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Rossana Rossanda lascia il Manifesto

Preso atto della indisponibilità al dialogo della direzione e della redazione del manifesto, non solo con me ma con molti redattori che se ne sono doluti pubblicamente e con i circoli del manifesto che ne hanno sempre sostenuto il finanziamento, ho smesso di collaborare al giornale cui nel 1969 abbiamo dato vita. A partire da oggi (ieri per il giornale), un mio commento settimanale sarà pubblicato, generalmente il venerdì, in collaborazione con Sbilanciamoci e sul suo sito www.sbilanciamoci.info.

Con questa nota, che verrà pubblicata domani sul giornale, il suo giornale, Rossana Rossanda ha annunciato il suo congedo da quello che dal 1969 - l'anno in cui lei, Luigi Pintor, Luciana Castellina, Lucio Magri e Valentino Parlato fondarono il mensile destinato a diventare il quotidiano - è stato il punto di riferimento dell'ultrasinistra italiana (ma più semplicemente della Sinistra tout court); perché "la vera sinistra esiste solo sulla carta", come recita una loro vecchia campagna pubblicitaria. 

La prima domanda non è di «di chi è» ma «che cosa è» il manifesto. Anche per ragioni economiche. Un giornale è nel medesimo tempo una merce, se lettori non lo comprano fallisce. Occorre chiedersi perché da diversi anni abbiamo superato il limite delle perdite consentito ad una impresa editoriale, mentre i costi di produzione salivano. Direzione, Cda e redazione + tecnici hanno sottovalutato questo dato, pur reso regolarmente noto, illudendosi che avremmo recuperato lettori aumentando le pagine e i servizi con un restyling dopo l'altro. E' stato un errore imperdonabile. Se il giornale è di chi lo fa, il suo fallimento è di chi lo ha fatto. Cioè noi.

Scriveva così, a inizio di questo mese, la Comune di Parigi, com'è soprannominata in redazione al manifesto, con il suo stile inconfondibilmente polemico e incommensurabilmente lucido, malgrado sia quasi alla soglia dei 90 anni. E' una "ragazza del secolo scorso", la Rossanda, un pezzo di storia del nostro paese che da qui, da Parigi, vede le cose molto più chiaramente di tanti giornalisti italiani schierati in italianissime trincee. Ed è proprio sulla Francia e sulle elezioni del suo paese adottivo che era scoppiata, qualche mese fa, l'ennesima querelle. Non sembrava dover essere l'ultima, come non sembrava avere un tono finale il suo contributo al dibattito che infuria nel giornale ormai agonizzante, in liquidazione coatta da febbraio e che non pare avere più un futuro.

Mi pare indubbio che il manifesto, qualora resti in vita, debba lavorare sulla base di questa analisi e insistere sul riportare il fattore umano - occupazione e servizi sociali, redistribuzione delle imposte sui ceti più favoriti e sulla finanza - al centro di qualsiasi programma politico che si dica di sinistra. Argomentando modi e tappe e battendosi per spostare i vincoli europei che vi si oppongono. L'inquietudine è grande in vari paesi del continente, e il nostro giornale potrebbe darle argomenti e voce. Si tratta di un lavoro politico e culturale di lunga lena, rivolto senza equivoci a quella parte del paese che non intriga ma pensa e si interroga, smettendo di galleggiare su obbiettivi generici e a breve, nessuno dei quali è riuscito a realizzarsi ad oggi.

"Da dove ripartire", questa la domanda che attanaglia da mesi i grandi vecchi della testata e la direzione capitanata da Norma Rangeri, e che ha portato ad un sanguinoso conflitto interno di cui Vauro, Marco D'Eramo e Joseph Halevi sono state le prime "vittime illustri".

Ora è toccato a lei dare l'addio, alla "grande madre" (speculare e opposta all'altro grande nume tutelare, Luigi Pintor, scomparso nel 2003) che ha tenuto le redini del giornale per 40 anni. La sua scelta insondabile (ma anche, chi legge il manifesto lo sa bene, inevitabile) si trincera dietro quelle poche righe di commiato, troppo poche per una vita intera di battaglie condotte dalle colonne dell'unico quotidiano comunista, e che lasciano uno spazio nero nell'album di famiglia della sinistra italiana. 

 

Foto: Vogue

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.14) 26 novembre 2012 20:32

    l’idea che una voce d’informazione e culturale importante, con una storia gloriosa alle spalle di intellettuali che hanno fatto la sinistra nel nostro Paese, almeno da una certa data in poi, debba per forza restare in vita e per di più grazie alle sovvenzioni di quello Stato contro il quale una critica radicale è d’obbligo appare sempre più come un qualcosa di antistorico. La lucida analisi della Rossanda è sostanzialmente questa e laddove il prodotto non riesce a stare sul mercato per mancanza di lettori deve chiudere. Discorso diverso è se lo stesso prodotto è diventato "avariato" dal punto di vista della economicità di gestione (personale, stipendi, spese varie). In questo caso sarebbe d’obbligo la sua ristrutturazione per abbattere i costi e vedere se con le vendite che ha riesce a rimanere in vita. Il peccato originale risiede nel finanziamento pubblico che ormai oggi è diventato un fatto immorale come qualsiasi finanziamento da parte dello Stato di qualsiasi impresa privata. 

  • Di (---.---.---.177) 26 novembre 2012 20:48

    sinceramente non mi interessa,prendera i finanziamenti da un altra parte quella che ci raccontera il futuro......da parte mia per me i giornali cartacei dovrebbero sparire tutti, le informazioni io me le prendo dal computer ci sono talmente tanti siti ......loro non si arrenderanno noi neppure

  • Di (---.---.---.70) 26 novembre 2012 21:01

    MA POSSONO CHIUDERE TRANQUILLAMENTE TUTTI I GIORNALI. SE AI CITTADINI VENGONO A COSTARE TUTTI QUESTI SOLDI, SIGNIFICA CHE SONO SOLO RUBERIE. ORMAI I LADRI HANNO RUBATO ABBASTANZA E CHIUDIAMO LA STALLA, ORA CHE I BUOI SONO SCAPPATI.

  • Di (---.---.---.64) 27 novembre 2012 11:35

    Io trovo invece che sia importante in un lungo periodo di omogenizzazione della Comunicazione/Cultura, consentire a una voce "diversa" di uscire dal coro.
    Se questo non è più possibile (per i costi davvero insostenibili) sul cartaceo, occorre trasferire Il Manifesto sull’online.
    Già in America (non intesa come faro/guida) ma come anticipatrice di situazioni... Testate, sicuramente più "ricche" de Il Manifesto da mesi pubblicano solo online.
    Forse con contributi bassi e accessibili, molti lettori potrebbero contribuire alla vita del giornale e dei giornalisti.
    Credo sia importante continuare... Prima di ogni considerazione altra.
    Flaminia Mancinelli
    Direttore di una rivista, per l’appunto, online
    www.leggereonline.com

  • Di (---.---.---.117) 27 novembre 2012 12:13

    Concordo pienamente con quanto scritto da Flaminia Mancinelli e mi associo nello spronare Il Manifesto, se proprio non può più sostenere le spese del cartaceo, a diventare una testata online. Mi permetto un ulteriore suggerimento, magari è possibile programmare una rivista mensile o bimestrale cartacea, su focus predefiniti, con contributi di vari esponenti della politica, della cultura, della società civile.

    Marinella Zetti
    caporedattore www.pianetaqueer.it
    testata online
  • Di (---.---.---.159) 27 novembre 2012 21:16

    sig.ra FLAMINIA MANCINELLI, mitrova solo parzialmente daccordo con lei......una come ROSSANA ROSSANDA che ha L eta di rodota anno piu anno meno non puo descriverci e dirci come dovremmo comportarci in futuro,perche ci sta descrivendo il suo passato allora che metta su un blog D opinione / 2/ mi trova daccordissimo sui giornali on line,damolto tempo ormai negli stati uniti se ne fa uso tanto ce il giornale cartaceo NY TIMES e sparito ed e solo on line e gli introiti non mancano anzei essendo accessibile a tutti e almeno a pari edeve gestire solo dei tecnici informatici non servono finanziamenti dallo stato per cartae quant altro e le diro di piu pensi quanti alberi non vengono tagliati tutto ossigeno.UN SALUTO B.CLAUDIO

  • Di Sandro kensan (---.---.---.54) 2 dicembre 2012 16:03
    Sandro kensan

    Mi dispiace che il manifesto stia per chiudere e che Rossanda se ne vada. Trovo che il finanziamento pubblico ai giornali abbia senso solo per i giornali sul tipo il manifesto ma gli esempi positivi sono talmente pochi che è meglio abolire tale finanziamento che è diventato una stortura del sistema.

    È antistorico una testa pensante, che sceglie, si confronta e trae lucide conclusioni come quella di Rossana che ai giorni nostri rimanga confinato o confinata a leggere un solo giornale per quanto valido e aperto. I ragazzi di oggi che somigliano alla fondatrice o anche le persone mature di oggi, non comprano i giornali ma usano il web: Questo farebbe Rossanda se fosse una ragazza degli anni 80.

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