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Robot alla conquista dei social network

In rete proliferano i profili falsi, gestiti da algoritmi che si spacciano per persone e non sono facili da riconoscere. Uno studio appena pubblicato ripercorre 10 anni di ricerche nell’ambito.

di Viola Bachini

 

 

Sul vostro social preferito le persone sono false, letteralmente. Uno studio appena pubblicato avverte: oltre a dubitare dei contenuti postati, dovremmo chiederci se anche gli autori dei messaggi sono reali. Perché può capitare che dietro un nome e una bella foto profilo non ci sia una persona, ma un programma automatico (bot).

La pandemia dell’informazione

Il fenomeno è più diffuso di quanto ci si potrebbe aspettare: le probabilità di imbattersi in un algoritmo che tenta di spacciarsi per un essere umano sono di circa il 15% su Twitter e l’11% su Facebook. 

Ma queste percentuali salgono (e di parecchio) in particolari contesti, come spiega Stefano Cresci, ricercatore presso l’Istituto di Informatica e Telematica del CNR e autore dello studio in questione. 

Chi crea account automatici spesso lo fa per amplificare un messaggio. Disporre di una squadra di bot permette infatti con un solo clic di far postare la stessa frase a centinaia di profili. “Un contesto in cui i bot proliferano è quello politico”, spiega Cresci. Il caso più eclatante è stato quello delle presidenziali americane del 2016, quando un esercito di account automatici russi ritwittava in modo ossessivo messaggi a favore di Trump. Ma il fenomeno è globale: in letteratura scientifica esistono casi documentati di utilizzo di political bot (così si chiamano gli account falsi a scopo di propaganda politica) in almeno 39 Paesi del mondo. 

Nessuno è immune, ci sono casi documentati in tutti i continenti. Il più recente riguarda la stretta attualità: è di poche settimane fa la notizia di nuove ingerenze da parte della Russia nella campagna elettorale USA 2020.

 

Dalla politica alla Borsa

“Succede anche in Italia”, puntualizza Cresci. La pandemia informativa non risparmia il nostro Paese, dove il dibattito intorno a certi temi è inquinato da tempo. “Già nel 2014 ci eravamo accorti che c’era qualcosa di sospetto nel dibattito social sulle elezioni del sindaco di Roma. Abbiamo scoperto che anche in quell’occasione erano stati messi in campo dei bot con lo scopo di diffondere alcuni messaggi di propaganda”. 

Un altro ambito dove i ricercatori hanno rilevato un uso massiccio di bot è quello finanziario. Secondo uno studio dello scorso anno, più del 70% di profili che parlano di azioni presenti sul mercato statunitense sarebbero in realtà algoritmi. “Per capire in quali discussioni su Twitter si potrebbero incontrare i bot, vale una vecchia regola: segui i soldi, vedi dove si concentrano interessi forti”. In effetti, avere un esercito di account automatici che parlano molto bene di un’azienda può far salire la sua reputazione e, di conseguenza, gonfiarne in modo del tutto artificiale il valore in Borsa. Chi prova a compiere frodi del genere può guadagnare cifre stratosferiche, riuscendo a vendere azioni di dubbio valore a prezzi molto alti.

In cerca dell’immunità

Capire se di fronte abbiamo un robot o una persona non è sempre semplice, specialmente se l’account falso è creato con una serie di accorgimenti: “Alcuni Stati, come CinaRussia e Iran, hanno a disposizione tutti gli strumenti per creare bot anche molto sofisticati, difficili da individuare”. 

Vaccini efficaci in grado di metterci al riparo per sempre da questa pandemia al momento non ce ne sono. Cresci, che di mestiere sviluppa algoritmi in grado di smascherare i bot, ci spiega che il problema principale è il tempismo. Esiste infatti una specie di corsa agli armamenti, nella quale chi crea i bot cerca di farli sempre più indistinguibili dagli esseri umani, mentre i cacciatori di bot mettono a punto programmi sempre più sofisticati per scovarli. “Così ci troviamo di fatto sempre un passo indietro, impegnati a cercare i bot solo quando questi sono già sui social da un po’ di tempo e magari hanno anche prodotto qualche danno”. 

I metodi di detection – così si chiama in gergo tecnico la caccia al bot – più promettenti, al momento analizzano tanti account contemporaneamente, per cercare comportamenti coordinati e dunque sospetti. 

Tuttavia, anche chi non è esperto di informatica può provare a difendersi da questa pandemia digitale. “Il nostro miglior alleato è il senso critico. Sarebbe importante verificare sempre la fonte di un post, controllare se la stessa notizia viene condivisa anche da altre persone. Si può porre attenzione anche su come è scritta: qualcuno sta facendo leva sulle nostre emozioni per invogliarci a diffonderla?”. Insomma, tutti possiamo fare la nostra parte, arginando la diffusione di notizie false, sia che queste partano da persone reali che da account fake. Cresci è ottimista: “Possiamo sviluppare i nostri anticorpi”.

 

Immagine: Pixabay

 

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