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Se le bombe sono più clandestini

Dell’ennesima zuffa interna alla maggioranza sulla politica estera resta, certo, la sensazione che qualcosa si sia effettivamente rotto nel rapporto tra Bossi e Berlusconi, così come nel partito di Bossi e in quello di Berlusconi. Ma non è questo a stupire: tra il Cavaliere e il senatur il sodalizio è stato da sempre tormentato. E questa maggioranza ha passato sostanzialmente l’intera legislatura a farsi la guerra. Ci sono, tuttavia, due motivi di stupore.

Il primo è che si continuino a prendere sul serio le minacce leghiste alla stabilità dell’Esecutivo. Eppure la saggezza popolare, in questi casi più che mai adeguata come strumento cognitivo, insegna che «can che abbaia non morde». Non senza una prospettiva di tornaconto politico, si deve aggiungere con un altrettanto adeguato cinismo. Se Fini ha rotto dopo mesi di schermaglie, insomma, è perché aveva in mente un progetto alternativo a quello che lo accomunava a Berlusconi. Lo stesso non si può dire della Lega: andando da sola si condannerebbe a un complicato equilibrismo che rischierebbe di emarginarla dalle stanze del potere; e che intenda traslocare nuovamente a sinistra sembra al momento, nonostante i tentativi di dialogo con il Pd sul federalismo, fantapolitica. Così abbaia, ma si guarda bene dal mordere. Ergo: tanto rumore per nulla. Un misto di campagna elettorale e preparazione al riassetto di entrambi i partiti che avrà luogo nel dopo-amministrative.

Il secondo motivo di stupore ha meno a che fare con le alchimie del Palazzo e più con la nostra società. Perché a stupire è il grado di indifferenza con cui è stato accolto l’argomento leghista, ribadito in prima pagina su La Padania di oggi, secondo cui «bombe uguale più clandestini». E cioè che l’intervento militare in Libia sia da condannare non per ragioni umanitarie, per una qualche variante dell’ideale pacifista o per chissà che calcolo strategico che restituisce, come risultato dei bombardamenti, più morti insensate e più instabilità nel Paese. Ma per il puro e semplice interesse di bottega di non vedere migliaia di disperati approdare alle nostre coste in cerca di aiuto. Non per la disperazione dei disperati (quelli bisogna «aiutarli a casa loro», qualunque cosa ciò significhi in un Paese in guerra), ma per quella dei padani costretti ad accoglierli. Proprio quando vorrebbero semplicemente mandarli «fuori dalle balle».

Questa indifferenza, dovuta forse all’assuefazione a vent’anni di leghismo, misura le difficoltà della nostra convivenza civile e della nostra democrazia ben più del rincorrersi delle dichiarazioni contraddittorie e improvvisate della maggioranza. Sempre che il leghismo non sia l’effetto, invece della causa, di quell’indifferenza. Allora allo stupore dovrebbe sostituirsi una forma particolarmente rassegnata di preoccupazione per ciò che ci attende.

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