchè i loro marchi diventino materia e non materiale complementare.

" (...) All’inizio degli anni novanta queste cosidette emittenti televisive (Channel One e Youth news network) hanno presentato una proposta a consigli scolastici americani. Hanno chiesto loro di aprire le aule a due minuti al giorno di pubblicità televisiva, inserita all’interno di programmi su temi di attualità per adolescenti della durata di dodici minuti. Molte scuole hanno accettato e in breve tempo sono iniziate le trasmissioni. Non c’è alcuna possibilità di oscurare le allegre tiritere pubblicitarie. Non solo gli studenti sono obbligati ad assistere alla trasmissione, ma gli insegnanti non possono regolare il volume, men che meno durante la pubblicità. (...) Channel One è oggi presente in dodicimila scuole, e raggiunge un numero di studenti calcolato in otto milioni.

(...) La Cover Concepts vende messaggi pubblicitari ingegnosi, studiati per ricoprire i libri, a 30.000 scuole statunitendi, dove gli insegnanti li utilizzano al posto delle copertine di plastica. E al momento del pranzo, in molte scuole altri annunci pubblicitari sono addirittura inseriti nel menù. Nel 1997 la Twentieth Century Fox è riuscita a far sì che i piatti inseriti nel menù delle mense di quaranta scuole elementari statali si chiamassero col nome dei personaggi del film Anastasia. (...)"

(Naomi Klein, No Logo, Baldini e Castoldi)


Le mense italiane potrebbero approfittare di menù Barilla o Rana, l’educazione fisica di installazioni Nike, etc etc etc.

Se si ha a cuore l’istruzione dei bambini, degli adolescenti e della futura classe dirigente, se non si vuole una sfornata di pubblicitari in erba, dediti alla moda ed ai marchi, alla tendenza, a ciò che fa cool, una massa di consumisti e basta, insomma, è necessario che l’istruzione pubblica rimanga tale, senza alcun impegno di fondi privati.

In calce trovate gli articoli della legge 133 che mi hanno spinto a queste considerazioni.

 

Art. 16.
Facoltà di trasformazione in fondazioni delle università

1. In attuazione dell’articolo 33 della Costituzione, nel rispetto delle leggi vigenti e dell’autonomia didattica, scientifica, organizzativa e finanziaria, le Università pubbliche possono deliberare la propria trasformazione in fondazioni di diritto privato. (...)

2. Le fondazioni universitarie subentrano in tutti i rapporti attivi e passivi e nella titolarità del patrimonio dell’Università. Al fondo di dotazione delle fondazioni universitarie e’ trasferita, con decreto dell’Agenzia del demanio, la proprietà dei beni immobili già in uso alle Università trasformate.

5. I trasferimenti a titolo di contributo o di liberalità a favore delle fondazioni universitarie sono esenti da tasse e imposte indirette e da diritti dovuti a qualunque altro titolo e sono interamente deducibili dal reddito del soggetto erogante. Gli onorari notarili relativi agli atti di donazione a favore delle fondazioni universitarie sono ridotti del 90 per cento.

8. Le fondazioni universitarie hanno autonomia gestionale, organizzativa e contabile, nel rispetto dei principi stabiliti dal presente articolo.

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