Ricercatori italiani sostengono la liceità dell’”aborto post natale”
Due ricercatori italiani, Alberto Giubilini e Francesca Minerva, hanno pubblicato sul Journal of Medical Ethics un articolo in cui sostengono che dovrebbe essere permesso equiparare i neonati ai feti (perché entrambi non avrebbero ancora lo status di ‘persone’), e quindi consentire l’uccisione di un neonato, anche quando non colpito da disabilità. I due autori hanno chiamato tale evenienza “aborto post natale”.
Le polemiche non sono ovviamente mancate, a cominciare da Avvenire. Gian Luigi Gigli vi si è dichiarato “sconvolto” dal fatto che i due autori siano italiani. Perché proposte del genere circolano veramente da tanto tempo (si legga Ripensare la vita di Peter Singer, per esempio). Secondo Gigli, “il vaso di Pandora, una volta aperto, fa uscire di tutto, giustificando le decisioni più barbare e inumane come il legittimo prevalere degli interessi di chi è persona rispetto a chi lo sarebbe solo in modo potenziale o non lo sarebbe più per le sue condizioni di malattia”.
Avvenire, questa volta, non ha elevato il solito appello ai “valori naturali”. Non potrebbe diversamente, visto che nel corso della storia umana l’infanticidio è stato molto più praticato dell’aborto, e considerato legittimo da diverse società.
Parlarne non significa accettare la proposta e non dovrebbe dunque costituire un problema. E invece Gigli ricorda che gli studiosi, che hanno pubblicato su una rivista internazionale, sono anche “cittadini di un Paese in cui la giustificazione per motivi utilitaristici delle azioni umane non è considerata un’attenuante, né moralmente né giuridicamente, ma semmai un’aggravante”.
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