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Regressione fiscale sotto le bombe

 

Su lavoce.info il grido di dolore di uno dei veterani del risparmio gestito italiano, Alberto Foà, sulle distorsioni fiscali introdotte dal decreto salva-Italia del governo Monti. Distorsioni che in realtà possono essere lette come una scelta deliberata per puntellare una situazione di grave criticità.

Foà lamenta la tassazione incoerente e regressiva applicata al risparmio gestito:

1) un prelievo annuo dell’1,5 per mille su prodotti e strumenti finanziari con un importo minimo di euro 34,2 (per il solo 2012, si applica un’aliquota dell’1 per mille e una soglia massima di 1.200 euro);


2) un prelievo annuo su conti correnti bancari e postali e sulle polizze rivalutabili (cosiddette polizze ramo I), diversamente dagli altri strumenti finanziari, forfettariamente fissato a euro 34,20; l’imposta non viene applicata in caso di giacenza media annua inferiore a 5mila euro.
In sintesi, il mondo degli investimenti viene diviso in due: coloro che depositano i propri risparmi in banca, presso le Poste o in una polizza assicurativa rivalutabile versano un’imposta forfettaria di 34,2 euro e sono esentati dal pagamento in caso di giacenza annua inferiore a 5mila euro. Dall’altra parte, coloro che investono in fondi d’investimento e Sicav (società di investimento a capitale variabile), in una gestione patrimoniale, in una polizza unit-linked, in un conto deposito o investono direttamente in titoli obbligazionari o azionari, detenendoli in un deposito amministrato, subiscono il pieno impatto della mini-patrimoniale pagando un’aliquota annua dell’1,5 per mille senza alcuna soglia di esenzione

La tassazione risulta quindi marcatamente regressiva, distorsiva della concorrenza e (cosa che interessa maggiormente Foà) penalizzante degli intermediari finanziari non bancari (e indipendenti), che in Italia sono purtroppo mosche bianche. Senza voler sopravvalutare la razionalità di esecutivo e legislatore, oltre alla inequivocabile potenza di lobbying delle banche, abbiamo l’impressione che questa fiscalità sia stata scelta per dare un aiutino (ma anche un aiutone) alla raccolta diretta bancaria, che nei mesi del salva-Italia era sotto forte pressione, in un contesto dideleveraging che ha seriamente rischiato di farci fare la fine del sistema bancario spagnolo.

Il benefit fiscale ha consentito alle banche (ma anche al Bancoposta pubblico, non dimentichiamolo) di disporre di una formidabile arma competitiva per offrire un plus ai depositanti (in aggiunta a costi della raccolta comunque in forte ascesa) e trattenere o incrementare la massa di depositi, con buona pace dei criteri di equità contributiva, per cercare di ridurre l’impatto potenzialmente catastrofico della riduzione della leva finanziaria da parte delle banche, che come noto hanno un rapporto prestiti impieghi intorno al 130 per cento, del tutto squilibrato. Ancora una volta, sotto le bombe si perde di vista l’architettura della tassazione. Che fare allora, quando la guerra sarà finita?

Noi proviamo a riproporre il nostro “patto repubblicano“: tutti i redditi, di capitale e di lavoro, in dichiarazione dei redditi e franchigia sufficientemente elevata da escludere i patrimoni piccoli e medi. Semplificazione ed equità, ammesso e non concesso di non avere special interests nei paraggi. Sognare non costa nulla, come sempre.

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