• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Politica > Siam pronti alla morte, l’Italia votò

Siam pronti alla morte, l’Italia votò

Riflessioni a caldo sull'ultimo giorno del giudizio prima del prossimo: è andata come ci si attendeva. Ma non abbandonate la sala, la proiezione prosegue

Esiti tutto sommato scontati per il giorno del giudizio all’italiana, l’appuntamento con la storia che, come quelli che lo hanno preceduto, scivolerà nel cestino della quotidianità prima di lasciare il passo a nuove “rivincite”. Qualche considerazione spicciola, per ingannare il tempo. Non prima di aver ribadito il record di queste elezioni, in collaborazione con la realtà: sono le prime dove i programmi diventano carta straccia ancor prima dell’apertura delle urneChapeau.

Trionfo, dunque, per Giorgia Meloni e il suo partito di post-missini, che ora verrà assediato da profferte di collaborazione da ogni parte, soprattutto dai cosiddetti poteri forti che offriranno alla bicicletta fortemente voluta dalla premier in pectore quelle che ho definito rotelline stabilizzatrici, per aiutarla a pedalare.

CI RITROVAMMO PER DUE SELVE OSCURE

Gli italiani, da parecchio tempo, hanno deciso di prendere due strade molto nette: in primo luogo, l’estrema mobilità elettorale. Dove, nel breve volgere di una legislatura, ci sono partiti che passano dal 3-4% al 25-30%. In parallelo a questo libertinaggio elettorale procede e si approfondisce l’assenteismo dalle urne.

Se fossi un socio-politologo da bar, direi che il disincanto spinge a cambiare con grande frequenza il santo a cui votarsi. Durante la processione, un crescente numero di aspiranti fedeli perde la fede e si rintana in casa. Vedremo cosa c’è in fondo a questi due sentieri che corrono paralleli e che non promettono nulla di buono il giorno in cui finiranno al capolinea comune.

Giorgia Meloni insiste con il concetto di “interesse nazionale” ma deve ancora calarlo nella realtà, ad essere sinceri. Né bastano a definirlo balneari e ambulanti, diremmo. Nel frattempo, e malgrado alcuni suoi colleghi di partito, la leader proseguirà a sbracciarsi per legittimarsi agli occhi di Casa Bianca e Dipartimento di Stato, forse attendendo che a novembre 2024 torni The Donald (se nel frattempo non sarà finito sotto processo o direttamente al gabbio), o qualche suo “erede spirituale” tipo il governatore della Florida, Ron DeSantis.

In Europa, Meloni dovrà decidere se schierarsi con Viktor Orban, per proteggerne gli interessi nazionali credendo con tragica fallacia di fare in tal modo anche quelli italiani e magari spingere la Ue verso una struttura “federale” che mai arriverà e che, se mai arrivasse, sarebbe l’ultimo colpo di maglio sulle rovine italiane. Ripetete con me: non esiste un’Internazionale sovranista. E, se esistesse, gli italiani ne diverrebbero rapidamente i paria, in mezzo a tanti sovrani “egoismi” fiscali nazionali.

Il carro della vincitrice traina il carrello dei bolliti: Matteo Salvini e Silvio Berlusconi. Il primo potrebbe finire sotto processo interno e a congresso straordinario, ma forse si bloccherà tutto fino alla prossima primavera, attendendo il nuovo giorno del giudizio delle regionali, segnatamente in Lombardia. Il secondo, beh…commentate voi.

ULTIMO TANGO AL PAPEETE

Resta da vedere e capire cosa diverrà (o tornerà ad essere) la Lega: il partito è interamente salvinizzato, al netto dei ducati settentrionali a cui penso la politica nazionale interessi solo nella misura di poter strappare l’agognato sarchiapone noto come autonomia. Se verrà chiamato un timeout di alcuni mesi al processo al leader, quest’ultimo andrà all-in al governo, tirando Meloni per la giacca e chiedendo sempre di più, sino all’eventuale ultima fuga al Papeete, sulle note de “Il mare d’inverno“.

E pensate, per tornare al discorso dell’elettorato mobile e disperato, agli elettori veneti. Abbandonano in massa la felpa buona per tutte le latitudini, e saltano a piedi uniti nel calderone di un partito ultranazionalista e altrettanto centralista. Grande è la confusione sotto il cielo, diceva il Grande Timoniere, ma forse servirebbe andar piano a grattugiare la peyote sul risotto. Intoniamo un noto brano di Marco Masini. Non quello, un altro. Un pensiero affettuoso agli imprenditori di quelle latitudini.

Per Salvini termina l’illusione della strategia nazionale e nazionalistica, quella che cambia felpa da Feltre a Sibari e si porta dietro le folle con un ricco tagliere di burro, cannoni e cannoli. Cose che capitano, quando si vive in un paese terribilmente duale, e sempre più tale.

IL NEO-PCI A TRAZIONE NEO-BORBONICA

Come dimostra la rinascita dell’ex entità colliquata nota come M5S che ora diventa Pci, Partito contiano italiano, guidato dall’avvocato del popolo con gratuito patrocinio a carico delle prossime generazioni di contribuenti o dell’Europa, al loro buon cuore.

Il neo-Pci incorporerà, in una federazione di progresso populista, gli assai poco amabili resti del maggior partito zombie d’Italia, il Pd. Che, spinto dalla sua ala sinistra e dall’imprescindibile magistero moralistico-cultural-intellettuale della Dittarella, aka Articolo 1 (per cento), si consegnerà a questo esperimento a trazione neo-borbonica. Ci sarà una interessante divisione del lavoro: Conte non punta a usare il fisco per punire i ricchi da 40 mila euro in su, i suoi prossimi egemonizzati la pensano diversamente.

Ma forse la strategia del neo-Pci è davvero astutamente geniale: puntare a riprendersi il paese, all’avanzare verso nord della linea della povertà e del dissesto. Ce la possiamo fare, le idee di politica economica non mancano, in quella direzione. Ci sono ancora troppe Italie, in effetti: serve unificarle, dopo oltre 160 anni. La povertà farà il suo corso.

ADDIO, GIGGINO

Che altro? Prendiamo nota e atto dell’uscita dal parlamento di Luigi Di Maio e dei suoi sodali. Come ho sempre detto e scritto, questo evento doveva rappresentare il minimo sindacale di catarsi e igiene del discorso pubblico, dopo un decennio come quello appena trascorso. Certo, per un Di Maio che va, ce ne sono decine di altri che arrivano, ma a volte anche i simbolismi servono per farsi coraggio.

Nulla da fare per alcuni partitelli di frangia e sfrangiati, per lo più di ispirazione rossobruna, che magari trarranno lezione e spunto per aggregarsi al prossimo giro, le cui “idee” nella legislatura terminata erano già ampiamente rappresentate, in quasi tutti gli schieramenti. A me resta l’impressione che i loro leader siano stati gonfiati, proiettando le loro ombre sulla caverna dei media tradizionali e dei social media, che tutto deformano e ingrandiscono, per chi guarda nell’abisso della bolla. Un po’ come accade agli esponenti di un noto (?) giornale-partito: letto da pochi intimi, la loro funzione è quella di polarizzare l’audience dei teatrini tv ed alimentare la disciplina olimpionica del lancio del droplet di saliva. Egemonia “culturale” anche qui, diciamo.

Il cosiddetto Terzo Polo, che in realtà non arriva sul podio, non va oltre la sommatoria dei partiti costitutivi. Forse un centro presunto e sedicente liberale (qualunque cosa ciò significhi, in questo smarrito paese) ha quella consistenza; forse potrà crescere ulteriormente drenando altri elettori, magari tra i confusi che si sono attardati su Retequattro e Forza Italia. Diciamo che l’esperimento sull’agenda Draghi, che poi sarebbe Draghi medesimo e che deve tornare anche se ha detto di no-che-forse-non-era-un-no, non è stato particolarmente efficace. Forse perché Draghi, dopo tutto, non piace a moltissimi, in Italia. Sarà più interessante, nel breve termine, scommettere su quale sarà il casus belli che porterà l’estemporanea coppia Calenda-Renzi a scoppiare, e quanto sarà corta la miccia.

LA DEMOCRAZIA CHIAMA

Ora attendiamo la trattativa per il varo del governo Meloni 1, e soprattutto di vedere come saranno riempite alcune caselle ministeriali. Già alcuni esponenti del partito trionfatore (col 26%, dopo tutto, ma quello è), esibiscono pensose credenziali di statisti, dicendosi preoccupati per la tempistica della legge di bilancio.

Chissà, forse farebbe comodo lasciarla fare a Mario Draghi, dopo averlo accusato di lasciare un buco da parecchie decine di miliardi con i suoi sostegni a termine. Come fai, sbagli. Ma se per assurdo così avvenisse, quella legge di bilancio avrebbe i voti e le impronte digitali del nuovo partito di maggioranza relativa, no? Quindi, tranquilli: la democrazia chiama, rispondete con sollecitudine e non dite “no, guardi, ha sbagliato numero”.

Questo articolo è stato pubblicato qui

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox


Pubblicità




Pubblicità



Palmares

Pubblicità