Referendum cinico e baro
Ennesima raccolta firme per un referendum abrogativo, con molti anni di mancato raggiungimento del quorum. Uno strumento ormai usato solo per creare miraggi di coalizioni e posture declamatorie fingendo di ricorrere alla democrazia diretta?

Ha suscitato entusiasmo, la rapidità con cui sono state raccolte le firme per il referendum che punta a dimezzare il termine per ottenere la cittadinanza italiana, portandolo a cinque anni di residenza legale nel territorio della Repubblica, com’era previsto dalla legislazione prima del 1992 e com’è stabilito in diversi altri Stati Ue.
Sprint con Spid
La grande rapidità nell’avanzamento della raccolta firme si deve alla possibilità di sottoscrivere online via Spid, il sistema di identità digitale, oltre che con carta d’identità elettronica. La soglia del mezzo milione di firme è stata superata di slancio, così come avvenuto con la raccolta firme per il referendum abrogativo dell’autonomia differenziata.
Vorrei premettere che ritengo il sistema di sottoscrizione online un’ottima cosa, per definizione. Ma ci sono anche altri aspetti da evidenziare, e riguardano la dinamica politica e il dibattito pubblico. Nel senso che, con la sottoscrizione online, si abbattono i tempi di raccolta firme e si riduce l’attrito e la “fatica democratica” di queste forme di istanza diretta. Ma le buone notizie finiscono qui.
Intanto, se verrà superato il vaglio della Cassazione sulle firme (la presenza di quote di sottoscrizione digitale dovrebbe agevolare in tal senso), si arriverà all’esame della Consulta, che potrebbe ritenere i referendum non ammissibili. E fin qui, nulla quaestio. Ma se si arrivasse al voto? Avremmo lo scoglio del quorum. Il referendum è valido con metà più uno degli aventi diritto al voto.
Sappiamo che la storia di questi ultimi anni indica che questo è un ostacolo difficilmente superabile. Nel frattempo, si è formato un enorme spin mediatico e si è iniziato a fantasticare sulla creazione di coalizioni alternative a quella di maggioranza, con tutto il florilegio di “analisi” e “dibattiti”.
Che c’entra il referendum, qui? C’entra nella misura in cui queste iniziative vengono utilizzate, nella prima fase, per creare ipotesi e suggestioni di coalizione. Intendo dire che alcuni potrebbero sfruttare lo slancio ideale dei primi promotori dell’iniziativa referendaria al solo scopo di muovere le acque e la classifica.
Il teatrino delle coalizioni
Comparsate, rimpatriate, photo opportunity di leader di partiti grandi e piccoli, codazzo di retroscenisti e analisi di politologi più o meno professionali, talk show, ecc. La stessa dinamica, depotenziata, la si vede nelle raccolte firme per leggi di iniziativa popolare, che hanno asticella ben più bassa (solo 50 mila firme), ma che vengono parimenti utilizzate per dare forma a presunte coalizioni della “società civile” tese a creare difficoltà alla maggioranza pro tempore.
Dopo di che, la legge arriva alle camere e finisce in un cassetto, coi promotori che possono denunciare a favore di telecamere e microfoni il “tradimento della volontà popolare”, e attaccarci un bel “Vergogna!”. Ovviamente, un’opinione pubblica instupidita dai social e dai talk politici si accorge sempre meno di questi petardi fradici, ma tutto serve per la rappresentazione teatrale.
Il referendum mantiene una assai residua valenza di tentativo di spallata alla maggioranza pro tempore, ma essa si è fortemente annacquata negli ultimi anni (parecchi anni). Certo, ogni regola ha la sua eccezione: se l’abrogazione del Jobs Act potrebbe essere ignorata, magari quella sull’autonomia differenziata riuscirà a raggiungere il quorum, essendo presentata come questione di vita (grama) o morte (certa) dell’unità nazionale e delle regioni prenditrici nette di risorse fiscali.
Sul dimezzamento dei tempi di cittadinanza, forse si avrebbe una discreta polarizzazione ma non sono certo del raggiungimento del quorum anche perché, come in tutti i referendum, c’è sempre l’agevole opzione “a leva” dell’astensionismo.
Riformare lo strumento
Quindi, che fare? C’è la grande suggestione di togliere il quorum, che ricordo era uno dei punti qualificanti del M5S delle origini. Per premiare l’attivismo della cittadinanza (o delle lobby, a seconda dei punti di vista e del referendum). Oppure la modifica del quorum, in senso di renderlo mobile e parametrato all’affluenza alle ultime elezioni politiche, ad esempio il 50 per cento di quest’ultima. Oppure alzare la soglia della raccolta firme: con l’aumento dell’età media della popolazione, il corpo elettorale è nella fase di forte crescita che ne precede il declino numerico, al netto di ipotesi di voto ai sedicenni. Mezzo milione di firme è l’uno per cento mal contato degli aventi diritto al voto, oggi. Si potrebbe portare al 5 per cento, tra ululati di attentato alla democrazia diretta. Oppure si potrebbe usare un mix di tutto ciò, ammesso e non concesso di trovare consenso tra i partiti.
In breve, e senza che queste riflessioni siano una presa di posizione contro il referendum sulla cittadinanza, mi pare che oggi la situazione sia che i referendum, con stanchezza crescente, vengano usati come strumento di creazione di ipotesi (o miraggi) di coalizioni di opposizione, per mettere pressione a maggioranze non granitiche sulla questione utilizzata. Forse serve, forse no, e potrebbe addirittura produrre ulteriori esiti di disaffezione dell’elettorato. Potrebbe? Potrà.
Peraltro, queste iniziative producono valore segnaletico anche per negazione, come mostra la scelta del M5S di non sottoscrivere il referendum sulla cittadinanza. Mi si nota di più se firmo o non firmo? Per un’entità colliquata che oggi ha preso le sembianze della sinistra radicale e che pare studiare sui testi della rossobruna filorussa tedesca Sahra Wagenknecht, anche questa decisione serve a proiettare ombre sulla caverna.
Quindi, forse una classe politica vagamente seria dovrebbe fare una riflessione collettiva e ristrutturare l’accesso referendario, nell’era dello Spid, su quorum e numero di firme necessarie. Per non creare ulteriore rigetto nell’elettorato sempre più disilluso, e non dare ennesima prova di cinismo con posture e declamazioni destinate a finire su un binario morto. Come la nostra democrazia.
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