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Shutter Island: la recensione, Scorsese è tornato

Avete preso le vostre pillole oggi?

Prima di affrontare qualsiasi film di Scorsese si deve sapere che i film concepiti dal grande regista nascondono molto di più di quello che sembrano raccontare. Ciò che ha reso grande Martin Scorsese è stato proprio il suo talento nel mettere l’accento su più punti di interesse e su più elementi, che lui stesso considera importanti, in una storia, in questo caso, apparentemente costruita come un normale thriller. Vi risulterà decisivo sapere tutto questo, anche per uscire dalla sala dopo Shutter Island sapendo che c’è molto di più su cui ragionare, di quanto non appaia.
 
Tratto dal libro "L’isola della paura" di Dennis Lehane, Shutter Island racconta le vicende dell’U.S. Marshal Teddy Daniels (Leonardo Di Caprio) , che con il nuovo collega Chuck Aule (Mark Ruffalo) si ritrova sull’isola omonima, situata vicino a Boston, per investigare sulla sparizione di una donna, paziente dell’ospedale psichiatrico, internata dopo aver assassinato i suoi tre figli. All’arrivo, consegnate le armi, gli agenti conosceranno il direttore dell’istituto il Dr. Cawley (Ben Kingsley) misterioso e poco collaborativo sembra nascondere qualcosa, tanto da impedire l’accesso ai file dei pazienti e istruire il personale a fornire risposte vaghe. In una tensione crescente un uragano minaccia l’isola e la permanenza dei due investigatori, che dovranno mescolarsi tra pazienti e infermieri per scoprire la verità.
 
 
Intrigante e molto complesso il personaggio di Daniels, dipinto da Scorsese come eternamente in conflitto con se stesso per aver visto gli orrori dei lager nella seconda guerra mondiale, e subito la morte della moglie che ora lo perseguita in sogni sanguinolenti e strazianti. E’ un dolore a 360 gradi quello espresso da Di Caprio, in una eccellente recitazione, che dal suo arrivo sull’isola diventa schiavo di visioni e incontri scioccanti. La storia dell’istituto non aiuta certo la situazione, con i pazienti che proprio del tutto pazzi forse non sono, con Rachel Salondo sparita misteriosamente dalla sua camera a zonzo per un’isola ostile e con la sensazione di dover comprendere qualcosa, che però sfugge di continuo.
 
 
 
Ed ecco i temi da tenere d’occhio che alla prima visione si fa fatica a cogliere: la guerra non è solo parte della storia di un personaggio, fa parte delle fondamenta dell’ospedale psichiatrico in cui lavorano ex nazisti (ricordate la passione del Nostro per la Boston multietnica), ed è personale nella ricerca dell’uomo che ha provocato la morte della moglie di Teddy Daniels. La violenza, per quanto Scorsese sia stanco di sentirselo dire, è dispiegata in tutte le sue forze attraverso la natura, l’uomo, la psicologia e addirittura comprende un’intera riflessione in un dialogo. La suspence arriva alle stelle con tratti che ricordano i più spaventosi film horror (e qui si salta davvero sulle sedie, altro che paranormal activity amici), ma che incontrano anche le visioni oniriche di Lynch in un’attesa che per lo spettatore diventa insopportabile e quasi dolorosa, di scoprire tutto il senso dell’intreccio. Non dimentichiamo il sangue, quello che scorre sempre, il rosso Scorsese lo inserirei nella nuova cartella Pantone, se fossi in grado. Ingiusto, spietato, raggelante.
 
Il finale vi sorprenderà, ma è indispensabile per farsi rapire totalmente considerare il primo paragrafo di questo articolo. Intanto vi chiedo, se lo avete già visto, che ne pensate? So che di teorie, ne ha stimolate tante.
 

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