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Solidarietà, non carità

Nel suo piccolo, grazie al sostegno dei soci, l’Uaar da anni destina una quota del bilancio a iniziative di solidarietà in tutto il mondo, pur non usufruendo di finanziamenti statali come la Chiesa cattolica. La responsabile iniziative legali dell’Uaar Adele Orioli ripercorre l’impegno dell’associazione sul numero 1/23 di Nessun Dogma

L’Uaar fin dalla sua nascita non ha mai avuto come scopo sociale quello della carità. E si può ben capire, sia che per carità ci si riferisca alla virtù teologale dell’amore per Dio come bene supremo sia che, più banalmente, sia da intendere come commiserazione o pietà da concretizzare in qualche elargizione.

Ma a dirla tutta nemmeno la ben più laica e umanista solidarietà, da intendere come convergenza di interessi, idee e sentimenti nei confronti di persone più svantaggiate, è a stretto rigore fra gli obiettivi che la nostra associazione si prefigge di perseguire.

D’altronde, e già sarebbe una buona giustificazione, non usufruiamo delle centinaia di milioni di euro statali che a questo scopo vengono invece incamerate dalla chiesa cattolica, tra otto per mille, donazioni, convenzioni e sussidiarietà a molteplici livelli.

In generale poi a prescindere dalle convinzioni personali che accomunano molti non credenti, e cioè che l’assistenza e l’aiuto debbano provenire dalle istituzioni pubbliche più che dal buon privato cittadino samaritano, non è facile trovare, soprattutto nelle aree cosiddette a sud del mondo, progetti laici o comunque non direttamente e strettamente controllati da organizzazioni e confessioni religiose.

Eppure nel suo piccolo, e sempre grazie al sostegno dei suoi soci, anche l’Uaar da anni destina una quota del bilancio a iniziative di solidarietà concreta. Senza clamori: non solo perché, ammettiamolo, non sono certo le cifre a tanti zeri che “altri” si possono permettere (di sbandierare), ma anche perché qualsivoglia beneficenza ostentata alla fin fine si traduce in bieco marketing. E nemmeno questo, ci risulta, è tra gli scopi della nostra associazione.

Qualche bel risultato all’attivo però ce l’abbiamo anche noi. Di uno degli ultimi vi parla in questo numero diffusamente Giorgio Maone, ma sempre in Uganda annoveriamo anche il finanziamento di una squadra di calcio femminile.

Siamo stati sponsor dell’Associazione guatemalteca degli umanisti secolari; facilitare la nascita di realtà simili dove non sono presenti può concretamente rappresentare il primo passo verso la costruzione di una società globalmente più laica.

Ed è sempre in quest’ottica la donazione a Global Giving, in sostegno alle donne africane esiliate perché accusate di stregoneria, e all’associazione All Out per l’aiuto alle persone omosessuali perseguitate in Cecenia.

E proprio perché a essere messi a morte, in una tragica lotteria istituzionale della persecuzione, non sono solo gli omosessuali, ma anche e persino in più paesi sono proprio gli atei e gli agnostici, l’Uaar ha sostenuto il progetto di Humanists International “Protect Humanists at Risk” a tutela dei non credenti in pericolo.

Nel 2020 lo scoppio della pandemia ha dirottato, in senso buono, la solidarietà atea e agnostica verso la ricerca scientifica e all’istituto Spallanzani, sia con il contributo diretto dell’associazione sia attraverso una raccolta fondi alla quale i nostri sostenitori hanno aderito con generoso entusiasmo.

Molti inoltre, soprattutto negli ultimi anni, i progetti sostenuti volti a incrementare e facilitare l’autodeterminazione sessuale e riproduttiva, non solo nel mondo ma anche in Italia, dove tra obiettori, leggi antiquate, boicottaggi regionali non è che stiamo poi messi benissimo.

E così abbiamo collaborato con Vita di donna per le spirali ormonali a favore di donne in difficoltà economica, con le Women on Waves per l’aborto a bordo di navi in acque extraterritoriali ma vicine a paesi con leggi restrittive (in Europa, Cipro e Malta su tutti), con la Ipas per l’accesso alla contraccezione nei paesi in via di sviluppo, con il progetto Jamila per le donne afghane.

Insomma, per rispetto della comune umanità e non certo per tributo a un qualche dio, ci proviamo: per un mondo più equo, più laico. Migliore.

Adele Orioli


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