Abbiamo visto e continuiamo a vedere tanti film americani di spionaggio, ma solo recentemente la RAI ha deciso di proporci una spy-fiction all'italiana. Intrighi internazionali, conflitti interni ai 'servizi', ombra della CIA e signori della guerra compaiono sullo sfondo di una storia che è anche di amore e di amicizia. Fatta la tara di sentimenti e retorica patriottica, però, quale immagine dei nostri servizi segreti traspare dallo sceneggiato e, soprattutto, a che gioco giocano tutti i servizi di 'intelligence'?
Il 12 e 13 gennaio RaiUno ha trasmesso, in due serate, la miniserie “Ragion di stato”, una coproduzione cinematografica Rai Fiction – Cattleya, il cui soggetto e sceneggiatura sono di Laura Ippoliti e Andrea Purgatori, con la regia di Marco Pontecorvo. Non si può fare a meno di notare che si tratta di un genere nuovo per la televisione italiana, un’inedita spy-fiction ambientata negli anni ’90 tra Italia, Libano e Afghanistan, che vede come protagonisti Luca Argentero e Anna Foglietta. Essi, nei panni di due 007 dell’AISE, i nostri servizi segreti militari, trattano per una tregua che costerà ad uno degli uomini in divisa la cattura in un’imboscata, contrastati dalle trame dei bad guys della CIA e dello stesso AISE.
Nella conferenza stampa di presentazione della miniserie, visto il periodo infuocato in cui essa si è trovata ad uscire sugli schermi italiani, sceneggiatore e regista hanno subito precisato che non c’è alcuna attinenza con le attuali vicende del terrorismo islamico e che, viceversa, il film intende mostrare un aspetto positivo del nostro spionaggio, che spesso è riuscito a salvare la vita di ostaggi italiani.
“Qui si parla di come agisce un Paese in missioni di pace. Non ci sono attinenze con i fatti di Parigi, se non che da quei paesi provengono i terroristi. I servizi hanno accettato di giocare lo stesso ruolo che giocano con le fiction che si fanno in altri Paesi. […]I nostri servizi negli ultimi 10 anni hanno portato a casa decine e decine di ostaggi, non solo italiani e mai a pagamento, sia chiaro, come qualcuno vuole far credere. I nostri servizi oggi funzionano, non hanno più l’elemento di deviazione del passato”.
Bene, visto che non mi occupo di critica cinematografica ma del processo di progressiva militarizzazione del nostro Paese, vorrei partire proprio da quest’ultima dichiarazione, che mi suona come la classica excusatio non petita. L’intento dello sceneggiato, infatti, è quello di farci mettere l’occhio nella serratura della nostra Intelligence, ma solo per mostrarci come deviazioni e doppi giochi siano l’eccezione alla regola nei Servizi segreti, come peraltro succederebbe nei paesi in cui classicamente sono ambientate le spy stories, ad esempio gli USA, ragion per cui si conferma che “i Buoni” sono comunque destinati a prevalere, come è giusto che sia.
Certo: si trama, ci si spia reciprocamente, si organizzano complotti e depistaggi, si flirta con terroristi e mercanti di morte, si eliminano senza tanti scrupoli le pedine scomode del gioco ma, alla fine, chi vince è la componente sana, democratica, leale e corretta dei Servizi, quella fedele allo Stato ed ai suoi valori. E qui la musica sale, le bandiere sventolano ed i cittadini, commossi, dovrebbero avvertire l’orgoglio di essere “Italiani: brava gente”, che non rinuncia ai sentimenti e che difende la pace…
Credo però che “Ragion di stato”, pur partendo da questo propagandistico assunto, suo malgrado, abbia il merito di aprirci gli occhi su una realtà intricata e feroce, che è poi quella che alimenta tutte le guerre e ne consente la continuazione. Basta solo non lasciarsi distrarre dalla love story tra il Capitano Rosso e Rania, moglie di uno dei tanti feroci ‘signori della guerra’ libanesi, che l’AISE impiega come mediatore per ottenere la liberazione di uno dei suoi uomini presi in ostaggio.
E sufficiente non lasciarsi coinvolgere dall’ambigua relazione fra lo stesso Rosso e la sua amica e superiore Stella, ‘analista’ degli stessi servizi, che vive una sua disinvolta relazione omosessuale. Oppure ancora dalla condizione di ‘schiava’ di lusso che Rania è costretta a vivere fin da ragazza col marito Rashid, per cui l’intervento di Rosso diventa per lei un’occasione di liberazione personale, ma anche di guarigione per la figlioletta sordomuta.
Se spazziamo via dalla fiction questi ed altri elementi diciamo così sentimentali e ci concentriamo invece sulla sua trama di fondo, mi sa che il mondo dei servizi segreti italiani che ne affiora risulta tutt’altro che rassicurante. E non solo perché emergono al suo interno rivalità, camarillas e complotti – come quello tra il buon ammiraglio Massa ed il cattivo generale Ranieri, che sembrano riflettere specularmente i contrasti tra il buon capo della CIA Charlie ed il suo infido rappresentante in Italia Bundy. La verità che lo sceneggiato ci schiude, pur con grande prudenza, è assai più dura ed inconfessabile: i servizi segreti non hanno mai smesso di foraggiare mercanti d’armi e terroristi, proprio per consentire ai nostri cari ‘liberatori’ di lottare contro estremisti, dittatori e terroristi.
La “ragion di stato” , espressione che compare solo alla fine della seconda puntata, è appunto quella che – alla faccia dell’apparente vittoria all’interno dell’AISE della componente sentimentale, democratica ed indipendente contro quella dei cinici spioni filoamericani – porterà a rilasciare il mercante d’armi e di terrore libanese Rashid, già trionfalmente catturato e quindi neutralizzato, in modo che possa continuare a fungere da ambiguo ‘mediatore’ tra gli stati e le bande armate dei terroristi che egli stesso rifornisce.
Chi ha guardato fino in fondo il film, infine, ha avvertito forse come me che la storia ha tutt’altro che il classico happy end, visto che ci lascia quanto meno in dubbio il sogghigno finale del ‘buon’ ammiraglio Massa, reintegrato saldamente nel suo incarico, mentre spia la coppia Rosso-Rania, nascosti nella casa al mare del capitano…
Ma che cos’è in realtà l’AISE, di cui milioni di italiani ignoravano finora anche l’esistenza? Se visitiamo il sito web della nostra ‘sicurezza nazionale’, apprendiamo che: “L’Agenzia informazioni e sicurezza esterna (AISE) ha il compito di ricercare ed elaborare tutte le informazioni utili alla difesa dell’indipendenza, dell’integrità e della sicurezza della Repubblica dalle minacce provenienti dall’estero. In particolare sono di competenza dell’AISE: le attività di informazione per la sicurezza che si svolgono al di fuori del territorio nazionale, a protezione degli interessi politici, militari, economici, scientifici e industriali dell’Italia; l’individuazione e il contrasto al di fuori del territorio nazionale delle attività di spionaggio dirette contro l’Italia e le attività volte a danneggiare gli interessi nazionali; le attività di contro- proliferazione di materiali strategici. L’AISE risponde al Presidente del Consiglio dei ministri e informa, tempestivamente e con continuità, il Ministro della difesa, il Ministro degli affari esteri e il Ministro dell’interno per le materie di rispettiva competenza.”( http://www.sicurezzanazionale.gov.i...).
L’attuale Direttore dell’AISE è Alberto Manenti, ufficiale dell’Esercito Italiano, già vice del precedente capo, il gen. Adriano Santini. La sua nomina, voluta dal presidente del consiglio Renzi, risale al 24 aprile del 2014 e varie fonti sottolineano che egli è considerato un esperto analista ed uno dei più maggiori conoscitori del Servizio che è stato chiamato a guidare. Sul suo conto, però, circolano anche indiscrezioni sulla sua presunta implicazione in vari affaires, come riferisce un articolo sul quotidiano “Europa”:
“Il nome di Manenti è comparso molte volte nei retroscena che hanno riguardato i servizi segreti negli ultimi vent’anni (Telekom Serbia, Nigergate). Recentemente è spuntato nelle carte relative all’inchiesta Finmeccanica, citato da Lorenzo Borgogni, ex capo delle relazioni esterne della multinazionale”.
Beh, nessuno pensa che il capo di un servizio di spionaggio e contro-spionaggio debba essere un ingenuo idealista (anche se lo sceneggiato tenderebbe ad accreditare tale versione buonista), ma probabilmente il nostro premier avrebbe potuto evitare di nominarne direttore un sospettato di relazioni ‘ufficiose’ con la nostra chiacchierata multinazionale degli armamenti.
Il vero problema, ancora una volta, non sono i nomi ma la funzione di questi servizi e, come abbiamo visto, l’AISE, pur con la dovuta discrezione, riconosce il suo ruolo spionistico, sia pure – ovviamente- in difesa dei supremi interessi dello Stato…
Il motto latino “Intellego et tueor” (“Capisco e proteggo”) che si legge nel cartiglio sotto lo stemma dell’AISE è la sintesi della sua attività di “intelligence”, il cui fine sarebbe la sicurezza nazionale, ossia la protezione di noi cittadini da minacce da cui altrimenti non potremmo difenderci. Il fatto è che la stessa fiction di RaiUno ci svela, anche se un po’ in filigrana, che molte di queste minacce sono alimentate proprio da chi dalle guerre trae la sua principale fonte di arricchimento e di potere. I vari ‘warlords’, certamente, i tanti dittatori e le solite organizzazioni terroristiche, ma in primo luogo quel complesso militare-industriale che da sempre alimenta i conflitti e li fa dilagare a macchia d’olio, per avere l’opportunità di vendere armi e d’inviare eserciti in difesa della pace e della libertà.
Il centro operativo dell’AISE si trova nel romano Forte Braschi, che ha già ospitato i precedenti servizi segreti italiani, i cui soli nomi (SIM, SIFAR, SID, SISMI) evocano vicende assai poco chiare, complotti e deviazioni. Guardandolo dall’alto, questo ‘Pentagono de’ Noantri’ (http://progettoforti.wix.com/proget... ) ha un aspetto meno regolare e militare di quanto ci aspetteremmo, ma all’interno di quella cittadella dell’intelligence militare italiana si celano sicuramente molte cose che non solo i cittadini normali ignorano (altrimenti che razza di servizi segreti sarebbero…?), ma che forse è meglio che nessuno venga mai a sapere.
Insomma, questa CIA all’amatriciana che esce dallo sceneggiato convince poco, ma bisogna ammettere che ‘Ragion di stato’ – non so quanto deliberatamente – è riuscita ad prire un po’ gli occhi degli Italiani su chi davvero è nella cabina di regia dei principali conflitti mediorientali. Guardiamoci dunque da dittatori sanguinari e da feroci califfi nerovestiti, ma soprattutto guardiamoci meglio attorno, perché, in nome di quella maledetta ‘ragion di stato’ si sono consumati e si continuano a consumare i peggiori misfatti ed i più insidiosi attacchi alla pace.
Non si tratta delle ‘paranoie complottiste’ ridicolizzate dai media, ma della semplice constatazione di come non ci sia bisogno di nuovi provvedimenti d’emergenza per ridurre la nostra già limitatissima libertà di pensiero, di parole e di azione dall’intromissione del Big Brother orwelliano.
Milioni di telecamere, complessi sistemi d’intercettazione di massa delle telecomunicazioni, cyber-spionaggio ed altre subdole forme di ‘monitoraggio’ ci hanno ormai assoggettati ad un controllo pervasivo, alla faccia della tanto sbandierata privacy. Bande magnetiche delle cards, sofisticati servizi informatici ed altri intrecci di dati sensibili consentono a chi ci sorveglia di spiare vita morte e miracoli di ciascuno di noi. Ma questo non è il vero e solo problema. Militari in assetto di guerra perlustrano le strade e sorvegliano impianti e perfino discariche di rifiuti. La militarizzazione del territorio, dei mari e del cielo è un dato di fatto impressionante, al quale però ci stiamo pian piano abituando…
Quanto al rapporto fra la classe politica e queste forze esterne, esso è quanto meno opaco, se non compromesso e viziato da decenni di deviazioni e corruzioni. Il complesso militare, del resto, è per sua natura impermeabile ai controlli, allergico alla democrazia e sfuggente ad ogni monitoraggio.
Ma se i custodi della nostra democrazia devono essere questo tipo di servizi segreti, credo allora che sia legittimo chiederci con i nostri progenitori latini: “Quis custodiet custodes?”.