Riforma costituzionale | Nuovo Senato, dal bicameralismo perfetto a quello caotico
Egregio Titolare,
ma il Senato, con la riforma della Costituzione, si occuperà solo dei temi riguardanti le autonomie locali? Oppure avrà altre funzioni? Nel corso della trasmissione Ottoemezzo del 28 ottobre, il giornalista de Il Sole 24 Ore Christian Rocca ha dato a tutti gli ascoltatori un’informazione secca e decisa: sì, il Senato si occuperà solo di questioni attinenti le autonomie, senza concreti poteri di intervento nella legislazione riguardanti le altre materie e, comunque, necessariamente sottomesso alla volontà della Camera che mantiene sempre l’ultima parola. Sicché, in sostanza, nei fatti si avrebbe un Parlamento monocamerale.
di Luigi Oliveri
La sicurezza dell’affermazione non avrebbe dovuto lasciare spazio a dubbio alcuno. Ma, caro Titolare, vi sono anche quelli fissati con il controllo delle affermazioni trancianti, effettuato col complicato sistema di leggere le norme e comprenderne il contenuto.
In questo caso, l’impresa è proprio ai limiti dell’impossibile, perché consiste nel leggere e capire il nuovo testo dell’articolo 70 della Costituzione. Con notevole sprezzo del pericolo e della lingua italiana, l’impresa è, comunque, possibile. Ed emergono elementi interessanti.
Si nota subito, intanto, che restano ampi campi nei quali la funzione legislativa è esercitata congiuntamente sia da Camera sia da Senato: restano, dunque, ampie tracce dell’aborrito “bicameralismo perfetto”. Si tratta:
- delle leggi di revisione della Costituzione;
- delle altre leggi costituzionali;
- delle leggi di attuazione delle disposizioni costituzionali concernenti la tutela delle minoranze linguistiche;
- delle leggi sui referendum popolari e le altre forme di consultazione previste dall’articolo 71 della Costituzione;
- delle leggi che determinano l’ordinamento, la legislazione elettorale, gli organi di governo, le funzioni fondamentali dei Comuni e delle Città metropolitane e le disposizioni di principio sulle forme associative dei Comuni;
- delle leggi che stabiliscono le norme generali, le forme e i termini della partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche della Ue;
- delle leggi sui casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l’ufficio di senatore, per le modalità di “elezione” dei senatori
- delle leggi di ratifica dei trattati Ue;
- delle leggi sull’ordinamento di Roma capitale;
- delle leggi sulle forme particolari di autonomia regionale, l’attuazione degli accordi internazionali da parte delle regioni, la disciplina che autorizza le regioni a concludere accordi internazionali con Stati o enti territoriali di altri stati, le norme sul patrimonio e l’indebitamento di comuni e città metropolitane, la legge sull’esercizio dei poteri sostitutivi nei confronti di comuni e città metropolitane, la legge di principio per le elezioni degli organi regionali, spostamenti dei comuni da una regione all’altra.
Non Le sarà sfuggito, egregio Titolare, che molte delle materie elencate sopra con le autonomie locali non hanno assolutamente nulla a che vedere. Da qui una domanda: perché un senato “delle autonomie”, costituito da consiglieri regionali e sindaci, dovrebbe interessarsi dei referendum o della ratifica delle leggi Ue? Soprattutto, come si nota, il “bicameralismo paritario” resta entro un ambito vastissimo, nel quale continueranno le “navette” varie.
Ma, accanto ai residui di bicameralismo perfetto, nascono elementi di bicameralismo “disordinato”, come per la richiesta di esame. Infatti, per qualsiasi altra legge riguardante qualunque altra materia possibile e immaginabile il Senato, entro 10 giorni dalla ricezione dei disegni di legge approvati dalla Camera, può disporre di esaminarli, potendo anche proporre modifiche entro i 30 giorni successivi. Successivamente, la Camera può disporre senza particolari maggioranze di accettare le modifiche proposte o di respingerle.
Non è difficile concludere, dunque, che il Senato può intervenire ed ingerirsi in ambiti normativi che con le autonomie locali non hanno proprio nulla a che vedere. Si innescano, di conseguenza, iter legislativi plurimi, complicando in modo paradossale un iter oggi talmente chiaro che l’articolo 70 della vigente Costituzione è formato da sole 9 parole.
Torna, poi, il ruolo necessario del Senato in sede legiferante quando si verte in tema di unità giuridica o economica della Repubblica. Il Senato deve obbligatoriamente esaminare, entro 10 giorni dalla trasmissione da parte della Camera, le leggi in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale. In questo caso, il Senato può proporre modifiche solo a maggioranza assoluta dei suoi componenti; la Camera può non accogliere le proposte solo pronunciandosi nella votazione finale a maggioranza assoluta dei propri componenti.
L’intervento del Senato è obbligatorio, ancora, anche nel caso di leggi che importino nuove o maggiori spese e, dunque, indicare i mezzi per farvi fronte. In questo caso, i disegni di legge approvati dalla Camera sono esaminati dal Senato, che può deliberare proposte di modificazione entro quindici giorni dalla data della trasmissione. Pare che, in questa circostanza, la Camera si riappropri di un potere ampio di accogliere o meno le proposte del Senato.
E laddove il Governo qualifichi un disegno di legge come essenziale per l’attuazione del programma di governo, come consentirà la riforma? Il Governo chiederà alla Camera che sia iscritto con priorità all’ordine del giorno e sottoposto alla votazione definitiva della Camera entro il termine di 70 giorni. Sicché i termini entro i quali il Senato può facoltativamente chiedere di esaminare il ddl e proporre modifiche si dimezzano.
Ma anche nel caso di disegni di legge di conversione di decreti legge adottati dal Governo, il Senato può chiederne l’esame entro trenta giorni dalla presentazione dei dl alla Camera. In questo caso, il Senato può proporre modifiche entro dieci giorni dalla data di trasmissione del disegno di legge di conversione, che deve avvenire non oltre quaranta giorni dalla presentazione.
Non mancano potestà del Senato sulle questioni concernenti la complicatissima verifica delle competenze a legiferare di Camera e Senato stesso. Talmente complesso è l’incrocio degli iter, dei termini, delle materie che la nuova Costituzione assegna ai presidenti di Camera e Senato di decidere d’intesa tra loro sulle eventuali questioni di competenza, sollevate secondo le norme dei rispettivi regolamenti. Tuttavia, i vizi di incompetenza o di formazione delle leggi, visto il quadro molto complicato, saranno sempre dietro l’angolo. In particolare, sarà difficilissimo gestire i provvedimenti che abbraccino più materie, come tipicamente le leggi di stabilità o “mille proroghe”, evitando di incorrere in violazioni suscettibili non solo di conflitti di competenza tra le Camere, ma anche di ricorsi alla Corte costituzionale.
Infine, il Senato continua ad eleggere il Presidente della Repubblica nell’ambito del Parlamento riunito in seduta comune e alcuni componenti della Corte costituzionale, funzioni oggettivamente incompatibili con il ruolo di camera che dovrebbe interessarsi “solo” delle autonomie locali.
Ecco, caro Titolare, leggendo l’articolo 70 francamente non si ha traccia alcuna di semplificazione della normativa, né di un’eliminazione del ruolo del Senato, ma solo di un’immensa complicazione e della sottrazione ai cittadini del potere di nominare i componenti del Senato, nonostante esso resti nella titolarità di legiferare, con una serie di procedimenti diversi e complessi, su tutto lo scibile umano. Forse, allora, nelle trasmissioni televisive e nei media, la riforma andrebbe spiegata e raccontata in modo diverso.
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