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Quel vecchio Sud che si spopola e muore

Il Sud delle famiglie numerose e dei bambini che giocano per strada è solo uno stereotipo ormai. I tassi di natalità negli ultimi due decenni sono scesi vertiginosamente e il numero medio di figli per donna si attesta su livelli più bassi di quelli già contratti delle regioni del Nord. Cresce invece in percentuale la popolazione anziana.

Nelle aree appenniniche interne, che da sempre hanno costituito un serbatoio per l’emigrazione, lo spopolamento lascia borghi sempre più isolati, che muoiono di solitudine come i vecchi che sono rimasti. E le prospettive per il futuro sono scoraggianti: ci si attende per il 2070 una diminuzione di circa 1/3 rispetto agli attuali residenti (6 milioni in meno). Cosicché si stravolgerà la struttura per età e sarà come una piramide rovesciata con tantissimi anziani, pochi giovani e pochissimi bambini.

La denatalità è un fenomeno a cui ormai siamo abituati. Riguarda il nostro Paese non meno di altri dell’Occidente e ha cause economiche e sociali, nonché culturali. Ma nel nostro Sud tutte si incardinano in antiche incongruenze e in occasioni mancate. Cosicché lo sviluppo che non c’è mai veramente stato si salda con le aspettative che sono cambiate nel costume, come nell’immaginario.

I giovani lasciano i paesi, specie quelli un po’ mesti e sonnacchiosi che s'intravedono dalla strada che corre veloce nel fondovalle. E hanno ragione a farlo perché di lavoro ce n’è poco (il Mezzogiorno d’Italia è ultimo in Europa per occupazione giovanile) e di opportunità ancora meno. 

A ragione reclamano un impiego adeguato, una prospettiva di vita non precaria e il diritto di sognare, come i loro coetanei di altre parti del Nord del mondo (e per questo sacrificano ricordi, legami e persino sentimenti). Del resto, l’economia globale ha le sue logiche e i suoi ritmi, che il vecchio Sud fatica ad inseguire. Quindi, resta come a margine della storia, attardato su modelli assistenziali, affrontando il presente con un fatalismo rassegnato.

Ma ora anche quell’antico tesoro che era il mondo degli affetti familiari con i suoi valori atavici e granitici si scompagina come un vecchio libro. Addio a quel mondo di saggezza antica e di tradizione, all’affettività ritrosa dei nostri padri, di quella generazione che era austera nel manifestare i sentimenti, ma sapeva essere essenziale, come può esserlo la parola quand’è autentica. Per loro i figli erano “pezzi di cuore”, ben più di un impiego trovato o di un lavoro ben remunerato, bene che si dilata oltre ogni individualismo. Per loro i figli si “baciavano in sonno” non solo, e non tanto, per non darlo a vedere, cosicché non se ne adontassero, ma perché solo la notte con il suo infinito silenzio sa custodire l’amore che non si trattiene.

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