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Riflessioni insolite sull’Unità d’Italia

Sull’Unità d’Italia si possono dire certamente tante cose. E una cosa, all’indomani del suo 150esimo anniversario, va pur detta. Ed è questa: L’Italia è, tutto sommato e nonostante tutto, unita. Tuttavia non sono pochi coloro che, per una ragione o per l’altra, hanno palesato il loro dissenso a una partecipazione attiva o anche solo emotiva all’Unità.

In un paese dove non mancano, per fortuna, le numerose e aspre condanne per le spinte secessioniste della Lega Nord, fa un po’ tristezza scoprire che sentimenti nostalgici preunitari ci sono, e anche molto forti, pure nel Meridione. Ebbene, per quanto possano essere comprensibili le motivazioni di tali sentimenti, esse conducono certamente a conclusioni figlie di una strisciante ignoranza, soprattutto perché vanno diffondendosi tra le giovani generazioni, che non tanto in Storia quanto nel modo in cui essa andrebbe interpretata, sono rimaste leggermente indietro. E allora proviamo a fare un po’ di chiarezza.

Sono molti coloro che si dicono nostalgici del Regno delle Due Sicilie. Anzitutto questi non vedono, o fingono di non vedere, cos’era quella dei Borbone. Ovvero, una monarchia. Come si possa, nel XXI secolo, rimpiangere il potere assoluto, quel potere che passa di mano di padre in figlio (dove la bontà – eventuale – di governo del primo non è garanzia per quella del secondo), è sintomo certamente di un’arretratezza di pensiero se non diffusa certamente preoccupante. Il rimpianto scaturisce non tanto dalla qualità dei vecchi regnanti spagnoli, su cui molte obiezioni possono essere sollevate, quanto dalle modalità con cui il Regno dei Savoia ha imposto l’avvento del nuovo assetto su quello vecchio. Attraverso la repressione nel sangue dei dissidenti. Sull’ingiustizia delle pene inflitte ai duosiculi, che poi divennero briganti, possiamo tutti convenire. È fuor di dubbio che i meridionali favorevoli al vecchio regime siano stati cacciati, uccisi, torturati, vessati. Tuttavia partire da questo dato di fatto per approdare a un religioso nostalgismo borbonico è assolutamente illogico.

Qualunque meridionale incappi nell’equazione “repressione piemontese=rimpianto borbonico” dà prova della sua ignoranza in Storia. L’errore sta di fatti nel pretendere che la Storia debba essere assoggettata alle regole della morale, per cui un processo storico, per essere giusto, deve esserlo moralmente. Purtroppo non è così. La Storia è fatta di guerre, alcune moralmente giuste, altre no, che si sono rivelate, indistintamente, necessarie alcune, deleterie altre. Basti pensare, per fare un esempio, alla storia dell’antica Grecia. Pisistrato, ad Atene, fu un tiranno, un vero e proprio dittatore che arrivò al potere attraverso la forza. Eppure fu un ottimo governante, generoso come pochi altri dopo di lui. Temistocle, invece, è ricordato dai posteri come un eroico protagonista, provvidenziale per la salvezza di Atene dalle incursioni dei persiani. Ma non fu un buon governante, si arricchì notevolmente a discapito degli ateniesi e probabilmente congiurò contro la sua stessa patria. Eppure, per quanto controverso e da un certo punto di vista immorale, fu un personaggio assolutamente necessario per la storia greca.

L’unione dell’Italia era altresì necessaria. Purtroppo non ci è possibile scegliere il momento e i protagonisti di un evento storico. E che a far l’Italia unita siano stati Garibaldi e Cavour, e non Mazzini e Pisacane o altri, poco importa. Tuttavia sarebbe da stupidi credere che l’unità del paese sarebbe stata possibile con l’avallo e la contentezza di tutti, essendo stata l’Italia divisa per troppi anni per non ritrovarsi sulla scena diversi contendenti. La guerra civile era assolutamente inevitabile. E in guerra, chi è più forte vive, chi è più debole muore.

Altra rimostranza che si muove al Regno Sabaudo è quella di aver mosso guerra ai Borbone perché le casse piemontesi necessitavano urgentemente di essere rimpinguate. È vero. Ma, ancora una volta, bisogna desistere dal condannare un evento storico solo attraverso le leggi della morale. A ciò si deve aggiungere che il Regno delle Due Sicilie era certamente il più ricco della penisola, ma molti ancora incappano nello sciocco errore di confondere la ricchezza di un paese con quella dei suoi abitanti. La spesa pubblica infatti era alquanto limitata in relazione alla grandezza del Regno. Il meridione era pressoché un paese rurale, in cui certamente vi erano delle eccellenze dal punto di vista culturale, un mondo avanzato in molti settori dell’industria, dell’economia, della tecnologia. Ma rimaneva fondamentalmente un paese arcaico, dominato dall’aristocrazia feudale, ancorato a clientelismi e a dinamiche figlie dei dispotismi. Insomma, era pur sempre una monarchia. Ciò vuol dire che, anche laddove un re avesse improntato la sua politica sul perseguimento del bene comune, non c’erano garanzie che chi gli succedesse avrebbe poi continuato su quella linea piuttosto che su quella diametralmente opposta. Pensare al Regno delle Due Sicilie come il paradiso in terra, come molti fanno, è approssimativo se non errato.

Inoltre non va dimenticato che i Borbone erano stranieri. E i Duosiculi, italiani. È triste dover leggere o sentire di meridionali che si autodefiniscono Napoletani, Calabresi, Siciliani, addirittura Borbonici, ma non Italiani. È triste per loro, perché nella loro goffa ignoranza, lo sono comunque. Essere consapevoli di essere napoletani e al tempo stesso italiani è possibile quanto logico. Non esserlo significa semplicemente essere ignoranti. Da che mondo è mondo, non c’è nazione che sia omogenea, che non abbia al suo interno svariati localismi e mescolanze, e in certi casi vere e proprie etnie; tuttavia tali nazioni rimangono nazioni. E così anche l’Italia. Basti pensare che l’ultimo a credere davvero alla possibilità di una nazione omogenea, senza ibridismi, è stato Hitler. Non serve aggiungere altro.

E quindi, festeggiare o meno l’Unità d’Italia? Che ognuno ponderi la sua scelta. Un mancato festeggiamento sarebbe comprensibile solo se mosso da un sentimento di ripicca e di rivalsa per il mancato riconoscimento – questo va detto - di ciò che avvenne nel Meridione. È doveroso che la Storia riconosca ufficialmente, una volta per tutte e senza lasciar adito a dubbi, quello che venne fatto ai danni della popolazione dell’Italia meridionale. Dissotterrati i morti e conferito loro il giusto onore, si possono chiudere i conti col passato e guardare avanti. Se ciò non verrà fatto, i conti rimarranno aperti. Ma di motivi per festeggiare, quelli se ne possono trovare a bizzeffe. In fondo, siamo pur sempre italiani.

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