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Siria: il convitato di pietra

Nella complessa e contraddittoria vicenda della crisi siriana agisce un attore che per diversi motivi rimane nell'ombra. È il Movimento Sionista Internazionale il quale, con le sue lobby, influisce pesantemente sulle scelte dei governi occidentali più coinvolti nella vicenda.

Per evitare la guerra, il passo di Assad: la consegna degli arsenali di armi chimiche, è obbligato. La situazione creata da Obama accettando di condizionare l'intervento militare americano al superamento della "linea rossa" sull'uso di quelle armi, mette chiunque voglia la guerra in condizione di obbligare gli USA a scatenarla.
 
È lecito pensare che la scelta di subordinare una decisione tanto grave ad un automatismo che chiunque nel confuso teatro siriano può far scattare, sia stato un errore da parte di Obama. Ma se si pensa che nemmeno un diplomatico alle prime armi si sarebbe legato le mani in questo modo, privandosi della facoltà di scegliere fino all'ultimo momento in base alle opportunità, allora si deve pensare che la decisione di porre quella "linea rossa" è stata equivalente alla decisione di scatenare la guerra.
 
L'unico modo che Assad e Russia hanno per evitarla è dunque quello di togliere dalle mani di chi vuole la guerra la possibilità di creare un false flag, di usare le armi chimiche in modo da addossarne la colpa al Regime.
 
Ma il punto centrale della vicenda è: chi e perché vorrebbe iniziare una guerra che probabilmente coinvolgerebbe altri Paesi e, in primo luogo, l'Iran? Dal 2008 tra Siria e Iran esiste un trattato di mutuo soccorso che obbliga un paese ad intervenire militarmente a difesa dell'altro in caso di attacco. Questo Obama di certo lo sa, come sa certamente della interdipendenza tra equilibri siriani e libanesi, delle ambizioni neoimperiali turche e di quelle egemoniche di Arabia Saudita e Qatar, degli interessi della Russia che sarebbero distrutti nel caso della prevedibile frantumazione della Siria.
 
È anche certamente consapevole del fatto che dare una spallata al regime di Assad potrebbe condurre al potere quelli che lo combattono, che in questo modo consegnerebbe la popolazione siriana nelle mani di un coacervo incontrollabile di integralismi feroci e settari ai quali di certo non interessano né la democrazia né i diritti umani.
 
In base a quali interessi Obama ritiene che sarebbe conveniente per gli USA arrischiare di far esplodere un conflitto dalle conseguenze imprevedibili e potenzialmente disastrose?
 
Grazie al fracking gli USA sono diventati esportatori di gas ed entro il 2020 dovrebbero diventare il primo produttore di petrolio al mondo. La loro dipendenza strategica dalle fonti di idrocarburi mediorientali si va quindi affievolendo rapidamente. Inoltre, il centro del loro interesse geopolitico si è spostato da tempo nell'area Asia-Pacifico: teatro di confronto della superpotenza emergente cinese, e la crisi economica ha ristretto i margini delle spese militari, per cui è tempo di scegliere verso quale direzione concentrare le risorse.
 
La prospettiva di ingaggiare un costoso e imprevedibile conflitto con Siria e Iran dovrebbe dunque essere terrorizzante per l'Amministrazione. Anche perché è un conflitto impopolare che vede l'opposizione della maggioranza degli americani, eppure Obama ha creato le condizioni per cui un tale conflitto diventi inevitabile.
 
Anche tenendo conto dell'influenza sulla politica estera statunitense degli interessi di Turchia, Arabia Saudita, Qatar: alleati regionali importanti per gli USA, la scelta di Obama di condurre il suo Paese ad un passo da un pericoloso scontro dal quale sarebbe difficile per tutti uscire indenni rimane incomprensibile.

Analoghe considerazioni si potrebbero fare riguardo a UK e Francia: quali vantaggi potrebbero compensare il rischio di essere coinvolti in una guerra potenzialmente disastrosa? E quali potrebbero averne quei paesi dalla trasformazione della Siria in un puzzle di fazioni in lotta in cui la componente più agguerrita e determinata sarebbe probabilmente quella integralista e antioccidentale? Nessuno.

La mancanza di una qualsiasi utilità, fosse anche la più cinica, e la certezza delle passività, rende giustamente contrarie le opinioni pubbliche di USA, UK, Francia, a farsi coinvolgere in una incomprensibile e pericolosa avventura, nonostante gli sforzi dei rispettivi governi di convincerla della necessità di farlo in nome di un presunto dovere morale al quale ben pochi credono.



A questo punto qualcuno potrebbe pensare che sia interesse di Israele abbattere il regime di Assad. Ma come potrebbe essere interesse di Israele sostituire un regime col quale da 40 anni convive senza troppi problemi, che tollera perfino gli strike israeliani senza reazioni apprezzabili, con il fior fiore dell'estremismo islamico internazionale, armato con gli arsenali libici e con chissa quali altri? E infatti anche la maggioranza dei cittadini israeliani è contraria a che il suo paese si coinvolga nella bolgia siriana. Eppure anche il governo israeliano, nonostante l'apparente basso profilo mantenuto nella vicenda, manovra sotto traccia per favorire la caduta di Assad.

Si verifica quindi una situazione assurda nella quale quattro governi agiscono contro gli interessi dei loro paesi, sfidando le rispettive opinioni pubbliche, apparentemente senza motivo.

In realtà tutto si spiega facendo entrare in scena il soggetto rimasto in ombra: il Movimento Sionista Internazionale, articolato nelle sue varie lobby nazionali.
 
Per inquadrare correttamente il ruolo di questo soggetto nella vicenda, occorre prima delinearne i caratteri. Il movimento sionista nasce come rappresentante di un progetto ben definito: dare agli ebrei un focolare nazionale per sottrarli alla condizione di ospiti soggetti all'arbitrio delle comunità nazionali ospitanti.
Arbitrio che spesso in passato si è manifestato in forma di intolleranza e talvolta in violenza vera e propria, di espulsioni di massa, di tentativo di sterminio da parte del Nazismo. Considerato il suo scopo primario, dare una Patria ad un popolo, il sionismo può essere considerato come movimento risorgimentale ebraico.
 
Per una serie di circostanze storiche il sionismo ha avuto successo ed è riuscito infine a raggiungere il suo scopo nel 1948 con la fondazione dello Stato di Israele. Da quel momento in avanti, e per ovvi motivi, il sionismo non può più essere considerato un movimento risorgimentale: è diventato invece un movimento nazionalista che si è strutturato in organizzazioni e gruppi di pressione, e che è divenuto corrente di pensiero che aspira ad egemonizzare le comunità ebraiche in Israele e nel resto del mondo. Il sionismo risorgimentale è morto alla fondazione di Israele; il sionismo attuale: quello puramente nazionalista, è sorto successivamente alla fondazione di Israele.
 
La differenza ideologica tra i due sionismi è evidente: nel primo il nazionalismo è il mezzo per unire tutte le tendenze politiche e ideologiche verso il fine della fondazione della Stato; nel secondo il nazionalismo rimane come fine in sé, come visione politica ideologica che pone in cima alle sue priorità gli interessi nazionali, così come esso li concepisce naturalmente.
 
Sono le lobby sioniste, in USA, UK, Francia, Israele, altrove, che spingono fortemente sui governi per la caduta di Assad, seguendo un loro indirizzo particolare che prescinde da ogni altra considerazione. È il movimento sionista il convitato di pietra.

Ad esempio in questi giorni l'AIPAC, la lobby sionista più nota d'America, soprannominata "Il gorilla da 800 libbre" per la sua potenza nell'influire sulle scelte dell'Amministrazione, e soprattutto del Congresso, sta scatenano 250 lobbisti il cui compito è di convincere i congressisti USA della necessità di un attacco militare contro la Siria. Ed hanno buoni argomenti per farlo efficacemente, come documentato da John Mearsheimer e Stephen Walt, due accademici statunitensi nel loro documentatissimo libro inchiesta "La lobby israeliana e la politica estera degli USA". 

Analoghe pressioni vengono fatte in UK, Francia e, ovviamente, in Israele affinché i governi di quei paesi scatenino l'ennesima guerra contro quello che il sionismo ritiene si opponga alle sue strategie. Definire quali sono queste strategie richiederebbe una trattazione a parte, è più semplice accennare a quali non lo sono.

Nel 2011, nel pieno dell'impegno dell'Amministrazione Obama per indurre Israele e palestinesi a concludere un accordo, l'allora senatore Joe Lieberman, accompagnato dal fedele John McCain, guidarono una folta delegazione di congressisti USA in Israele. Lo scopo della visita era di assicurare il mondo politico sionista israeliano che il Congresso degli Stati Uniti si sarebbe opposto a qualunque tentativo del Presidente di forzare Israele ad accettare un accordo di pace, come se la pace danneggiasse Israele.

Da questo è lecito quindi concludere che il sionismo internazionale non vuole un accordo di pace tra Israele e palestinesi, a differenza della maggioranza dei cittadini israeliani che non vorrebbe altro che la fine del conflitto.

Foto: Avishai Teicher/PikiWiki

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