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Regno Unito, arriva la spremuta di tasse

Il primo budget di Keir Starmer e Rachel Reeves porta forti aumenti di entrate, che rischiano di colpire i lavoratori a bassi salari, ma anche più debito per finanziare investimenti pubblici. Una scommessa rischiosa

La Cancelliera dello Scacchiere britannica, Rachel Reeves, ha annunciato il progetto di bilancio 2025. Le attese della vigilia sono state sostanzialmente rispettate: doveva essere un bilancio di tasse, e tasse furono. Con enfasi, i media britannici hanno già segnalato che i 40 miliardi di aumento di entrate annue previste sono il maggiore da una generazione (Financial Times) o addirittura “di tutti i tempi” (il prevedibile conservatore Telegraph).

Rischio per i lavoratori con bassi salari

Quello che colpisce, almeno il sottoscritto, è il gettito prodotto dall’aumento dei contributi della National Insurance a carico dei datori di lavoro, più 1,2 per cento al 15 per cento. Addirittura, viene ridotta la soglia retributiva che fa scattare il prelievo, da 9.100 a 5.000 sterline. La misura dovrebbe produrre un gettito annuo di 25 miliardi di sterline.

 

In pratica, le retribuzioni più basse verranno rese molto più onerose per i datori di lavoro, e questo rischia di produrre effetti negativi sull’occupazione, anche perché si sommerà con la decisione del governo Starmer di aumentare il salario minimo del 6,7 per cento per i lavoratori oltre 21 anni e del 18 per cento per quelli età inferiore. Successivamente, gli aumenti di salario minimo cesseranno di essere differenziati per età dei destinatari. L’entità dell’aumento per i lavoratori adulti serve per mantenere il salario minimo a due terzi del salario mediano.

La manovra a tenaglia sul costo del lavoro meno qualificato rischia di causare riduzioni di occupazione. E infatti la categoria dei datori di lavoro del settore hospitality ha subito giudicato molto negativamente le misure, anche se le imprese più piccole avranno la misura mitigatrice dell’aumento della employment allowance, da 5.000 a 10.500 sterline annue. A questo punto, le aziende dovranno tentare di aumentare i prezzi, incrementare la produttività o comprimere i margini di profitto, se ve ne sono.

 

I lavoratori più giovani sono quelli a maggior rischio di pagare le conseguenze ma per tutti si profila il rischio di una frenata nella progressione dei redditi dei prossimi anni, come suggerito anche dal guardiano indipendente dei conti pubblici, l’Office for Budget Responsibility (OBR), che prevede una traslazione del 76 per cento del maggiore onere per i datori di lavoro sui dipendenti. Ad esempio spostando alcuni di loro dal rapporto di lavoro dipendente a quello autonomo, con tutto quello che ciò implica.

Altre misure annunciate da Reeves: l’aumento dal 28 al 32 per cento della tassazione del carried interest, cioè delle commissioni di performance pagate ai gestori dei fondi. Vi era l’ipotesi di allineare il prelievo alla maggiore aliquota marginale dell’imposta personale sui redditi, ma è stata evitata. Resta da capire se e quanto deflusso di gestori dal Regno Unito sarà conseguenza della maggior tassazione, assieme alla eliminazione dell’istituto dei non domiciliati, altra agevolazione per ricchi stranieri, che verrà sostituito con altro.

 

Aumentano anche le aliquote di tassazione dei capital gain, come annunciato. Altre tasse verranno da un aumento del 2 per cento dello stamp duty sugli acquisti di seconde case.

Forti aumenti di spesa per la sanità

Che ne farà il governo di questa  spremuta fiscale? Cercherà soprattutto di rianimare il moribondo servizio sanitario nazionale (National Health Service, NHS), con aumenti di spesa corrente per 22 miliardi il prossimo anno e il successivo, e di 3,1 miliardi per gli investimenti in sanità. Previsti robusti interventi anche per la disastrata istruzione pubblica, finanziati anche con l’Iva fatta pagare alle scuole private.

Ma Reeves ha anche trovato il modo di aumentare gli investimenti pubblici modificando la regola che sinora puntava ad avere un calo del rapporto tra debito pubblico e Pil entro l’ultimo anno della legislatura. Ora, a calare dovrà essere un differente aggregato, il debito finanziario al netto degli investimenti finanziari pubblici, inclusi quelli illiquidi (Public Sector Net Financial Liabilities, PSNFL).

 

All’ultimo anno del periodo di previsione, nel 2029-30, ci saranno aumenti di entrate per 41,1 miliardi di sterline l’anno, ma la spesa corrente e in conto capitale aumenterà di 74,1 miliardi, con un buco da finanziare con debito per 32,9 miliardi di sterline, quelli per investimenti. Qui, l’ultima parola la dirà il mercato, comunque.

Sempre l’OBR ha previsto che la manovra determinerà, entro la fine della legislatura, mezzo punto percentuale di inflazione e di conseguenza rendimenti dei titoli pubblici più elevati rispetto all status quo ante, e stima solo il 54 per cento di probabilità di centrare il mandato fiscale a fine legislatura, cioè avere una diminuzione nel 2029 del rapporto tra passività finanziarie pubbliche nette e Pil. Ed è subito titolo delle testate giornalistiche: i mutui costeranno di più.

Più tasse ma niente austerità

 

Reeves, contrariamente alle indiscrezioni della vigilia, ha previsto di reintrodurre la sterilizzazione del fiscal drag nell’anno fiscale dopo la scadenza delle misure del precedente governo, il 2028-29. Ma ha deciso di prorogare per altri due anni, fino al 2030, il blocco delle indicizzazioni degli scaglioni dell’imposta sulle successioni. Quindi, il fiscal drag opererà ancora per almeno un lustro (e più) sul caro estinto.

Questo elenco di misure non è esaustivo: c’è anche un aumento della base imponibile proprio sulle successioni. Inoltre, sono stanziati 11,8 miliardi di sterline per compensare le vittime dello scandalo del sangue infetto.

Reeves ha puntigliosamente rimarcato che non ci sarà alcuna austerità e ha ragione, se pensiamo che la spesa dei dipartimenti (l’equivalente dei nostri ministeri), potrà crescere in termini reali, cioè al netto dell’inflazione, di 1,5 per cento annuo. Non è poco, non è austerità, appunto. Anche se, trattandosi di aumento complessivo, alcuni dipartimenti “non protetti”, quali Home (Interno) e Trasporti, potrebbero avere riduzioni reali di spesa.

 

In conseguenza di questo impianto fiscale, la pressione tributaria britannica toccherà entro la fine della legislatura il nuovo massimo storico del 38,2 per cento nel 2029-30, dall’attuale 36,4 per cento. E resta bassa rispetto alla media Ue.

Come commentare questo profluvio di numeri, che rischia di annoiare i lettori? Direi in sintesi che si sta compiendo quello che prevedo da alcuni anni: il Regno Unito deve scegliere se ripristinare il livello di servizi pubblici goduti sino a qualche anno addietro (su tutti, sanità e istruzione), e rilanciare gli investimenti pubblici, soprattutto infrastrutturali, oppure tentare di restare un’economia sviluppata a bassa pressione fiscale. Non si possono avere entrambe le cose, contrariamente a quanto i Tory hanno cercato di sostenere nell’ultimo lustro.

Ciò premesso, mi colpisce che ampia parte della stretta fiscale finirà con l’essere pagata dai lavoratori a minore reddito, anche se formalmente si colpiscono i datori di lavoro. L’antica e trascurata distinzione tra contribuente de iure e de facto, sulla quale molti governi marciano allegramente, quando devono rassicurare i contribuenti.

Malgrado l’aumento medio di entrate di una quarantina di miliardi di sterline ogni anno da qui a fine legislatura, ci sarà dunque anche da finanziare più debito, per 28 miliardi medi annui. Se gli investimenti pubblici fungeranno da volano per quelli privati, anziché spiazzarli attraverso tassi più alti, la scommessa sarà vinta e pagata, o meglio ripagata. Altrimenti, saranno problemi con i bond vigilantes. E l’ombra di Liz Truss si allungherà sul Regno.

Tuttavia, il modello econometrico di OBR resta scettico, visto che prevede una spinta alla crescita nei primi due anni, e poi una normalizzazione lievemente sotto l’attuale crescita potenziale.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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