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Referendum eutanasia: a che punto siamo

È stato superato il milione di firme due settimane prima della presentazione in Corte di Cassazione della proposta per un referendum sull’eutanasia legale. Un successo indubbio, frutto di un numero di firme che è più del doppio di quelle richieste per l’approvazione del quesito referendario, ovvero 500.000.

di Francesca Zanni

In centinaia di città italiane sono stati organizzati banchetti di raccolta firme dall’Associazione Luca Coscioni grazie alla partecipazione attiva di 13.290 volontari, 2.970 autenticatori e 1.765 avvocati (dati aggiornati al 28/09/2021). Si è trattato insomma di una vera mobilitazione, che ha visto impegnate migliaia di persone e ha raccolto il consenso di una parte consistente degli italiani. Ma come si è arrivati a questo punto, e in che direzione si andrà dopo la consegna delle firme, prevista per l’8 ottobre?

Il referendum eutanasia legale

Il quesito è stato presentato alla Corte Suprema di Cassazione lo scorso 20 aprile 2021. Si richiede un referendum abrogativo, ovvero che gli italiani si esprimano in merito alla soppressione – in questo caso parziale – di una norma del Codice Penale. Il testo è il seguente:

Volete voi che sia abrogato l’art. 579 del codice penale (omicidio del consenziente) approvato con regio decreto 19 ottobre 1930, n. 1398, comma 1 limitatamente alle seguenti parole “la reclusione da sei a quindici anni.”; comma 2 integralmente; comma 3 limitatamente alle seguenti parole «Si applicano»?”.

Gli organizzatori puntano a depenalizzare definitivamente l’eutanasia nel nostro paese. In questo senso, l’articolo 579 parzialmente abrogato da un’eventuale vittoria del sì con raggiungimento del quorum consentirebbe l’avvalersi, da parte dei cittadini italiani, di forme di eutanasia attiva nelle forme previste dalla legge.

La raccolta firme

La raccolta firme per arrivare a un referendum sull’eutanasia legale ha avuto molto successo: 250.000 sono state raccolte prima del 28 luglio 2021, meno di un mese dopo la diffusione dei banchetti per la raccolta.

È del 25 agosto la notizia del superamento delle 750.000 firme raccolte, tra cartacee e digitali. La possibilità di firmare tramite identità digitale ha poi reso molto più agevole la possibilità anche per coloro i quali che non potevano o volevano recarsi in presenza farlo comodamente da casa. Infine, è del 23 settembre 2021 l’annuncio del superamento del milione di firme raccolte da parte dell’Associazione, come indicato in apertura.

Il referendum eutanasia legale è promosso, tra gli altri, dai partiti +Europa, Partito Liberale Italiano, Partito Socialista Italiano, Radicali Italiani, Europa Verde, oltre a diverse liste civiche e gruppi consiliari locali di altri partiti come PD e MoVimento 5 stelle, sebbene i relativi partiti a livello nazionale non abbiano ancora preso una posizione. L’Associazione Luca Coscioni rende anche noti sul suo sito i nomi di Deputati e Parlamentari che hanno partecipato alla raccolta firme, così come sono stati indicati anche nomi di diversi sindaci e personaggi famosi che hanno aderito.

I prossimi passi

Con 640.621 firme cartacee e 372.000 online (dati ANSA al 23 settembre) di cui 513.540 già pronte per il deposito in quanto dotate di certificato di iscrizione nelle liste elettorali, ci sono quindi i numeri per depositare in Corte di Cassazione la raccolta, deposizione prevista per l’8 ottobre 2021. In seguito, come ha dichiarato Marco Cappato, tesoriere della Associazione Luca Coscioni, la speranza dei promotori è quella di riuscire a organizzare il referendum per la prossima primavera, quindi tra marzo e aprile del 2022. Nel frattempo, dopo il voto di luglio a cui si sono opposti Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia, è previsto per il 25 ottobre prossimo l’esame alla Camera di una proposta di una legge sul fine vita.

Che cos’è l’eutanasia

Il termine “eutanasia”, dal greco “buona morte”, consiste nel procurare la morte in individui sofferenti, presa consapevolezza che la situazione di malattia sia irreversibile e che essa provochi una qualità di vita non conforme a quella desiderata dal paziente. Da non confondere con la sospensione del cosiddetto “accanimento terapeutico”, e nemmeno con l’omicidio non consensuale della persona in oggetto, l’eutanasia viene spesso distinta in “eutanasia passiva” e “attiva”.

L’eutanasia passiva è considerata tale quando la morte viene procurata senza intraprendere azioni che possano impedirla, come per esempio non somministrare terapie salvavita senza le quali il paziente morirebbe. L’eutanasia attiva al contrario è tale per l’interazione di un essere umano che attraverso una manovra di tipo medico (come, per esempio, la somministrazione di una sostanza) pone fine alla vita di un altro. Lo scopo è sempre quello di alleviare le sofferenze di una persona che ritiene, per le condizioni fisiche in cui versa, che la sua vita non sia più degna di essere vissuta e vuole quindi porre fine a essa.

Il dibattito sull’eutanasia è fortemente legato ai temi del suicidio e dell’omicidio. Mentre in Italia il suicidio e il tentativo dello stesso non costituiscono reato, quindi la persona che tenta di uccidersi per porre fine a una condizione di vita considerata insostenibile non è perseguibile, il discorso si complica se per impedimenti fisici di sorta interviene una seconda persona nel processo, come un medico. In questo caso si parla di “suicidio assistito”, che differisce comunque dall’eutanasia in quanto è il paziente, che, seppur aiutato, compie l’atto suicidario. Secondo l’Associazione Luca Coscioni, il suicidio assistito “È una forma di eutanasia, legale in Svizzera, dove a seguito di un iter strettamente regolamentato, e sotto controllo medico, la persona che ne fa richiesta autonomamente si somministra il farmaco, senza intervento di terzi.”

Il dibattito morale è molto complesso, ed è stato spesso analizzato da diversi studiosi di etica e diritto, come per esempio dal filosofo Giovanni Fornero, che ha pubblicato nel 2020 un voluminoso saggio in merito: Indisponibilità e disponibilità della vita.

Breve storia dell’eutanasia in Italia

I casi che hanno diviso l’opinione pubblica in Italia sono stati molti. Dai famosi casi di Piergiorgio Welby (clicca qui per l’intervista di OggiScienza a Mina Welby) e di Eluana Englaro, fino ai più recenti casi di DJ Fabo e Davide Trentini, il tema del fine vita è diventato ormai una questione di urgenza pubblica. Secondo un’indagine del 2020 effettuata da Eurispes, ben il 75,2% degli italiani sarebbe favorevole all’eutanasia.

Nel 2013 l’Associazione Luca Coscioni ha depositato alla Camera dei Deputati una proposta di legge di iniziativa popolare: “Rifiuto di trattamenti sanitari e liceità dell’eutanasia”, dopo aver raccolto circa 70.000 firme. La proposta è attualmente in esame.

Una delle maggiori svolte in ambito legislativo è però avvenuta nel 2017, con la Legge 219/2017: “Norme in materia di consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento”. Questa legge, entrata in vigore il 31 gennaio 2018, stabilisce all’Articolo 1 che “nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge.” Grazie a questa legge viene quindi ribadito quanto già previsto dall’articolo 32 della Costituzione secondo cui “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”. In questo senso, il paziente può rinunciare a trattamenti medici, farmacologici e a manovre salva-vita, anche se ciò comporta la sua morte, ma anche a dispositivi quali la nutrizione e l’idratazione artificiale, anche se questi ultimi furono oggetto di un ampio dibattito in occasione della morte di Eluana Englaro.

La legge 219 del 2017 permette di redigere un vero e proprio testamento biologico, o meglio regolamenta le cosiddette Disposizioni Anticipate di Trattamento (DAT), disposizioni indicate dal cittadino maggiorenne e capace di intendere e volere in merito al consenso o al rifiuto di accertamenti diagnostici, scelte terapeutiche e singoli trattamenti sanitari. Queste disposizioni vengono rilasciate “in previsione di un’eventuale futura incapacità di autodeterminarsi”. A partire dal 1 febbraio 2020 è stata poi istituita la Banca dati nazionale delle DAT, dove sono raccolte le disposizioni consegnate a notai, Comuni e agli altri organi atti a raccoglierle.

Ma ci si è chiesti se ciò sia abbastanza. È possibile, quindi, smettere di vivere una vita che non si ritiene di voler più vivere solo con il rifiuto di determinati trattamenti, applicando insomma la cosiddetta eutanasia passiva di cui si parlava precedentemente? Alcuni malati che si trovano in queste condizioni vorrebbero soltanto smettere di soffrire, il più rapidamente possibile. La morte che sopravviene per sospensione di trattamenti è inevitabilmente più lenta di quella che si potrebbe procurare con eutanasia attiva o con un suicidio assistito. In merito, ha fatto storia quanto accaduto a Marco Cappato e alla vicenda di Fabiano Antoniani.

La vicenda Antoniani-Cappato

Marco Cappato è un politico e attivista italiano, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni. Cappato ha reso il suo aiuto a Fabiano Antoniani, noto come DJ Fabo, che nel 2014 a seguito di un incidente rimase cieco e tetraplegico. Espressa la sua volontà di porre fine alla sua vita, ma impossibilitato a compiere atto suicidario a causa delle sue condizioni fisiche, è stato aiutato nel 2017 da Cappato a raggiungere la Svizzera per togliersi la vita. Trattandosi in questo caso di suicidio assistito, non previsto dalla normativa italiana, in un atto di disobbedienza civile l’attivista si è autodenunciato di rientro in Italia per aiuto al suicidio, in quanto anche il solo accompagnamento nel paese estero per compiere l’atto suicidario è punibile dalla legge 580 del Codice Penale come “Istigazione e aiuto al suicidio”.

La sentenza che l’ha assolto nel 2019 è stata preceduta proprio nel 2017 da una pronuncia da parte della Corte Costituzionale: “la Corte ha ritenuto non punibile ai sensi dell’articolo 580 del codice penale, a determinate condizioni, chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”.

Come anticipato, il 25 dicembre 2019 Marco Cappato è poi stato definitivamente assolto dalla Corte d’Assise di Milano perché il fatto non sussiste. Questo ha creato un precedente in merito alla liceità del suicidio assistito che ha reso sempre più necessaria la promulgazione di una legge relativa all’eutanasia più ampia di quella del 2017, che comprendeva soltanto la possibilità da parte dei cittadini di esporre e registrare le Disposizioni Anticipate di Trattamento, il cosiddetto “testamento biologico”.

Il referendum per rendere l’eutanasia legale è quindi il passo successivo per la promulgazione di una legge ad hoc, che renda possibile nel nostro paese ricorrere, come estrema possibilità di eliminazione della sofferenza, a una morte che possa avvenire in un ambiente protetto e sotto sorveglianza medica. A oggi infatti, nonostante il precedente del caso Cappato, è accaduto che in un caso simile sia stato invece dato un responso completamente diverso da parte del tribunale.

Il Tribunale di Ancona ha infatti negato a un uomo l’assistenza medica necessaria per accedere al suicidio assistito. Incapace di svolgere qualsiasi attività a seguito di un incidente avvenuto nel 2010, Mario (nome di fantasia, i veri nomi delle persone coinvolte non sono stati resi noti) si è visto negare quanto richiesto: “L’azienda sanitaria ha contestato che possa individuarsi nel nostro ordinamento un obbligo per i sanitari di prestare assistenza al suicidio e un conseguente diritto per il paziente a ottenere qualsiasi adempimento in tal senso.” Avendo già Mario dato le Disposizioni Anticipate di Trattamento, l’azienda Sanitaria ha anche dichiarato che “nell’ambito del proprio diritto all’autodeterminazione e alla luce di quanto previsto dalla legge 219/17, può comunque rifiutare i trattamenti necessari per la propria sopravvivenza, fruendo della terapia del dolore ove occorra anche nelle forme della sedazione profonda continua”.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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