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Scoprire che leggere (e scrivere) fa bene grazie a Massimo Gramellini

E' un sabato mattina e ho appena finito di leggere il libro di Massimo Gramellini, "Fai bei sogni", comprato il giorno prima alla stazione mentre aspettavo il treno.

Resto un altro po' a letto per lasciar sedimentare tutte le parole che ho immagazzinato, immobile, come quando si mette un pugno di sabbia in una bottiglia piena d'acqua: i granelli, a rallentatore, vanno giù, fino a formare uno strato solido sul fondo. Poi, all'improvviso, come piccole bolle d'aria i pensieri riaffiorano in superficie: ho letto un bel libro, Gramellini ha il dono della parola.

Io lo conosco per il "Buongiorno" che dà sul quotidiano La Stampa, e per le sue apparizioni in tv da Fabio Fazio: un giornalista pungente, ironico e diretto. Mi piace il suo stile. Il romanzo che ha scritto, però, rivela una persona estremamente differente: la sua storia è autobiografica e incentrata tutta sulla scomparsa di sua mamma, avvenuta quando era un bimbo di 9 anni.

Quanto sono importanti i genitori, entrambi i genitori? E quanto incide la presenza insostituibile della figura materna in un bambino, che sarà anche un adolescente e poi un uomo?

Queste domande mi sono nate sfogliando il libro pagina dopo pagina: la storia di Gramellini racconta proprio il trauma subìto da piccolo, portato avanti fino all'età adulta. La sensazione di sentirsi un bambino diverso per non avere la mamma all'uscita di scuola, quando un esercito di donne aspettano i loro figli; il rapporto con il papà, la figura che resta ma che sembra non essere all'altezza della situazione; la relazione con le donne e con l'amore, filtrata sempre da quell'ombra che non scompare mai.

Ma, soprattutto, il peso di avere a che fare con se stessi, capire di non riuscire ad essere completamente autentici, di fronte a qualcosa di ancestrale mai risolto. Sullo sfondo la scuola, gli amici e i parenti, il calcio e il lavoro, i trasferimenti e le solite responsabilità dei "grandi". E la foto di una persona che non invecchia, ma neanche parla.

Gramellini ha fatto un viaggio dentro al suo mondo interiore, per imparare a vivere, per diventare ciò che è: per riuscirci, ha dovuto affrontare la realtà, una verità brutale ma altrettanto liberatoria. E la scrittura, nel suo caso, credo abbia avuto la funzione di una cura, una sorta di autoanalisi in cui, solo con i suoi "mostri", ha trovato il coraggio di buttarsi, di buttare fuori tutto quello che gli impediva di essere se stesso. Per tornare a fare bei sogni. E chi lo legge non può fare a meno di capire cose nuove. Sì, Gramellini ha il dono della parola.

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