Referendum | Gli istituti di democrazia partecipativa nella legge di revisione costituzionale
La legge di revisione costituzionale, che a breve sarà sottoposta a referendum costituzionale, modifica numerosi articoli della Costituzione italiana, che è stata modellata dai nostri Padri fondatori in modo tale da prevenire e contrastare derive autoritarie e plebiscitarie. Ciò spiega perché in Assemblea costituente vi furono molte perplessità sulla introduzione degli istituti di democrazia partecipativa (referendum abrogativo, iniziativa legislativa popolare, ecc.).
Ora, la riforma costituzionale prevede l’introduzione di referendum propositivi e d’indirizzo e una modifica dell’istituto dell’iniziativa legislativa popolare. Oggi le proposte di legge di iniziativa popolare restano in genere nei cassetti del Parlamento. La legge di revisione costituzionale, invece, contribuisce al rafforzamento dell’istituto. Infatti, è vero che la riforma stabilisce che per promuovere l’iniziativa sia necessaria la raccolta di almeno 150.000 anziché 50.000 firme, ma è anche vero che la legge di revisione costituzionale prevede un’importante novità: la discussione e la deliberazione conclusiva su tali proposte devono essere garantite nei tempi, nelle forme e nei limiti stabiliti dai regolamenti parlamentari, che dovranno dunque essere modificati per dare attuazione a questa e ad altre nuove norme costituzionali.
Inoltre, la riforma modifica la disciplina dell’istituto del referendum abrogativo, che da molti anni risulta depotenziato a causa dell’alto quorum di partecipazione (la maggioranza degli aventi diritto, secondo quanto previsto oggi dalla nostra Costituzione) necessario per approvare la proposta soggetta a referendum. Questo alto quorum (molto difficile da raggiungere) ha ulteriormente favorito l’astensionismo e, altresì, i ripetuti inviti agli elettori ad andare al mare per “boicottare” le iniziative referendarie.
Nella legge di revisione costituzionale tale quorum è confermato se il referendum lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali, se invece la proposta di referendum è avanzata da ottocentomila elettori, essa è approvata se ha partecipato la maggioranza dei votanti alle ultime elezioni della Camera dei deputati, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi. In questo modo, l’abbassamento del quorum valorizza la cittadinanza attiva, non vanificando gli sforzi organizzativi dei promotori che in questo caso hanno raccolto anche un maggior numero di firme, utilizzando, secondo quanto previsto dalla normativa vigente, moduli timbrati e vidimati. Ma anche la raccolta delle firme non può considerarsi un ostacolo nella società digitale.
E la normativa vigente dovrà essere modificata per favorire il diritto di partecipazione. A tal fine sarà sufficiente per sostenere i comitati organizzatori mettere a loro disposizione un software open source, che potrà essere utilizzato per raccogliere le firme digitali via web.
Tutto ciò è una realtà per l’iniziativa dei cittadini europei prevista dall’art. 11, comma 4, del Trattato di Lisbona. E per l’Italia esiste già un ente competente alla certificazione dei sistemi di raccolta online: l’Agenzia per l’Italia digitale (ex DigitPA).
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