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Sistema affaristico e omertà corporativa

 
No!, non è la questione morale quella che sta affondando il nostro Paese, è qualcosa di ben più miserabile e ben più pericoloso. Non ci troviamo di fronte a singoli episodi corruttivi, ma ad una corruzione organizzata, non a singoli corruttori ma ad una classe dirigente corrotta, non a leggi baluardo della legalità, ma a leggi complici della illegalità. E’ un sistema affaristico istituzionale. Una cricca di affari si è sostituita alla classe dirigente del paese.
 
Rispetto a tutto ciò la trasparenza non basta. Se la corruzione investe non solo la politica ma tutta la classe dirigente, questa non può limitarsi a stare in un casa di vetro, ma deve fare pulizia al suo interno, e quindi collaborare fattivamente a debellare il sistema affaristico, a partire dalla rinuncia all’omertà corporativa.
 
Quando i parlamentari sottraggono alla giustizia un loro collega con una concessione quasi automatica dell’immunità, quando un poliziotto sbaglia e i suoi colleghi lo coprono, quando un giudice sbaglia e il CSM gli commina un pena simbolica, quando un giornalista, da guardiano del potere, diventa servo e l’ordine non interviene, ti rendi conto che le associazioni di categoria operano in un’ottica meramente corporativa di difesa dei propri iscritti, ben lontano da una dimensione più complessiva di tutela dell’interesse pubblico.
 
E ciò mentre è in atto un’infiltrazione massiccia della illegalità nelle attività imprenditoriali e istituzionali del nostro Paese, che i tutori della legalità da soli faticano ad arginare. Del resto il contrasto alla legalità non è qualcosa che riguarda solo le forze dell’ordine o la magistratura, ma riguarda noi tutti: come elettori, come imprenditori, come parlamentari, come poliziotti, come magistrati.
 
Gli ordini, le associazioni non si possono ridurre al collegio di difesa degli iscritti che sbagliano, ma devono coniugarla con la tutela degli altri iscritti e dei clienti, gli elettori, i lettori.
 
Ognuno deve fare la sua parte a partire da questi organismi associativi che devono: evitare la protezione ingiustificata dei propri iscritti, e impedire quindi il sorgere di intralci spesso insormontabili all’accertamento della verità da parte dei magistrati; comminare quelle sanzioni previste dai regolamenti interni specie quando la sanzione non è irrogabile in sede giudiziaria per la presenza di una distonia tra realtà reale e realtà processuale.
 
Lungo questa scia si è mossa la Confindustria, quando ha previsto l’espulsione dei propri iscritti che non denunciavano il pizzo.
 
Ma compito di tale associazione è anche quello di assicurare una competizione corretta tra gli iscritti, e difendere quindi gli imprenditori onesti che partecipano alle gare e agli appalti nel rispetto delle regole da quelli corrotti, quelli che pagano le tasse da quelli che la evadono, perché questi ultimi inquinano il mercato e la libera concorrenza.
 
E allora anche in questo ambito, l’associazione degli industriali batta un colpo. Un provvedimento di espulsione non sarebbe giusto anche in queste ipotesi? E batta un colpo anche la politica che non puo nascondersi dietro il garantismo ed attendere i tempi dei processi. La politica deve intervenire prima. E’ troppo severa una sospensione dal partito e dalle cariche per i rinviati a giudizio?
 
In questa direzione si potrebbero muovere anche le forze dell’ordine assumendo posizioni anticorporative, a partire dalla condanna dei poliziotti che sbagliano fino alla loro denuncia.
 
Mentre l’ordine dei giornalisti dovrebbe essere più attento a difendere la dignità professionale dei propri iscritti spesso troppo servili rispetto al padrone e poco onesti verso i lettori. Per i giornalisti che sistematicamente nascondono la notizia, per i manganellatori di professione, che supportano mediaticamente un’attività corruttiva, non è fuori luogo l’applicazione di severe sanzioni pecuniarie.

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