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Sindacati: un misero accordo

Il 28 giugno scorso, le tre sigle sindacali, Cgil, Cisl e Uil hanno firmato un accordo con Confindustria, che rappresenta un punto di svolta veramente preoccupante oltre che epocale.

Nove punti, generalmente fumosi e contradditori che lasciano ampio spazio di manovra alle industrie, attraverso un vasto rimodellamento della rappresentanza sindacale, della esigibilità dei contratti, e del diritto di sciopero.

La firma - accolta con enfasi sia dal presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, sia dal Ministro Giulio Tremonti, che l’hanno definita come un passo di importanza vitale per l’economia italiana – vede un profondo arretramento da parte della Cgil, su norme di democrazia del lavoro, arretramento duramente contestato dalla Fiom di Landini, questo fa presupporre future “frizioni” che indubbiamente andranno a ledere i già difficili rapporti fra le due sigle sindacali.

Ma ritornando all’accordo, sono, come scritto prima, nove punti che sostanzialmente deregolamentano i rapporti di lavoro, specialmente quelli che riguardano la contrattazione nazionale e il diritto di sciopero, dunque il trionfo della linea Marchionne, quella, per intenderci, del vertiginoso arretramento di diritti e garanzie conquistate in decenni di lotte in cambio di un non ben precisato sviluppo economico.

Primo aspetto, i lavoratori non saranno più chiamati a votare né le piattaforme, né gli accordi che li riguardano; i sindacati potranno sottoscriverli con le aziende, infatti il punto due dell’accordo recita: “le organizzazioni rappresentative possono fare accordi che diventano immediatamente esecutivi”. I lavoratori non possono pronunciare il proprio dissenso, il dialogo democratico fra le parti, già esiguo, è stato definitivamente azzerato.

Secondo aspetto - a mio avviso drammaticamente antidemocratico – è contenuto nel punto sette, il quale prevede che i contratti aziendali possono derogare il contratto nazionale con “specifiche intese modificative”, lasciando così soggetto al ricatto il mondo del lavoro, specialmente gli anelli più deboli, tutti i lavoratori delle micro-imprese per esempio.

Questo accordo sacrifica tutto quello che si può sacrificare, baratta diritti certi con ipotetici sfumature di sviluppo, fa vincere l’arroganza e la prepotenza di una industria incapace di reggere il passo in termini di ricerca e professionalità, piegata a semplici logiche di profitto, profondamente vulnerabile, instabile e miope.

Come possano averlo firmato non è dato capirlo, una cosa chiara, la sola forse, è l’isolamento dei lavoratori, considerati semplice pedine sia dagli industriali, sia da chi dovrebbe difenderli.

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