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Settembre (Otto)

Il Partito Democratico non esiste più, esattamente come da un certo momento in poi non esistette più il vecchio Partito Socialista. Milano, i tranvieri e i "ghisa", gli onesti ragionieri, i sindaci grigi e perbene, il primo maggio, le riforme, il divorzio, Strehler, "Ma mì", Milva, lo statuto dei lavoratori: tutto questo, una volta, era stato il partito socialista. Onesto e pasticcione, vecchio quanto l’Italia, profondamente buono. E da un momento all’altro (nel giro di alcuni anni, in realtà: ma quello in cui te ne accorgi è un momento preciso) ecco che non c’è più, ne restano caricature feroci: sfondi di cartapesta, piramidi, "nani e ballerine". Quel momento preciso, quello che passa alla storia, è quello in cui Mario Chiesa, chino sul cesso di casa, cerca febbrilmente di affidare alla fogna le mazzette mentre alla porta tambura già, in forma di carabiniere, il Destino.

E qual è l’ultima foto, la foto storica, dei Democratici italiani? Secondo me, quella dell’assessore alla sicurezza Graziano Cioni. Nell’atto in cui telefona a Ligresti, confidenziale, subalterno - da cortigiano a granduca. Gli chiede, fra le altre cose, un favore servile: di finanziargli il libretto, l’opuscolo comunale, in cui Cioni-Rassi si gloria d’aver sbrattato Firenze dai lavavetri. Vittoria miserabile, che potrebbe valergli però la designazione a podestà scavallando - con manovrate "primarie" - un suo rivale; e che dunque val bene una messa.

A Firenze, come in altri luoghi d’Italia, e nella stessa Milano di Mario Chiesa, ben altri erano certo gl’interessi, che non quella mazzetta finita al cesso o quella telefonata di sottomissione. Eppure l’uno e l’altro episodio sono i più emblematici, i più amari; i più stridenti, soprattutto, con le tradizioni di partiti già nobili e civili. Nel caso di Mario Chiesa, la "Baggina", il Pio Albergo Trivulzio, i vecchi ricoverati dal Comune: illuminismo lombardo, socialismo umanistico, Ottocento; in quello dello sciagurato Cioni, servilismo a un potere - il siculo-milanese clan Ligresti - lontanissimo dalla città, non leopoldino o asburgico ma greve e barbaro, sultaniale; e una spietatezza feudale, da gabelloto, verso i poveri lavavetri. E questo nella città di La Pira, del David, del comandante "Potente" che "l’XI agosto MCMXLIV" - come si legge nella lapide - liberò coi partigiani Firenze, morendo nell’impresa.

Da quei fazzoletti rossi di partigiani, da quelle bottegucce sull’Arno, dalle fabbriche, dalle elezioni vinte in nome di una speranza, da quelle regioni e comuni esemplarmente amministrati (erano loro, il socialismo reale!) per generazioni; da quelle povere solidarietà orgogliose che, anche negli anni del castagnaccio e delle prime lambrette, facevano che anche l’ultimo sanfredianino sapess cos’era il Vietnam e cosa la Sicilia; da quella diversità bellissima, non padronale né borbonica ma popolana, ecco che si precipita nel ligrestume, nei pulcinella servi e avidi e nel feroce "via dal mio parabrezza!".


E’ là che è finita quella storia. Non c’era bisogno, per capirlo, di magistrati. Torino che rincorre la Lega, Napoli che tradisce, l’Abruzzo che gela i votanti, la timida Basilicata (perfino lei!) che abbraccia i berluscones in nome delle mazzette: c’è poco da discutere, in tutto questo. Un’ecatombe di regioni e città perse per bestialità di satrapi, cedute al fascio in cambio in cambio di denaro. Le stesse conseguenze secondarie di questa catastrofe (ingigantito Berlusconi, che ne profitta per la dittatura; promossi i Di Pietro e i Grillo a capi carismatici, non meglio ma meno peggio di Veltroni; ulteriormente rincoglionita la sinistra, affidata a Luxuria e al Circo Togni) sono addirittura meno gravi della catastrofe morale (della morale, ma soprattutto del morale), che è tremenda. "Sei tedeschi, sono bastati, per fare arrendere l’intero battaglione!". Insomma: otto settembre.

* * *
Dopo l’otto settembre non si discute più coi vecchi generali - i Graziani, i Badoglio, persino i "liberali" come Roatta. Son tutti similissimi fra loro. Non hanno più nulla da dire, salvo tradire del tutto e definitivamente o tirarsi da parte. Da loro lezioni non ne vogliamo più, di nessun tipo. Si parla invece, fraternamente e attentamente, con tutti coloro che "non mollare", di qualunque tipo. Dal tenentino sbandato, ligio al suo Regio Esercito e al suo Ds, all’anarchico bestemmiante nel nome di Beppe Grillo; dal carabiniere fedele alle stellette e a Di Pietro alla ragazza precaria seguace di F.& Martello in una delle sue quattrodici varianti. Tutti possono fare, tutti hanno da dire qualcosa. Con tutti bisogna parlare, ciascuno di loro, per confuso che sia, comunque è meglio di tutti i generali sabaudi che hanno tradito.

Infine, secondo me, un’idea ci sarebbe. E’ quella della lotta alla mafia, il modello vincente. E’ stata fino a questo momento l’esperienza unica - parliamo dell’antimafia vera, non di quella marmorea e da fiction che si diffonde ora - in cui lotta dura e unità si siano, in alcuni momenti e alcuni luoghi, fusi insieme e abbiano per qualche tempo anche vinto. Studiatela, se volete. Studiatela voi dell’Onda, soprattutto, ora che la vostra lotta sta già cominciando a rifluire (per mancanza di lingua e di memoria; eppure era una buona lotta); Cos’è successo nel ’93, in Italia? Non ho voglia di chiacchierarne ancora: andate sulle fonti, e studiatelo. In cosa ha funzionato, e in che cosa no, la strategia di allora? Che cosa hanno concluso i nostri uomini - alcuni ci sono ancora - di quel periodo, e in che cosa hanno sbagliato? Dove si sono fermati? Da dove si può riprendere? Da dove ricominciarono - nel fascismo primo - Gramsci e Gobetti?

Queste sono le domande di ora, Andrea, Leandro, Norma, Leonardo, Federico, Cristina. Non aspettatevi la risposta, non ve la darà nessuno e men di tutti io. Ma è facile trovarla da soli, se veramente vi serve e se davvero la volete.

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