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Scajola, Dell’Utri e lo Stato parallelo, quella cena a casa di Billè...

Un sistema economico-finanziario-criminale complesso che opera nell’ombra e sostiene interessi imprenditoriali illeciti coinvolgenti svariati settori, in cui ciascuno è parte di un tutto e al quale contribuisce fornendo i propri canali e le proprie conoscenze per ottenere vantaggi enormi.

 Poteri forti, fortissimi, una supercupola ove opererebbero in contiguità ex uomini di governo, parlamentari, faccendieri, industriali, appartenenti delle forze dell’ordine, affiliati di mafia e ‘ndrangheta, massoni (alcuni dei quali con un passato nella P2 di Licio Gelli), dirigenti di punta del complesso militare-industriale, finanche qualche giornalista professionista. Uno Stato parallelo che secondo la Direzione Investigativa Antimafia di Reggio Calabria avrebbe dato il proprio sostegno per garantire le fughe e latitanze dorate all’estero di due ex parlamentari di primo piano del partito azienda di Silvio Berlusconi, Marcello Dell’Utri e Amedeo Gennaro Matacena, “pacificamente vicini ad associazioni mafiose, rispettivamente siciliane e calabresi”.
 
“L’intensità e la caratura degli enunciati rapporti, esaminati soprattutto alla luce delle risultanze investigative romane, postulano necessariamente una stretta correlazione tra le due vicende che hanno visto quali protagonisti i due politici, vale a dire quella della fuga in Libano dell’ex senatore Dell’Utri, ed il trasferimento a Dubai dell’ex deputato Matacena, ove tuttora - da latitante - risulta dimorare”, riporta la DIA nella sua informativa sullo Stato parallelo, redatta il 19 aprile 2018. “Le acquisizioni investigative hanno documentato la sicura esistenza di una rete di rapporti e basi logistiche in grado di supportare la condizione di latitanza di soggetti la cui notorietà, per il contesto politico di provenienza, è tale da richiedere entrature e condivisione di interessi ad alti livelli. Si è disvelata la piena operatività di un vasto e qualificato numero di soggetti dedito alla commissione di condotte delittuose di particolare gravità, alcune contro il patrimonio, finalizzate a schermare la reale titolarità di imponenti cespiti patrimoniali in capo ad Amedeo Gennaro Matacena, indi volte ad aiutare il predetto a sottrarsi alla esecuzione della pena a lui applicata…”.
 
L’informativa della Direzione Investigativa Antimafia è frutto di un’attività d’indagine avviata nell’ottobre 2014 e oggi è agli atti del processo che vede imputato al Tribunale di Reggio Calabria l’odierno sindaco di Imperia, Claudio Scaloja (pluriministro di Forza Italia negli esecutivi di Silvio Berlusconi tra il 2001 e il 2010), con l’accusa, appunto, di aver favorito la latitanza di Amedeo Gennaro Matacena, condannato a tre anni per concorso esterno in associazione mafiosa.
 
“Nell’ambito del presente procedimento, apprezzabile rilevanza investigativa hanno assunto le complesse attività tecniche ritualmente autorizzate sia nei confronti di Chiara Rizzo, moglie di Matacena, sia nei riguardi dell’ex parlamentare Claudio Scajola, entrambi implicati nelle condotte finalizzate, preliminarmente, a favorire la sottrazione del Matacena all’esecuzione della pena disposta dalla Procura Generale presso la Corte di Appello di Reggio Calabria e, successivamente, ad agevolare il tentativo di trasferimento del medesimo dall’Emirato di Dubai alla Repubblica del Libano, con lo scopo di proteggerlo da una possibile estradizione in favore dello Stato italiano”, riportano gli inquirenti calabresi. “L’apporto concorsuale di Claudio Scajola nel proposito criminoso di condurre a buon fine le operazioni in favore del Matacena, si è sostanziato nel contributo logistico e nella consistente e fitta rete di relazioni personali e fiduciarie posta funzionalmente nella disponibilità dei coniugi Matacena, al fine di tutelare i comuni interessi di natura economica ed imprenditoriale. Per tale ragione Scajola ha mantenuto frequenti contatti con Chiara Rizzo, informandola costantemente in merito agli esiti delle attività dal condotte (…) che avevano come finalità quella di condurre il citato armatore in un paese sicuro, individuato nella capitale della Repubblica del Libano”.
 
L’intermediario Mister Esse
Un ruolo di particolare rilievo nel progetto funzionale al trasferimento di Matacena da Dubai al Libano è stato svolto da Vincenzo Speziali, imprenditore originario di Melito di Porto Salvo (Rc), domiciliato di fatto a Beirut. Speziali, in particolare, avrebbe fatto da intermediario tra l’ex ministro Scaloja ed il referente libanese, l’ex Presidente Amin Gemayel (a capo della Repubblica del paese dei cedri dal settembre 1982 al settembre 1988, nonché figlio di Pierre Gemayel, il fondatore del partito delle Falangi), che “aveva asseritamente offerto le necessarie garanzie in ordine al rigetto della richiesta di estradizione del Matacena da quel territorio”. Il 29 gennaio 2018 l’imprenditore ha patteggiato davanti al Gup del Tribunale reggino la pena di 12 mesi di reclusione per aver favorito la latitanza dell’ex parlamentare forzista.
 
“Speziali è stato uno degli artefici di tale trasferimento, assumendo consapevoli condotte finalizzate alla protezione economica di uno dei più potenti ed influenti concorrenti esterni della ‘ndrangheta reggina”, scrive il GIP del Tribunale di Reggio Calabria Olga Tarzia, nell’ordinanza di applicazione della misura cautelare emessa il 2 marzo 2015. “Claudio Scajola, Vincenzo Speziali e altre persone sottoposte ad indagine divengono funzionali pedine del complessivo sistema criminale, in quanto in grado di garantire interlocuzioni costanti con apparati istituzionali e professionali ridondanti in favore del Matacena, schermato dietro persone giuridiche riconducibili indirettamente alla di lui coniuge Chiara Rizzo (…) È di tutta evidenza che Vincenzo Speziali sia al centro di una rete di collegamenti e di interessi fortemente orientati a garantire l’impunità…”.
 
Alla base della particolare influenza di Vincenzo Speziali in quello che la DIA chiama lo Stato parallelo, la sua appartenenza ad una delle famiglie imprenditrici più potenti in Calabria; in particolare egli è il nipote, omonimo, di Vincenzo Speziale, il noto imprenditore originario di Bovalino deceduto nel 2016, già al vertice di un importante gruppo industriale ed ex dirigente dell’ENI, già alla guida di Confindustria Calabria e dal 2001 al 2006 presidente della Sacal, la società di gestione dell’aeroporto di Lamezia Terme. Vincenzo Speziali senior ha pure ricoperto gli incarichi di membro del consiglio di reggenza della Banca d’Italia e di vicepresidente della Banca Popolare di Crotone e nel 2008, dopo aver fatto ingresso nella vita politica attiva con il Popolo della Libertà, era riuscito a farsi eleggere al Senato nella XVI Legislatura.
 
Determinanti poi le relazioni privilegiate intrattenute da Vincenzo Speziali junior con gli apparati istituzionali della Repubblica del Libano, anche grazie al fatto di essere coniugato con la cittadina libanese Rizk Joumana, nipote dell’ex presidente Amin Gemayel. “Lo Speziali ha messo a frutto compositi ed accreditati rapporti che gli hanno permesso di estendere la sua rete in Italia con importanti politici nazionali, con appartenenti delle forze dell’ordine e rappresentanti dell’imprenditoria e con soggetti iscritti alla vecchia Loggia P2 come Emo Danesi, già parlamentare Dc, tessera 1916 della loggia massonica diretta da Licio Gelli, e il faccendiere ed ex giornalista Luigi Bisignani (tessera P2 n. 1689)”, scrive la DIA.
 
L’imprenditore è stato pure ritenuto artefice del trasferimento dell’ex senatore Marcello Dell’Utri a Beirut alla vigilia del pronunciamento della Corte di Cassazione sulla sua condanna a sette anni di reclusione per associazione mafiosa emessa dalla Corte d’appello di Palermo. Nella capitale libanese, il 12 aprile 2014 Dell’Utri veniva individuato e catturato grazie alle attività d’indagine del Centro Operativo DIA di Palermo. “Il rapporto tra Vincenzo Speziali e Marcello Dell’Utri è consolidato, tanto da aver generato in un periodo di 18 mesi un intenso flusso telefonico pari a circa 400 contatti, sintomatico di una buona conoscenza e di rapporti anche nel lasso temporale immediatamente precedente lo spostamento del politico in Libano”, annotano gli inquirenti. E come per la latitanza di Amedeo Matacena, anche per quella di Marcello Dell’Utri avrebbe giocato un ruolo chiave l’ex premier libanese Amin Gemayel, così come del resto ammesso pubblicamente dal padre-padrone di Forza Italia, Silvio Berlusconi.
 
“A seguito delle parole pronunciate agli organi di stampa dall’ex parlamentare Berlusconi che aveva coinvolto Gemayel nella vicenda della latitanza di Dell’Utri in Libano, la paura e l’irritazione si impadronivano dell’indagato Speziali che, nel tentativo di affrancarsi da tali sospetti, si rendeva meno disponibile a portare a termine l’impegno assunto con Scajola in favore di Amedeo Gennaro Matacena, ancorché confermerà, attraverso le sue stesse parole, l’interessamento concreto e reale verso le sorti del citato catturando”, aggiunge la DIA di Reggio Calabria. Allo scopo di professare la sua totale estraneità alla vicenda, nel mese di aprile 2014, “ovverosia nel breve intervallo temporale trascorso tra l’emissione della condanna definitiva, il susseguente provvedimento di cattura e l’arresto a Beirut del precitato Marcello Dell’Utri”, Vincenzo Speziali si adopera per chiedere l’intervento del maresciallo della Guardia di Finanza Ercole D’Alessandro, in servizio presso il G.O.A. di Catanzaro, affinché interceda presso i suoi colleghi. “Non è inutile in proposito evidenziare – aggiunge la DIA - che Speziali ha da tempo posto in essere una campagna stampa intimidatoria, grazie anche al supporto di una professionista messagli a disposizione dal medesimo apparato cui è riconducibile tale Marcello Trento (soggetto che ufficialmente si occupa di progettazioni nel campo dell’energia alternativa), sottesa a denigrare e stigmatizzare in ogni forma l’operato dei Magistrati ed Ufficiali di polizia giudiziaria che lo hanno sottoposto alla presente indagine ed ai quali non risparmia invettive ed insulti”.
 
L’apparato dell’accoglienza latitanti & C.
Nonostante il disperato tentativo di Speziali di allontanare i sospetti su un suo diretto coinvolgimento con la fuga di Dell’Utri, alcune delle conversazioni intercettate dagli inquirenti hanno confermato “l’interessamento concreto e reale verso le sorti di Matacena che dal mondo dorato degli Emirati continua ad usufruire dell’opera di soggetti che in qualunque modo si impegnavano per trovare soluzioni favorevoli, ivi compresa l’attivissima moglie, Chiara Rizzo e l’ex ministro, Claudio Scajola, che della causa del latitante (Matacena) ne aveva fatto una questione del tutto personale”. Nelle intercettazioni telefoniche tra Vincenzo Speziali e Claudio Scajola, annotano gli inquirenti, “il primo non solo si affretta a comunicargli la fattibilità del piano e l’interesse specifico e diretto di Gemayel nei confronti del Matacena, ma spiega pure tutte le cautele per rendere impossibile l’individuazione da parte di terzi dell’importante uomo politico, facendo chiaramente comprendere che per lo spostamento sono coinvolte più persone a Dubai, dato, questo, evocativo di una partecipazione che trascende la singola persona ed è lontana dall’idea che trattasi di un favore personale…”.
 
“Nei rapporti tra Speziali e Scajola si coglie l’esistenza di un patto illecito vissuto in modo del tutto normale fino al momento della vicenda Dell’Utri, anzi si può ben rilevare come vi sia uno sbilanciamento del primo verso prospettive di favore per il Matacena, ritenuto una figura e un personaggio meno ingombrante dell’altro politico”, ha scritto il GIP del Tribunale di Reggio Calabria nel provvedimento cautelare a carico dell’imprenditore calabrese. “La tesi è che l’idea dell’accoglienza fosse nelle corde dello Speziali e che tanto poteva avvenire perché intorno a lui c’era tutto un apparato idoneo a recepire e preparare situazioni come quelle auspicate dallo Scajola (…) Quello che emerge, per quanto di interesse, è la certezza di una attività dedicata e specifica in cui lo Speziali ha un ruolo professionale di accoglienza all’estero di personaggi discussi cui garantisce la latitanza. Personaggi, che a loro volta godono di guarentigie e di appoggi qualificati in elevati ambienti istituzionali e paraistituzionali….”.
 
La Direzione Investigativa Antimafia di Reggio Calabria ha ricostruito nella sua informativa del 19 aprile 2018 gli scenari e i contatti che sarebbero all’origine dellaLibano connection poi utilizzata dallo Stato parallelo per favorire le latitanze dei due ex parlamentari berluscononiani. Particolarmente utile alle indagini la conversazione intercettata l’8 novembre 2013 nel corso di un procedimento penale pendente presso la Procura Distrettuale di Roma all’interno del ristorante capitolino “Assunta madre”, tra Alberto Dell’Utri, fratello gemello di Marcello, e l’imprenditore catanese Vincenzo Mancuso, fratello dell’ex deputato regionale Pdl Fabio Mancuso, già maresciallo della Guardia di finanza ed ex sindaco di Adrano, tratto in arresto nel 2012 nell’ambito di un’inchiesta su presunte frodi fiscali. “Marcello dieci giorni fa ha cenato a Roma con un politico importante del Libano, che è stato presidente”, spiegava Alberto Dell’Utri all’interlocutore. “Il 14 prossimo dovrebbe andare a Beirut. Gennaro conosce questo personaggio e gli ha detto non ti fidare”.
 
Gli inquirenti identificarono presto il Gennaro citato nella conversazione con il noto faccendiere Gennaro Mokbel. “Costui, pseudo imprenditore e pregiudicato dal consistente spessore criminale, risulta da tempo nelle mire degli investigatori del ROS Carabinieri e della Squadra Mobile romana”, scrive la DIA. “Protagonista della truffa milionaria Telecom-Sparkle (Operazione Broker dove ha riportato la condanna in appello a 10 anni e mezzo), unitamente al consulente milanese di Finmeccanica, Lorenzo Cola ed il commercialista di quest’ultimo, Marco Iannilli, è stato coinvolto nell’affare Digint, ovvero la società di cui Lorenzo Cola gli fece acquistare il 51% per circa 8 milioni di euro, promettendogli affari milionari una volta che Finmeccanica avesse riacquistato detta compagine che doveva, nei loro intenti, gestire la sicurezza del gruppo. In realtà la Digint, partecipata nel restante 49% da Finmeccanica, era una scatola vuota finalizzata alla costituzione di fondi neri esteri. Il progetto criminoso non si è mai realizzato poiché i predetti, coinvolti nella megafrode da due miliardi di euro ai danni dell’Erario, verranno poi tratti in arresto nel luglio 2010 dai Carabinieri del ROS. Nello specifico contesto dell’indagine, al consulente personale del presidente ed amministratore delegato di Finmeccanica, Pierfrancesco Guarguaglini, ed alla di lui moglie, amministratore delegato di Selex Sistemi Integrati S.p.A., Marina Grossi, viene contestato il reato di riciclaggio del danaro (8 milioni di euro circa) versato da Gennaro Mokbel per l’acquisto del 51% della Digint S.r.l….”.
 
All’ombra dell’holding delle armi Finmeccanica-Leonardo
Gli inquirenti rilevano altresì come l’inchiesta Broker, coordinata dalla Procura della Repubblica di Roma, aveva evidenziato il ruolo di Gennaro Mokbel, sostenitore dell’allora senatore del Pdl Nicola Paolo Di Gerolamo (poi condannato a 5 anni di reclusione per l’inchiesta Digint), quale trait-d’union tra la ‘ndrangheta e le società di telecomunicazioni. “L’attività investigativa ha appurato come il sodalizio criminale abbia sostenuto la candidatura del citato parlamentare alle elezioni politiche dell’aprile 2008, in qualità di rappresentante al Senato della Circoscrizione Estero-Europa, attraverso operazioni di voto irregolari e raccolta di voti tra emigrati calabresi in Germania, mediata da soggetti messi a disposizione dalla cosca Arena di Isola Capo Rizzuto”, scrive la DIA. “Più in dettaglio, si documentava la personale collaborazione di Mokbel, Marco Iannilli, Nicola Di Girolamo, Franco Pugliese e delI’avvocato Paolo Colosimo (già legale di fiducia di alcuni affiliati del clan, in particolare di Fabrizio Arena, genero del Pugliese), al fine di raccogliere le schede elettorali sulle quali apporre i falsi voti per l’elezione del Di Girolamo, in cambio di denaro ed altri beni da cedere al Pugliese, soggetto già sottoposto alla misura della sorveglianza speciale di P.S., attraverso la fittizia intestazione di un natante di rilevante valore”.
Il commercialista Marco Iannilli fu nuovamente arrestato il 19 novembre 2011 dalla Procura della Repubblica di Roma in quanto ritenuto responsabile del reato di procurata evasione fiscale commessa in favore della Selex Sistemi Integrati, azienda dell’holding Finmeccanica. Il 10 luglio 2013, lo stesso Iannilli fu invece tratto in arresto con l’accusa di bancarotta fraudolenta, riciclaggio e interposizione fittizia a seguito del fallimento della Arc Trade S.r.l., società specializzata in sistemi informatici nel settore della meteorologia. “Dall’esame di siffatte vicende giudiziarie si evince che Marco Iannilli è stato tratto in arresto unitamente a Manlio Fiore, il direttore commerciale di Selex S.I., che ha introdotto in azienda ed ha sottoscritto, per conto della stessa, un contratto di consulenza in favore di Vincenzo Speziali, dopo che quest’ultimo era stato presentato al Fiore da Marco Forlani, già capo dell’ufficio relazioni internazionali di Finmeccanica”, osserva la DIA. Per la cronaca, Marco Forlani è figlio dell’ex segretario Dc Arnaldo Forlani, già presidente del consiglio e più volte ministro in dicasteri chiave quali Difesa, Esteri, ecc.. Sentito dalla polizia giudiziaria il 3 novembre 2015, l’ex responsabile relazioni internazionali dell’holding militare-industriale ha confermato i rapporti di conoscenza con lo Speziali. “Probabilmente ad introdurlo nella sfera delle mie conoscenze è stato mio fratello Alessandro che conosceva lo Speziali perché appartenente alla sfera degli ex democristiani”, ha dichiarato Forlani. “Abbiamo organizzato un viaggio in Libano perché, in un periodo di generale crisi, come società Finmeccanica eravamo molto interessati ad investire nel mondo arabo, ritenuto inizialmente più interessante. In Libano ci accolse lo Speziali che ci invitò a pranzo e poi ci portò a casa di Gemayel per dei saluti. Gemayel lo vidi una seconda volta a Roma presso l’Hotel Minerva unitamente alla Grossi, Guarguaglini (all’epoca rispettivamente amministratori delegati di Selex e Finmeccanica, ndr,) e lo Speziali. L’ultima volta che vidi quest’ultimo è stato nel mese di novembre 2013 in Finmeccanica per prendere un caffè e mi rappresentò che Gianni De Gennaro intendeva sostituirmi, cosa che però non avvenne”.
 
I mafioneri di Roma Capitale
Riprendendo l’esposizione su Gennaro Mokbel, la DIA segnala che nel 2014 questi era stato sottoposto ad indagine da parte dei Carabinieri del ROS perché “al fine di procurarsi un ingiusto profitto con altrui danno, mediante violenza e minacce - consistite nel prospettargli di ucciderlo, nel terrorizzarlo e nel pigliarlo per il collo - poneva in essere atti idonei diretti in modo non equivoco a costringere Marco Iannilli a restituire l’ingente somma di denaro (circa sette - otto milioni di euro), comprensiva dell’attesa remunerazione, consegnatagli un anno prima per investirla nell’operazione Digint”. L’evento delittuoso non si sarebbe poi verificato per l’intervento provvidenziale del boss della Banda della Magliana Massimo Carminati, “il quale, su richiesta della vittima, la proteggeva da Mokbel, affinché deflettesse dalle condotte minatorie e vessatorie”. Dall’ordinanza di custodia cautelare emessa nell’ambito del procedimento penale noto come Mafia Capitalesi evince che Marco Iannilli sarebbe stato il prestanome di Massimo Carminati, tant’é che nel medesimo provvedimento coercitivo gli viene contestato - in concorso con Carminati stesso – l’elusione delle disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali. “Massimo Carminati attribuiva fittiziamente a Marco Iannilli la titolarità della villa in Sacrofano (Roma), con relativa pertinenza, ubicata in via Monte Cappelletto”, scrivono gli inquirenti. “Di conseguenza si deduce che l’alienazione dell’immobile rappresenti in buona sostanza il prezzo che Iannilli ha dovuto pagare per ottenere protezione dal Carminati, a fronte delle minacce patite da parte di Gennaro Mokbel. Vale nella circostanza precisare che il rapporto tra Carminati e Mokbel risale agli anni ’80, essendo risaputa e comprovata la loro comune militanza nelle rispettive compagini eversive dell’estrema destra romana, Nuclei Armati Rivoluzionari ed Ordine Nuovo, nonché la familiarità agli ambienti criminali ai quali tali formazioni risultavano contigue”.
L’attività investigativa sviluppata dai Carabinieri del ROS nell’ambito dell’inchiestaMafia Capitale ha pure documentato diversi incontri tra Gennaro Mokbel (in alcune circostanze insieme alla moglie Giorgia Ricci) ed i fratelli Marcello ed Alberto Dell’Utri, nel periodo che ha immediatamente preceduto l’ordine di cattura emesso dalla Corte di Appello di Palermo nei confronti dell’ex parlamentare di Forza Italia. Si tratta di ben sette convivi in importanti ristoranti romani tra l’11 novembre 2013 e il 19 febbraio 2014. Nel primo di essi, all’interno della sala privè del ristorante “La Camilluccia” di via Mario Fani, i ROS hanno segnalato pure la presenza di Gianluigi Grassi “soggetto già emerso in contatto con Gennaro Mokbel nell’ambito del procedimento Broker”. Ex pilota di linea, Gianluigi Grassi risulta coniugato con Doreen Ruyondo, sorella di Kwame Ruyondo, figlio adottivo del generale Caleb Akanwanaho, fratello del Presidente dell’Uganda Yoweri Kaguta Museveni, ininterrottamente in carica dal 1986. “Il Grassi, in ragione di siffatta parentela avrebbe favorito l’acquisizione in quel paese africano, in favore proprio del Mokbel, di una concessione diamantifera al costo di 1 milione di euro”, spiegano gli inquirenti.
Un mese prima dell’incontro tra Morkel, Grassi e i fratelli Dell’Utri, nei giorni 13, 14 e 15 ottobre 2013 Amin Gemayel era in visita in Italia accompagnato in ogni suo spostamento da Vincenzo Speziali. “Gemayel ha alloggiato presso l’albergo Eden di Roma ove, nei coincidenti giorni 14 e 15 ottobre 2013, hanno pure soggiornato il noto Marcello Dell’Utri e il banchiere libanese Robert Sursock, residente a Parigi, Presidente e amministratore delegato di GazPromBank Investment Sal e di Primecorp Finance SA”, ha accertato la DIA. “La sera del 14 ottobre 2013 Vincenzo Speziali e Amin Gemayel si sono recati a cena insieme a Marcello Dell’Utri presso l’abitazione romana della signora Constanta Raducanita, nata in Romania e deceduta nel febbraio 2016, compagna dell’ex parlamentare Giuseppe Salvatore Pizza”. Originario di Sant’Eufemia d’Aspromonte, già consulente delle società di comunicazione Carat SpA e Aegis Media Italia SpA di Milano, a partire del 2003 Giuseppe Salvatore Pizza ha ricoperto l’incarico di segretario nazionale della rinata Democrazia Cristiana. In precedenza era stato componente della direzione nazionale e della Giunta esecutiva con le segreterie politiche rette da Arnaldo Forlani prima e Amintore Fanfani poi. Dopo essersi alleato alle elezioni politiche del 13 e 14 aprile 2008 con il partito del Popolo della Libertà, Pizza è stato nominato Sottosegretario di Stato all’Istruzione, Università e Ricerca Scientifica (in carica dal 12 maggio 2008 al 16 novembre 2011).
 
Indovina chi viene a cena a casa Billè…
“A seguito del sopra riportato incontro del 14 ottobre 2013, avvenuto presso l’abitazione dell’ex parlamentare Pizza, è stato preliminarmente accertato dall’analisi del traffico telefonico che l’ex onorevole Claudio Scajola, nei giorni 16 e 17 ottobre 2013, ha avuto tre colloqui telefonici con l’utenza cellulare in uso a Vincenzo Speziali”, aggiunge la Direzione Investigativa Antimafia. “Sicché appare probabile ipotizzare che lo Scajola si sia incontrato con lo Speziali, e verosimilmente con Amin Gemayel, avendo l’ex onorevole raggiunto la Capitale, con il volo AZ1384 proveniente da Genova, proprio il giorno 15 ottobre 2013, per fare rientro nel capoluogo ligure, con le medesime modalità, il successivo giorno 16 (…) Appare quindi ragionevole sostenere che, a seguito dell’avvenuto incontro con Speziali e, ripetiamo, verosimilmente con Amin Gemayel, lo Scajola abbia nella circostanza ricevuto assicurazioni in merito al possibile trasferimento del Matacena da Dubai a Beirut, entrambe definite dall’interlocutore delle grandi Montecarlo. Si arguisce anche dalle conversazioni captate, che Scajola dovrà nuovamente incontrare i suoi amici libanesi per definire, verosimilmente a cena, i dettagli dell’operazione”.
L’appuntamento verrà fissato per il 17 dicembre 2013 presso l’abitazione romana di Sergio Billè, noto pasticcere messinese già presidente della Confcommercio, condannato due anni e mezzo prima in primo grado a tre anni di reclusione dal Tribunale di Roma per corruzione a seguito dell’assegnazione del patrimonio immobiliare dell’Enasarco alla Magiste Real Estate S.p.A. dell’immobiliarista Stefano Ricucci. “È parere di questo Ufficio che a quest’ultimo appuntamento cui fa riferimento lo Scajola, l’ex Ministro non abbia preso parte, ancorché un dato significativo, in assenza di un riscontro certo e documentale del prospettato incontro, viene direttamente fornito dall’agenda informatica personale dell’ex parlamentare Scajola, gestita dalla sua segretaria Roberta Sacco ed oggetto di sequestro”, riportano gli inquirenti. “In concreto, tra le numerose mail elettroniche cancellate dalla donna, tecnicamente e ritualmente recuperate, di apprezzabile interesse investigativo si era da subito rivelata quella oggetto di cancellazione alle ore 13.45 dell’11 dicembre 2013 in quanto, nell’allegata agenda mensile, in corrispondenza della giornata di martedì 17 dicembre è riportato: 20.30-Roma Cena Vincenzo/Dell’Utri”.
Agli atti d’indagine è allegata la testimonianza di Stefano Ricucci, tra i partecipanti alla cena in casa Billè. “Si, conosco Vincenzo Speziali, mi è stato presentato nel 2013, non ricordo il mese esatto ma ricordo che faceva caldo (presumo settembre/ottobre), da Sergio Billè qui a Roma dopo che questi erano stati ad un appuntamento con Claudio Scajola”, ha riferito l’immobiliarista nell’interrogatorio del 25 giugno 2015. “Alla cena fatta il 17 dicembre 2013 c’eravamo io, Sergio Billè con la moglie, Robert Sursock con una donna che lo accompagnava, Giuseppe Pizza. Eravamo circa sei/sette persone. Non ricordo se vi era anche Emo Danesi. La cena era stata organizzata da Sergio Billè in onore di Sursock, che in passato a me e Billè ci aveva invitato a cena a Beirut (…) No, non ho mai conosciuto e incontrato Claudio Scajola”.
 
Dieci giorni dopo il convivio, gli inquirenti intercettarono una telefonata tra Claudio Scajola e l’amica Chiara Rizzo. “Deve andare dentro un posto dove c’è Antonio, perché se va lì dentro allora loro direttamente se lo prendono da lì… Antonio di Montecarlo… Si tiene infatti… il gemello di Antonio…”, diceva cripticamente la moglie di Matacena al suo interlocutore. “È di tutta evidenza – conclude la DIA - che i dettagli dell’operazione finalizzata al trasferimento del latitante, i riferimenti alla sede diplomatica, il gemello di Antonio di Montecarlo (l’ambasciatore del Principato di Monaco Antonio Morabito, ndr.) e l’acquisita disponibilità alla realizzazione del piano di fuga, rappresentino elementi informativi di assoluta rilevanza, verosimilmente ottenuti dal medesimo Scajola in occasione di un incontro realizzato con i suoi amici libanesi (Vincenzo Speziali ndr.), pochi giorni prima rispetto alla riportata conversazione telefonica…”.
 
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