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Spagna, la ripresa assai poco umana

Domanda vagamente comunista: possiamo dire che obiettivo della crescita economica deve essere il riassorbimento della disoccupazione e l’aumento dell’occupazione? Si, lo sappiamo, la causalità corre anche in direzione opposta, tutto dipende se si guardano i termini della questione dal lato della domanda piuttosto che da quello dell’offerta, eccetera. Tuttavia, anche per tenere semplice il concetto, se siete d’accordo con il nostro postulato, pare che in Spagna qualcosa non quadri.

Prima la lieta novella: l’export spagnolo sta andando davvero bene, almeno a giudicare dai numeri. Gli ultimi numeri dicono che in agosto i ricavi da export di merci sono cresciuti del 3,8% su base annua. L’import è invece calato del 3,6% nello stesso periodo ma questo non è esattamente un merito, trattandosi di distruzione della domanda. Il dato inequivocabilmente positivo è la crescita delle esportazioni, che è reale ed avviene in un mese in cui, ad esempio, l’export di merci tedesche è calato del 5,4% tendenziale e quello francese del 7,9%. Certo, si potrebbe dire che il mese di agosto ha sempre problemi di destagionalizzazione, ma sarebbe ingeneroso verso gli spagnoli ed i loro sforzi teutonici.

Il miglioramento del saldo merci (con l’export che è arrivato in agosto a coprire il 94,9% dell’import) si unisce ad un surplus crescente del conto dei servizi, contribuendo all’avanzo delle partite correnti. Secondo la vulgata, la crescita dell’export spagnolo è imputabile al recupero di produttività ed a salari reali cedenti, conseguenza dell’altissima disoccupazione. Questi due fattori hanno determinato, dal 2009, un calo del 10% dei costi del lavoro per unità di prodotto, promuovendo quindi un netto recupero di competitività rispetto agli altri partner europei, che hanno per contro visto per lo più un aumento del clup.

Vi sarebbero, inoltre, crescenti evidenze aneddotiche circa la crescente internazionalizzazione delle imprese spagnole, che stanno peraltro mietendo successi di export anche fuori dall’area euro. Mentre attendiamo la disaggregazione del Pil spagnolo del terzo trimestre, cresciuto di un roboante 0,1% trimestrale, ponendo fine alla recessione (sic), per capire quale contributo alla crescita è venuto dall’export, sempre nel terzo trimestre giungono dati negativi dall’occupazione.

Su base destagionalizzata, infatti, il totale degli occupati è calato dello 0,4% trimestrale, per il ventiduesimo trimestre consecutivo. Secondo l’Istituto Nazionale di Statistica (INE), l’occupazione totale spagnola è cresciuta negli ultimi sei mesi di 186.000 unità su base destagionalizzata, ma questo incremento è quasi interamente imputabile a fattori stagionali associati all’industria turistica. Vi facciamo grazia dei dati non destagionalizzati, ad evitare polemiche metodologiche, ma sono contrazioni piuttosto pesanti.

Commento, quindi? Che attendiamo fiduciosi che il boom dell’export spagnolo si rifletta in corrispondente aumento di occupazione, per poter portare un minimo di beneficio anche ai consumi interni ed al gettito fiscale e contributivo. Restando tuttavia consapevoli che esiste una probabilità non trascurabile che il violento recupero di produttività non produca occupazione, nel breve-medio termine, ma possa anzi proseguire a distruggerne. E, poiché siamo anche malfidenti per natura, aspettiamo anche di leggere i dati di settembre, mese in cui la destagionalizzazione è meno problematica che in agosto.

Tutto ciò premesso, resta fermo che articoli come questo non rendono un buon servizio alla effettiva comprensione degli eventi. Capita, quando si perseguono in modo piuttosto dozzinale e provinciale finalità politico-pedagogiche. Ed evitiamo, per motivi di gestione del tempo oltre che di carità di patria, di analizzare uno ad uno i punti elencati. Per il modello Economist e Financial Times ci attrezzeremo. Prima o poi.

(per gli appassionati di citazioni, il titolo del post deriva da qui)

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.62) 29 ottobre 2013 14:03

    Forse la Spagna sta semplicemente imitando la strategia commerciale tedesca degli ultimi 10 anni. Reprimere la domanda interna e aumentare le esportazioni.

    Come si fa? Si crea disoccupazione per far diminuire il costo del lavoro (favorendo pertanto la produttività) e i consumi (e quindi penalizzando le importazioni).
    Io ho due dubbi in merito a questa strategia.
    A parte il fatto che i fattori produttivi sono capitale e lavoro, e non si capisce bene per quale motivo pagare meno la gente e farla lavorare di più sia considerato moralmente giusto (mito del lavoratore indefesso e ubbidiente) mentre consentire una normale svalutazione del capitale secondo le leggi di mercato con il ritorno alle valute nazionali sia un’ipotesi da scartare perché immorale e perché sarebbe un passo indietro verso l’integrazione europea (che invece in una decina d’anni di euro ha fatto passi da gigante, vero?).
    Ma comunque, se tutti ci preoccupiamo di esportare, perché questo è l’imperativo mercantilista, chi dovrebbe importare? La guerra al ribasso degli stipendi e dei diritti dei lavoratori tra i paesi europei, in nome dell’euro, rappresenta davvero una forma d’integrazione?
  • Di (---.---.---.87) 29 ottobre 2013 15:07

    La Spagna vista da una famiglia italiana:
    L’aumento della disoccupazione ha portato ad un aumento delle ore di lavoro. Cioè degli straordinari non pagati.
    I tagli alle spese hanno portato situazioni come 4 mesi di attesa pr essere operati di cancro. Grande risparmio, perchè qualcuno muore prima.
    Tagli all’istruzione: nella classe di mia figlia alcuni bambini non hanno i libri. Sono figli di disoccupati e da quest’anno non ci sono più aiuti per comprare i libri di testo.
    Interesse per l’edilizia: si svendono appartamenti di 80 metri quadri a 30,000 euro.
    Purtroppo in urbanizzazioni vuote, dove avrebbero dovuto esserci bar, negozi, scuole: non ci saranno mai.
    Quando pochi giorni fa si è parlato di ripresa, la gente pensava che l’annunciatore TV fosse ubriaco.
    Non sappiamo se stare o tornare: qua, quando fanno la guerra civile, la fanno sul serio.

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