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Settimana corta: 4DayWeek, l’esperimento in Germania

Dal primo febbraio, per sei mesi, alcune centinaia di lavoratori tedeschi tenteranno di essere più produttivi lavorando meno. Un esperimento molto rilevante in un paese che cerca di uscire da una crisi esistenziale

A partire dal prossimo primo febbraio, centinaia di dipendenti di circa 45 aziende tedesche sono coinvolti nel semestre di sperimentazione della settimana lavorativa di quattro giorni, con un taglio proporzionale dell’orario di lavoro e retribuzione invariata. La 4DayWeek arriva dunque anche nel paese che in questo momento sta attraversando una crisi del proprio modello di sviluppo e dove la carenza di personale, qualificato e non, tende a far pendere la bilancia dei rapporti di forza dalla parte dei lavoratori, che chiedono con crescente forza recuperi del potere d’acquisto, tenendo sulle spine una Bce che scruta da sempre l’orizzonte per cogliere il fenomeno della spirale prezzi-salari.

Secondo un sondaggio di una associazione imprenditoriale, metà delle aziende tedesche non riescono a coprire le posizioni ricercate. A questo si aggiunge la pressione demografica: più di sette milioni di persone lasceranno la forza lavoro tedesca entro il 2035, mentre i tassi di natalità e immigrazione sono in flessione.

MENO ORE CIOÈ PIÙ PRODUTTIVITÀ

Della 4DayWeek ho scritto mesi addietro: la scommessa è quella di estrarre più produttività, per consentire l’invarianza di retribuzione, attraverso la riorganizzazione. Ciò può richiedere investimenti aggiuntivi oppure una “semplice” riorganizzazione di tempi. Le aziende coinvolte sono infatti molto eterogenee: dalle manifatturiere, che devono ridisegnare i turni, a quelle di servizi a determinante contributo personale e intellettuale. Impossibile quindi generalizzare. In caso la riduzione dei tempi lavorati determini ritardi nella consegna del prodotto finito, possono innescarsi stress aggiuntivi, che costerebbero molto all’organizzazione aziendale.

Estrarre il differenziale di produttività necessario a tenere il sistema in equilibrio, migliorando il benessere dei lavoratori, vorrà dire in molti casi conseguire quella extra-performance aziendale grazie all’aspetto motivazionale, come potrebbe essere quella prodotta dalla migliore conciliazione dei tempi di vita e lavoro. Bisogna anche tener presente che, data la tensione oggi esistente tra domanda e offerta di lavoro, questo benessere aggiuntivo può diventare il fattore di attrazione e ritenzione di talenti in azienda. Il tutto sempre parlando a livello teorico, s’intende.

In questo senso, è interessante la motivazione alla partecipazione fornita da un manager di azienda tedesca che costruisce finestre, come riportata da Bloomberg: “posso essere coinvolto [nella sperimentazione, ndPh.] e posizionarmi come azienda moderna, oppure posso dire che dobbiamo tutti lavorare di più e alla fine trovarmi senza nessuno che voglia lavorare per me”.

Come si nota, questa motivazione fa leva sul benefit del tempo aggiuntivo fuori dall’azienda e assume una sorta di pre-giudizio positivo sull’esito, la “modernità”. Forse in quella azienda ci sono state precedenti sperimentazioni, che hanno dato esito soddisfacente. Oppure siamo di fronte a un wishful thinking, che potrebbe sfociare in un brusco risveglio in caso la produttività aggiuntiva non si materializzasse e magari ci si trovasse in affanno con i programmi di consegna. Lo vedremo. Anzi, lo vedranno.

LA GERMANIA E I MALATI D’EUROPA

La sperimentazione tedesca giunge mentre viene reso noto un dato problematico, sul quale servirà indagare: il tasso di assenteismo per malattia nel 2022 ha prodotto la perdita media di 21,3 giorni di lavoro per dipendente, secondo la stima dell’istituto federale per la sicurezza e la salute sul lavoro.

Cosa c’entra l’aumentata morbilità dei lavoratori tedeschi con la settimana accorciata? In altri paesi in cui si è svolta la sperimentazione della 4DayWeek i risultati in questo ambito pare siano stati positivi, con un miglioramento della salute fisica e mentale e un calo dei fenomeni di burnoutCome riporta Bloomberg, in Regno Unito, il paese col maggior numero di partecipanti alla sperimentazione (ben sessantuno aziende), il numero di giorni di malattia è calato del 65%, mentre in Portogallo il livello di stress segnalato e i problemi del sonno sono diminuiti del 20%.

I sostenitori della settimana di quattro giorni con corrispondente taglio di ore lavorate sostengono inoltre che la formula potrebbe attrarre un aumento della partecipazione al mercato del lavoro, ricordando che la Germania è uno dei paesi Ue con la più elevata incidenza di part-time, secondo le statistiche Eurostat.

Ovviamente, la misura ha dei critici e desta perplessità in molti. Ad esempio, ora che i tedeschi hanno “scoperto” di avere problemi di produttività legati a scarsa digitalizzazione ed elevata incidenza della burocrazia, c’è chi teme che il solo aspetto motivazionale legato agli aspetti di produttività soft del minore tempo di lavoro possa essere del tutto insufficiente a recuperare produzione e prodotto aziendale in misura almeno pari al taglio delle ore.

Tra i critici, si segnalano le osservazioni non particolarmente acute del ministro tedesco delle Finanze, il liberale Christian Lindner, secondo il quale “mai nella storia una nazione ha accresciuto la propria prosperità lavorando meno”, il che parrebbe quindi suggerire la necessità di aumentare l’orario di lavoro, riportandolo ai tempi della prima rivoluzione industriale e magari anche più indietro. Per fortuna, in giro c’è gente che coglie il senso della storia e del concetto di innovazione e produttività. Un peccato che non siano ministri.

SPERIMENTARE EVITANDO SUGGESTIONI ITALIANE

La sintesi e la strada restano quelle: sperimentare, di comune accordo tra aziende e lavoratori. Non calare le iniziative dall’alto, evitare che l’aspirazione alla concertazione divenga conflittualità aggiuntiva. Sapendo che questa formula non è per tutti né per tutte le aziende e che la produttività “motivazionale”, quella che deriva da migliore conciliazione dei tempi di vita e lavoro, difficilmente potrà surrogare nel prodotto finito quella che deriva da innovazione tecnologica. Le due dimensioni possono proficuamente e sinergicamente interagire. Intanto, contrastare il fenomeno del cosiddetto quiet quitting potrebbe innalzare la produttività. Ma attenzione a scambiare la realtà con i propri desideri, come ho scritto sopra.

Da ultimo ma non per ultimo, evitare anche di prendere le solite scorciatoie all’italiana, quelle dove la riduzione dell’orario di lavoro viene finanziata da sussidi a carico di Pantalone, o meglio di chi è rimasto a pagare le tasse. Direi che questa “soluzione”, che appartiene allo stesso filone culturale che vorrebbe introdurre il salario minimo sussidiato, indica esattamente la strada opposta a quella che andrebbe perseguita.

Foto di Malachi Witt da Pixabay

Questo articolo è stato pubblicato qui

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