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Sanità: e se ragionassimo all’inglese?

Una riforma per gli ammalati e gli operatori della sanità

In materia di riforme sanitarie si può pensarla in molti modi, è un po’ come una terapia che deve saper curare le inadempienze senza trascurare il rafforzamento dei punti di forza e lo sviluppo di nuovi modelli assistenziali. Ultimamente sopra la Manica il governo Cameron si dà un po’ da fare con riforme che sanno tanto di scure sul welfare blairiano, ma tant’è.

C’è una cosa che sembra davvero rilevante in materia sanitaria in riferimento all’assistenza territoriale: un minor peso della politica, della burocrazia ed un minor centralismo ospedaliero. Ciò conduce, al contrario, ad un’attenzione mirata al cittadino, al territorio inteso come sistema delocalizzato competente sulle reali esigenze e mette al centro il general practitioner come responsabile gestionale in consorzi che collaborano con i cittadini e le istituzioni locali.

Il tutto poi vede l’abolizione delle Strategic Health Authorities ed i Primary Care Trusts con la responsabilizzazione dei pazienti a cui è richiesta l’aderenza a programmi terapeutici e l’adozione di corretti stili di vita. Si prevede inoltre l’aumento di medici ed infermieri a scapito dei burocrati amministrativi e dei manager politicizzati (da noi i direttori generali nella maggior parte dei casi). Interessante risulta la semiprivatizzazione degli ospedali al fine di creare maggiore competitività con i nosocomi del NHS che si trasformano in Fondazioni.

Sicuramente non è la panacea, ma rappresenta un passo deciso verso la liberazione degli operatori sanitari da logiche di potere politico che non dovrebbero essere in gioco quando si parla della nostra salute.

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