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Report: il mistero della prima repubblica

Al centro della puntata di Report il caso Aldo Moro e il mistero delle Brigate Rosse, a contorno un servizio sul presepe.

Il presepe della discordia di Giorgio Mottola

Report è tornata sull’inchiesta sul presente conteso tra i due paesini in provincia di Rieti: nel 2019 era stato scelto i comune di Contigliano, nella valle Santa dove visse San Francesco. Il presepe non doveva costare 40ml come costo, ma nel comune di Greccio (dove 800 anni fa San Francesco realizzò il primo presepe) l’hanno presa bene. Il comitato Greccio 2023 istituito dal Mibac, voleva portare avanti un progetto in comune e da questo è partita una faida tra i comuni, cosa poco conciliante col tema del presepe.

Ci sarebbero state anche delle pressioni da parte di un monsignore: pressioni che, secondo il servizio di Report, nascerebbero dal legame tra il monsignore e un artigiano presepista, che doveva lavorare al presepe.

Il comitato Greccio e il vescovo Pompili aveva deliberato per incaricare il presepista Artese con un compenso da 175 mila euro, ma l’artigiano non ne sapeva nulla, creando un grande imbarazzo durante l’intervista.
Dopo l’inchiesta la diocesi di Rieti ha rinunciato al progetto, non si sa chi abbia finanziato il presepe del 2023, il responsabile dei lavori è stato il figlio di Gianni Letta e realizzato da un’azienda veneta. La cura del presepe è rimasta all’artigiano presepista Artese.

IL VALZER DELLA CANDELA di Manuele Bonaccorsi

Anno nuovo inchiesta vecchia: il servizio di Manuele Bonaccorsi e Thomas Mackinson aggiunge un nuovo tassello alla vicenda del quadro di Manetti, di proprietà del sottosegretario Sgarbi. Identico ad un altro quadro, rubato in un castello presso Torino nel 2013.

Il quadro rubato e l’opera di Sgarbi mostrata a Lucca si differenziano per un dettaglio, una candela presente nel secondo.

Report aveva raccontato i dubbi del restauratore Mingardi, che temeva che il quadro che gli aveva portato Sgarbi fosse identico a quello rubato: Sgarbi ha risposto che sono due versioni dello stesso quadro, lui avrebbe rinvenuto la tela in una casa comprata dalla madre, villa Maidalchina.

Report ha smontato la difesa di Sgarbi, più volte ripetuta in televisione.

Il quadro fotografato da Mingardi, senza la fiaccola, è stato poi preso dai responsabili della GLAB, che l’hanno scansionato su incarico di Sgarbi stesso: il quadro di Manetti è stato copiato dalla GLAB con uno scanner che ha analizzato la tela anche con le crepe sull’opera.

Le crepe sarebbero assenti proprio dove è presente la candela, questo indicherebbe, secondo i giornalisti di Report, che la candela è stata posta sul dipinto successivamente.

La tesi di Report è che il quadro, fotografato inizialmente dal restauratore Mingardi, è stato “rattoppato” riempiendo i buchi iniziali e aggiungendo la candela: il quadro di Sgarbi sarebbe lo stesso di quello rubato.

Il servizio ha detto anche altro: la GLAB ha realizzato una copia in rilievo del quadro di Sgarbi, con però degli impercettibili errori di stampa. Questi errori sarebbero stati presenti anche nella foto scattata a Lucca nella mostra in cui era presente il quadro di Sgarbi: il sottosegretario ha esposto una copia e non l’originale?

I due giornalisti di Report sono stati denunciati per stalking, dopo essere stati insultati dal sottosegretario. Toccherà ora all’autorità giudiziaria stabilire l’origine del quadro di Manetti, che non sarebbe ora nemmeno più di proprietà di Sgarbi.

IL MISTERO DELLE BRIGATE ROSSE di Paolo Mondani

Il delitto Moro e il caso Kennedy italiano: il delitto che ha cambiato il corso della politica e cambiato la coscienza della politica italiana, dopo la strage di Piazza Fontana.

Il caso Moro rappresenta per l’Italia ciò che l’omicidio dei fratelli Kennedy ha rappresentato per gli Stati Uniti, leader politici uccisi perché poco alla volta volevano lasciarsi alle spalle la logica del patto di Yalta che alla fine della seconda guerra mondiale e fino al 1991 ha diviso il mondo in campi di influenza contrapposti tra Stati Uniti e Unione Sovietica. Immaginare un mondo libero dalla stretta appartenenza ad un campo è stata la loro fine. 46 anni dopo la morte del presidente della DC Aldo Moro ad opera delle Brigate Rosse, dopo 4 processi e due commissioni di inchiesta ora sappiamo che c’è stata raccontata una verità di comodo: la fine di Moro rappresenta il più grave trauma politico della storia repubblicana, uno choc da cui l’Italia non si è mai ripresa.

L’ex ministro DC Vincenzo Scotti assieme a Romano Benini hanno ricostruito in un libro la politica di Moro (Sorvegliata speciale – le reti di condizionamento della Prima Repubblica Rubettino), lentamente soffocata dalla guerra fredda, in particolare l’apertura al partito comunista italiano duramente contrastata dall’allora segretario di Stato Henry Kissinger.

“Kissinger non nasconde mai la necessità di impedire qualsiasi iniziativa politica che vedesse Moro assumere la responsabilità di governo” racconta Scotti oggi al giornalista Paolo Mondani.

A dar fastidio era anche l’apertura al mondo arabo portava avanti negli anni ‘70: questa gli aveva portato una certa avversità dal mondo israeliano: “Moro nel 1973 nega le basi Nato per essere utilizzate dall’esercito americano in supporto ad Israele durante la guerra della Yom Kippur” spiega Romano Benini “ed è lo stesso Moro che nel 1974 dice al Senato che il popolo palestinese non ha bisogno di assistenza ma ha bisogno di una patria ..”.
Conclude il racconto l’ex ministro Scotti: “tutto questo non poteva essere accettato in quel momento da quella dirigenza americana e israeliana.”

Come ministro degli esteri Moro aveva cercato di portare avanti in Europa una politica di pari grado con gli Stati Uniti, ma su questo fu sconfitto dalla politica americana che voleva avere una egemonia sull’Europa.

Il giornalista di Report ha intervistato l’ex ministro socialista Claudio Signorile che, nei mesi della prigionia di Moro tra marzo e maggio del 1978, fu mediatore tra il governo e le Brigate Rosse tramite alcuni esponenti dell’Autonomia Operaia con l’obiettivo di liberare il presidente DC.
Alla fine del 1977 il vicesegretario del PSI Signorile era negli Stati Uniti per spiegare a molti soggetti istituzionali e governativi perché l’Italia voleva un governo con i comunisti: “volevamo il governo di unità nazionale ” racconta oggi a Report “e spiegammo perché, motivi economici, motivi strategici..”
Dal National Security Counsil recepisce un atteggiamento di attenzione, persino di favore, il Pentagono aveva una posizione sospettosa, il dipartimento di Stato aveva un atteggiamento più negativo ma con prudenza, la Cia era in parte favorevole e in parte contraria – ricorda oggi Signorile: “il Senato era in parte favorevole, il senatore Kennedy era attento, D’Amato era contro (non so se Signorile si riferisca ad Al D’Amato, che è stato eletto senatore nel 1981), senatore degli Stati Uniti di estrema destra”.

Mondani ha chiesto a Signorile di quando, in commissione Moro, ebbe la sensazione che Mario Moretti fosse una figura di secondo piano nella struttura decisionale: “la struttura decisionale delle BR era teleguidata dall’esterno e Moretti era fattore di guida, partecipava [alle riunioni strategiche] come portatore di questi impulsi e di queste scelte. Qualcosa di più che esecutore, qualcosa di meno perché non aveva un’autonomia nelle decisioni.”

“Il problema di cosa stessero facendo i servizi che in qualche maniera rappresentavano gli interessi di Yalta, me lo ponevo” – conclude Signorile.

Per capire la vicenda di Moro si deve partire da Yalta – la tesi del servizio di Report: il compromesso storico cercato da Moro assieme al PCI, che doveva appoggiare esternamente il governo, fu interrotto dal rapimento in via Fani, il 16 marzo 1978 (rapimento in cui la sua scorta fu trucidata).

Fino ad oggi le verità processuali si sono basate sul memoriale Faranda – Morucci: come tutti i brigatisti, le sue memorie sono parziali, secondo la commissione di inchiesta conclusasi nel 2018 il loro memoriale è una colossale menzogna.

C’è stato un patto oscuro, secondo Signorile, tra la DC e i brigatisti ed è questo quello che ha cercato di raccontare il servizio.

Quello che non rona nella versione ufficiale del rapimento di Moro
Dopo 55 giorni dal rapimento, il cadavere di Moro fu fatto trovare in via Caetani, il 9 maggio 1978.

Il lavoro della commissione ha vivisezionato il memoriale: ha una strana genesi, Faranda e Morucci erano in carcere ed ha una lunga gestazione, alcune versioni iniziali erano in disposizione al Sisde con cui Morucci collaborava. Fu ricevuto nel 1990 da Cossiga, senza passare da nessuna autorità giudiziaria: nel memoriale si racconta la cattura, la prigionia e la fuga, ma è come se fosse una verità perimetrata, quella da cui non si doveva uscire.

Il giudice Salvini ha collaborato con la commissione: l’agguato si svolto in modo diverso dalla versione di Morucci, c’erano più persone a sparare in via Fani oltre ai 4 brigatisti, sarebbero almeno sei le persone che hanno sparato.

Le prove di sparo sono state eseguite da Davide Minervini: le perizie sulle armi che hanno sparato in via Fani dovrebbero essere rifatte, sostiene il perito, ma nessuno ha intenzione di farlo.

I brigatisti non avevano grande esperienza, hanno perso un caricatore, alcuni colpi sono sparati in alto, mentre altri hanno colpito precisamente la scorta. Alcune armi si sono inceppate, secondo la versione dei brigatisti.

C’erano soggetti sconosciuti nell’agguato a Moro? L’agente Zizzi viene colpito da destra, da un uomo che era a destra rispetto alle auto.

Il pentito Barreca è stato sentito dal giudice Salvini: al giudice ha riportato quanto sentito dal boss Musolino della ndrangheta, che lavorava assieme ai servizi e in contatto con la massoneria. Secondo Barreca un agente della scorta di Moro è stato salvato, al suo posto è stato messo Zizzi quel giorno con Moro. Le dichiarazioni di Barreca rimangono nel cassetto e non sono mai state analizzate.

Chi era lo specialista che in via Fani spara 49 colpi (su 92) senza sbagliare un colpo?

Secondo il memoriale sarebbe Bonisoli, ma secondo la perizia di Salvini questa ricostruzione sarebbe improbabile, Bonisoli non aveva un caricatore da 50 colpi.
Bonisoli ha preferito diventare il capro espiatorio, piuttosto che raccontare un’altra versione dell’agguato.

Solo in parte si è cercato di risalire all’origine delle armi, non si è mai cercato di capire come mai il black out telefonico nella zona di via Fani. Non si è cercato di chiarire sul luogo della strage del colonnello del Sismi (e appartenente a Gladio) Camillo Guglielmi.
C’è poi la storia della moto: un testimone racconta la presenza di una moto in via Fani, dunque altre persone presenti ma mai tracciate dalle indagini.

Mario Mori era all’epoca capitano dei carabinieri presso il Sisde: il magistrato Di Matteo racconta del coinvolgimento di Mori nell’inchiesta Rosa dei Venti, e per questo nel 1975 Mori venne allontanato dal SID, con un suo allontanamento da Roma.

A inizio 78 il comando generale chiede il rientro a Roma, nonostante il diniego del Sisde, Mori tornò a Roma il giorno successivo il rapimento di Moro.

Altro mistero sono le tracce di sangue ritrovate sulle macchine delle BR in fuga: Patrizio Peci, il famoso pentito, raccontò del ferimento di uno dei brigatisti (aspetto assente nel memoriale). Chi hanno cercato di proteggere i brigatisti?



L’Austin Morris, che prese il posto del furgone del fiorista Spiriticchio, era di proprietà di una società del Sisde. I servizi erano presenti in via Fani?

Ci sono anomalie sulle indagini: il giudice istruttore di Roma doveva ricevere le carte, ma Imposimato ricevette le carte solo 8 giorni dopo la morte di Moro.

Il covo di via Massimi

Le perquisizioni nelle case di Morucci e Faranda furono bloccate dal procuratore generale di Roma: le indagini nel breve furono svolte dall’Ucigos, polizia che rispondeva al ministro dell’interno Cossiga.

Anche sul covo ci sono delle anomalie: secondo il memoriale Moro fu detenuto per 55 giorni in via Montalcini, ma secondo un ufficiale della polizia giudiziaria non fu così. Moro fu tenuto in un covo vicino via Fani in via Massimi: ci si arrivò grazie ad una fonte della Finanza, ma lo stabile di via Massimi non venne perquisito. Erano palazzine di proprietà dello Ior, dal padre del sacerdote che fece da postino con le BR.

In via Massimi abitava Marcinkus, il generale d’Ascia del Sismi, una giornalista tedesca Kraatz, che aveva un rapporto con Franco Piperno, esponente di Potere Operaio e che con Signorile aveva avuto un rapporto nella trattativa con le BR.

Il 19 marzo alla Questura arriva una telefonata: una voce racconta di sapere dove si trovi Mori, nella zona di via Massimi. La polizia si presentò coi lampeggianti accesi e la fonte sparì.

Le indagini furono gestite dal commissariato Monte Mario, i documenti sulle indagini sono oggi solo poche carte, come se fossero stati spostati o eliminati.

Il responsabile del commissario divenne poi prefetto, responsabile della sicurezza del papa.

Il giorno della strage di via Fani il lavoro di “bonifica” fu sospeso, racconta a Report il magistrato Donadio: secondo fonti dell’indagine le macchine delle BR sarebbero partite proprio dal compound di via Massimi 91.

La commissione parlamentare ha trovato in via Massimi, nella casa che all’epoca era di proprietà dell’ambasciatore iraniano, una camera blindata a cui si poteva arrivare dal garage: sarebbe stato il posto ideale dove tenere Moro nell’immediatezza del rapimento.
Al terzo piano dello stabile viveva monsignor Vagnozzi, dove riceveva i notabili della DC e anche Moro prima del sequestro. Infine, Prospero Gallinari passò due mesi da latitante proprio in via Massimi, nel 1978.

Secondo la commissione, dopo via Massimi, Moro fu detenuto in una seconda villa vicino il mare. Un altro covo sarebbe stato nel ghetto, nella casa di Laura Di Nola (secondo il Sismi legata al Mossad).

Sicuramente c’è stato un covo vicino via Caetani, Aldo Moro non può essere stato ucciso in via Montalcini e poi portato in via Caetani, racconta Ilaria Moroni.

Secondo le perizie Moro era in ottime condizioni fisiche, non era possibile che fosse rimasto costretto in pochi metri quadrati (quelli del covo di via Montalcini).

Il memoriale di Moro
Nel memoriale rinvenuto in via Monte Nevoso nel 1990 si parlava di Gladio, l’unità di controguerriglia in caso di invasione sovietica in Italia: le BR renderanno conto di queste rivelazioni solo in parte, in particolare quelle che riguardano l’ex ministro Taviani.

Nelle sue lettere Moro si rivolge direttamente a Taviani, sapendolo a capo di Gladio: nelle lettere Moro si chiede come mai il voler tener duro nella trattativa, forse dipende da scelte che arrivano dagli USA?

Il comunicato numero tre delle BR parla delle rivelazioni di Moro: questo allarma sia gli apparati interni, nelle strutture italiane che conoscevano Gladio.
Cossiga incarica il numero due del Sismi, Martini, di verificare cosa Moro sapesse di Gladio: ma nell’archivio del Sismi quei documenti erano spariti.

Moro poteva disporre degli archivi presso la settima divisione del Sismi – sostiene l’ex magistrato Libero Mancuso.

Nel sequestro Moro erano coinvolti dei gladiatori, che non facevano parte della lista rivelata dal presidente Andreotti nell’ottobre 1990.

Ma sia la lista dei gladiatori che la il memoriale trovato in via Monte Nevoso erano rimaneggiati: secondo Mancuso le carte di Moro sono scomparse quando furono portate a Roma per essere sottoposte al vaglio dei vertici dello Stato, Cossiga e Andreotti.

Dopo l’uscita dei comunicati delle BR iniziò la demolizione della figura di Moro: Moro non è lucido, colpa della sindrome di Stoccolma.

Così dopo il comunicato numero 5, dove si accennava a Taviani, nei successivi comunicati non si parlerà più di Gladio e nemmeno i brani del memoria dove si parlava di Andreotti. Come mai questa scelta?

Steve Pieczenik, consulente del Dipartimento di Stato USA mandato in Italia per seguire la vicenda, fu inserito nel comitato di crisi presieduto dal Francesco Cossiga, ministro dell’Interno. Alle riunioni avrebbe partecipato anche Licio Gelli, il gran maestro della Loggia P2.
In una intervista negli anni recenti dichiarò di aver contribuito all’omicidio di Moro, evitando che Berlinguer arrivasse al potere, facendo intendere che fosse chiaro che Moro dovesse morire: la procura di Roma aprì un fascicolo sulle sue dichiarazioni, nel 2014 il Procuratore Generale di Roma Ciampoli vista l’inerzia del magistrato applicato alle indagini su Moro, avoca a sé l’inchiesta e formula contro Steve Pieczenik l’accusa di concorso in omicidio dello statista democristiano.

Le accuse in America non portarono a nulla e servirono solo a tenere al riparo Pieczenik.

Report ha raccontato poi di un volo di tre cittadini libici arrivati in Italia nei giorni del rapimento Moro: erano persone sotto protezione del Sismi. Si tratterebbe di due agenti della CIA, finiti poi sotto indagine in America con l’accusa di addestrare terroristi anche in Libia, in funzione anti comunista.

A Parigi era presente una scuola particolare, il centro Hyperion che era una sorta di camera di compensazione tra i servizi appartenenti a blocchi contrapposti: ad Hyperion fanno riferimento anche brigatisti come Gallinari.

I brigatisti erano infiltrati dai servizi americani e dai nostri servizi – racconta nel 2005 l’ex presidente del CSM Gallucci, riportando le parole di Moro: di queste infiltrazioni il governo italiano non era stato avvertito ufficialmente.

Uno di questi brigatisti infiltrati era Casimirri, riparato poi in Nicaragua: Mondani ha sentito l’ex agente del Sisde (e poi dirigente dell’AISE fino al 2013) Carlo Parolisi che nel 1993 aveva raggiunto il brigatista Casimirri in Nicaragua: “Casimirri ci racconta delle riunioni che si tenevano prima del sequestro Moro, ad alcune delle quali lui partecipa e dalle quali trae la convinzione che in realtà il destino di Moro sia segnato sin dall’inizio, lui ci dice che l’impressione aveva tratto era che Moro sarebbe stato comunque condannato a morte.”

La trattativa tra lo stato e le BR fu solo una finzione?

La trattativa di Signorile, il giorno 8 maggio, stava per approdare ad un risultato, si stava per dare la grazia alla brigatista Besuschio.

Ma, ricorda oggi Signorile, successe che il tavolo aveva già cambiato padrone: al tavolo della trattativa non c’erano più le Brigate Rosse.

Nel memoriale ritrovato nel 1990 sono presenti brani dove si parla di piazza Fontana, Gladio, dove Moro denuncia Andreotti: come mai le BR non le pubblicò come aveva promesso?

Secondo Salvini questi nastri e queste informazioni furono usate dalle BR per garantirsi un trattamento di favore, per loro e per le persone rimaste in carcere.

Forse le carte di Moro furono trovare nel covo di via Fracchia a Genova, dopo l’irruzione dei carabinieri di Dalla Chiesa – racconta il magistrato Donadio: quel materiale è stato sottratto agli atti del processo, forse è nelle mani dei servizi segreti.

Perché le BR non pubblicarono le accuse contro Andreotti, contro la DC? Perché avevano compiuto l’atto – spiega oggi l’ex ministro Scotti.
 

Mondani lo ha chiesto a Giovanni Senzani, ex brigatista: quella storia era troppo grande anche per noi, racconta a Report.

Perché, poi, proprio Moro: Mario Moretti era legato alla scuola di lingue Hyperion, la scuola che era camera di incontro tra servizi stranieri. Il suo covo era in via Gradoli, in un palazzo dove molti appartamenti erano di proprietà del Sisde. Di Gradoli parla la famosa seduta spiritica con Prodi e il falso comunicato numero sette, pensato da Pieczenik per preparare l’opinione pubblica alla morte di Moro.

Quel falso comunicato numero sette era un segnale alle Brigate Rosse: sappiamo dove siete e possiamo venirvi a prendere.

I brigatisti furono affiancati da altri professionisti che aiutarono a premere il grilletto, racconta oggi Signorile che ricorda anche come Cossiga fosse convinto che Moro stesse per venire liberato.

Non solo, anche la telefonata di Morucci al professor Tritto (delle 12) fu una sceneggiata: il cadavere con Moro dentro era già stato trovato alle 9.30.

Moro è stato sacrificato per mantenere un equilibrio internazionale deciso a Yalta?
È la teoria di Guerzoni secondo cui l’omicidio di Moro sarebbe stato appaltato alle BR, su indicazioni che arrivavano dall’alto, da paesi nostri alleati.

Come gli Stati Uniti che, per opera proprio di Henry Kissinger, si erano già mossi nel 1973 per bloccare il governo socialista in Cile, col presidente Allende.

Per bloccare un’Italia (e una Europa) sempre più indipendente dagli Stati Uniti.

Fin qui il servizio di Report. Dall’altra parte il memoriale di Faranda e Morucci, i terroristi, con tutte le lacune, gli errori, i pezzi che mancano.

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