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Quarta, Dindo, De Maria; i fratelli Jussen; Werba e Dzido; Fung e Fu; Isserlis e Shih

Prosegue con successo e, spesso, con il tutto esaurito, la rassegna “Tempo di Sonate” di Musikàmera 2025

Nel 150-esimo anniversario della nascita di Maurice Ravel (7 marzo 1875 – 28 dicembre 1937), tre valenti musicisti hanno reso omaggio allo sfortunato compositore parigino, che lasciò questo mondo pochi giorni dopo un intervento chirurgico al cervello (il 19 dicembre), in seguito al quale soccombette all’alba del 28.

Il concerto è stato avvincente e ancor più gradevole, per la scelta dei brani, eseguiti in formazioni differenti.

Si è iniziato con un lavoro impervio, che ha segnato una svolta nella carriera di Ravel : Sonata in Do maggiore per violino e violoncello (1922), in quattro tempi.

La scrittura è semplificata all’estremo, mentre emerge la rinuncia ad ogni lusinga armonico – coloristica.

Ha una fonte letteraria il trittico pianistico Gaspard de la nuit (1908), poiché trae ispirazione da alcuni poemetti in prosa dell’opuscolo neohofmanniano, apparso postumo nel 1842, con la firma di Aloysius Bertrand.

I tre pezzi sono, nell ordine, Ondine (lent) ; Le gibet (Très lent) ; Scarbo (Modéré), una specie di gnomo deforme, orripilante e inquietante, perché si agita e si dimena per la stanza “come un fuso caduto dall’arcolaio di una strega”.

La composizione, della durata di circa 22 minuti, è caratterizzata da un virtosismo trascendentale, legato al gusto impressionistico di origine debussyana.

E’ in quattro movimenti anche l’ultimo brano, il Trio in La minore (1914), composto da Ravel durante un periodo di riposo a Saint-Jean-de-Luz, località situata nella zona basca, dove era nata sua madre.

La prima esecuzione, nel 1915, fu promossa dalla S.M.I., Societé Musicale Indépendant, fondata nel 1909 da alcuni compositori francesi, tra i quali, oltre a Ravel, Fauré, Schmitt, Roussel, in opposizione ad una reazionaria Societé Nationale, sorda a comprendere le novità dei giovani compositori. Si respira una libertà creativa, che mette in luce una raffinata scrittura strumentale e un gioco timbrico inesauribile.

Ottima la sonorità degustata in sala, grazie alla bellezza del suono del violoncello Pietro Giacomo Rogeri (ex Piatti) del 1717 di Enrico Dindo ; di quello del violino di Massimo Quarta ; di quello del pianoforte Fazioli sempre presente, utilizzato questa volta da Pietro De Maria : tre musicisti altamente professionali, in grado di indirizzare l’ascolto ad una precisa comprensione dello spartito.

Il concerto successivo è stato, senza alcun minimo dubbio, il più appassionante. Merito di due giovani fratelli, Lucas (1993) e Arthur (1996) Jussen, pianisti olandesi nati ad Hilversum, dove Eric Dolphy registrò il suo ultimo concerto, il 2 giugno 1964.

Ciò che ha avvinto l’ascoltatore al Teatro Malibran è il fatto che suonano con gioia, impossessandosi, per così dire, fisicamente dello strumento, esprimendosi entrambi con una gestualità sognante e una circolarità altalenante nei movimenti.

Hanno alternato brani interpretati a quattro mani – cambiando l’ordine di seduta – per la Sonata in Do maggiore K521 (1787), in tre tempi, di Mozart e, dopo un breve intervallo, Six épigraphes antiques L139 (1914) di Claude Debussy, senza mai leggere una riga di spartito ; ad altri a due pianoforti : sempre senza leggere hanno eseguito Andante con Variazioni in Si bemolle maggiore, op.46 (1843) di Robert Schumann, raramente ascoltato, non ostante rappresenti uno dei momenti più lirici dell’Autore. In origine fu concepito per due pianoforti, due violoncelli e un corno.

La prima parte si è chiusa con Bunte Blatter (foglie variopinte) (2022) di Jorg Widmann, un compositore vivente, nato nel 1973, che si è ispirato all’omonima raccolta di Schumann, oltre a scrivere il brano, della durata di circa 11 minuti, appositamente per i due fratelli. E’stata l’unica occasione in cui i pianisti hanno guardato la partitura.

A volte si alzavano dal sedile, con saltelli che inducono ad un suono ancor più percussivo, che non significa “ad alto volume”, ma sottolinea uno stile energico.

L’utilizzo di due strumenti, ha segnato la conclusione del recital, ancora una volta senza lettura, per eseguire la Suite n.2, op.17 (1901) di Sergej Rachmaninov, un’opera, secondo l’Autore, che “è sempre rimasta il simbolo del rinnovamento della vita”.

Applausi scroscianti hanno indotto i due sorridenti fratelli ad eseguire dalla “Matthaus Passion, BWV 244”, di J.S.Bach, Aus Liebe will mein Heiland sterbe, quasi a voler dimostrare una capacità immediata di spaziare dalla musica dell’Otto e Novecento alla grande musica barocca, con una medesima qualità espressiva.

Il concerto successivo, secondo il pensiero del direttore artistico Vitale Fano, ha costituito un’appendice al tema della precedente edizione di Musikàmera (“Gli anni ‘20”).

Die Winterreise, op.89 di Franz Schubert, considerato uno dei suoi capolavori, poiché raggiunge una potenza espressiva non superata, è stato infatti composto nel 1827, un anno prima della morte dell’Autore, causata da una violenta febbre tifoide.

L’opera è un ciclo di 24 Lieder, equamente suddivisi in due libri, per voce e pianoforte, del poeta Wilhelm Muller (1794 – 1827), il quale fu l’autore del primo dei tre famosi cicli liederistici, Die schone Mullerin (“la bella mugnaia”), del 1823.

Molto affiatato, il duo protagonista, composto da Markus Werba, baritono austriaco, in un certo qual modo, quasi di casa alla Fenice, essendovisi esibito più volte e dal giovane pianista sloveno, ma austriaco d’adozione, Matej Dzido (Lubiana, 1993).

Costui mi è piaciuto assai, perché rispetto ad altri accompagnatori dà un senso alle parole cantate, attraverso un modo di suonare, stilisticamente elegante.

I 70 minuti intensi - seguiti attentamente da una platea affezionata all’associazione veneziana - , in cui si è svolto il ciclo, hanno posto in evidenza la figura del viandante, Der Wanderer, che erra sconsolato per fuggire dalla desolazione, provocata dal fatto di essere un innamorato non corrisposto.

Alcune citazioni dai testi : Piango sulla tomba della mia speranza ; tutto è vuota illusione ; ho finito di sognare ; devo prendere la via da cui nessuno è ritornato.

Da due/tre anni, i concerti dell’Archivio musicale Fano sono stati assimilati nella stagione di Musikàmera, per valorizzare e riscoprire quei musicisti del Novecento storico italiano, che si sono dedicati alla musica da camera.

Il primo dei quattro concerti della rassegna ha visto protagonisti due giovani musicisti americani di origini cinesi, il pianista Richard Fu e bulgare e cinesi, Zlatomir Fung, che ha suonato un violoncello Stradivari del 1696.

Due i pezzi di Guido Alberto Fano, di cui viene ricordato il 150-esimo anno dalla nascita, nati a distanza di quasi 40 anni. Andante sostenuto (1894), composto ad appena 19 anni, è caratterizzato da un lirismo intenso con una felice vena melodica.

Allegretto scherzoso (1933) è radicalmente diverso nello spirito e nella concezione della sonorità. Dobbiamo comunque considerare che Fano tra il 1917 eil 1932 non scrisse praticamente nulla per difficoltà artistiche e proprio la ripresa avvenne con alcuni pezzi, tra cui quello eseguito.

A seguire, Sonata in Fa diesis minore, op.52 (1880) di Giuseppe Martucci (1856 – 1909), il quale volle come suo allievo al Liceo musicale di Bologna proprio G.A.Fano.

Martucci veniva chiamato il Brahms italiano, per il lirismo, la solarità e la cantabilità totalmente italiana.

Interessante il brano di Justin Dello Joio (New York, 1955), un’elegia dedicata a un vecchio musicista, in memoria del padre. Si tratta di Due Per Due, dalla scrittura molto tecnica e virtuosistica. Si respira un’atmosfera che sembra preannunciare una suspense cinematografica, prima di indirizzarsi verso un romanticismo, per fortuna non sdolcinato.

Dopo gli applausi di rito, il compositore, seduto in prima fila con la famiglia, è salito in pedana ad abbracciare gli interpreti.

Il concerto si è concluso con il brano più lungo, Sonata n.2 in Fa maggiore, op.99 (1866) di Johannes Brahms, dedicata al violoncellista del Quartetto Joachim, Robert Hausmann, ed eseguita dall’Autore e il dedicatario a Vienna il 24 novembre 1866. Tra i quattro movimenti, emergono il secondo, l’intenso Andante affettuoso e il maestoso Finale, Allegro molto.

Il duo convince, per un’esibizione in scioltezza, priva di intoppi.

L’ultimo dei concerti cui ho assistito ha proposto in prevalenza un programma di compositori russi, tuttavia concluso dalla Sonata n.3 in La maggiore, op.69 (1807 – 1808) di Beethoven, per violoncello e pianoforte.

Speravo in qualche cosa di entusiasmante, accingendomi ad ascoltare il violoncellista inglese Steven Isserlis (Londra, 19 dicembre 1958) e la pianista canadese, ma dai tratti orientali, Connie Shih.

Il duo ha selezionato un programma in linea con il suggestivo titolo della stagione 2025 -tempo di Sonate -, inanellandone ben tre, inframmezzate da Ballade in La minore di Julius Isserlis (1888 – 1968), nonno di Steven, compositore di origini moldave, anche se all’epoca la sua città natale faceva parte dell’impero Russo, e di genitori ebrei (il padre era cantore in una sinagoga).

Come ha spiegato Vitale Fano, nel corso della presentazione, Julius fece parte dei 12 musicisti, scelti da Lenin nel 1922 per viaggiare all’estero in qualità di ambasciatori della nuova Unione Sovietica : nessuno dei 12 sarebbe ritornato in Patria.

Julius si stabilì dapprima a Vienna, in seguito in Gran Bretagna (nel momento dell’Anschluss, Julius era ivi in tour).

La Ballata, dedicata a Pablo Casals, che suggerì alcune modifiche, in soli nove minuti alterna momenti melodici venati di tristezza a ritmici episodi di danze sfrenate.

Assai roboanti, sia la Sonata in Si bemolle maggiore, op.71 (1962) di Dmitrij Kabalevskij (1904 – 1987), che ha aperto il recital, sia la Sonata in Do maggiore, op.119 (1949) di Sergej Prokof’ev (1891 – 1953), composta espressamente per un giovane Mstislav Rostropovic, che proprio in quegli anni si stava affermando nel mondo musicale russo.

Molta percussività e troppo volume, che a volte impediva di udire distintamente il fraseggio del violoncello (Isserlis usa corde di budello), da parte della pianista, perfino nella Sonata beethoveniana, la più lunga, per durata, dei titoli del programma.

Ignoro se sia un fatto caratteriale della musicista o se si sia lasciata trasportare dalla passione di una sera.

Già apprezzato in passato sia alla Fenice, che al teatro Toniolo di Mestre, Isserlis ha utilizzato uno strumento Stradivari Marchese de Corberon (Nelsova) del 1726, gentilmente prestatogli dalla Royal Academy of Music.

Un breve bis come commiato, Romanza, di Camille Saint-Saens, si è risolto in 180 secondi.

Applausi e numerose visite di congratulazione nella sala Apollinea di ricevimento e, spesso, di conferenze stampa, a fine concerto.

Ma Musikàmera non si riposa e continua a proporre programmi e gruppi di estremo interesse come il Vision String Quartet, fondato nel 2012 e affermatosi come uno dei più raffinati e versatili quartetti d’archi della sua generazione, composto da quattro giovani musicisti berlinesi e quattro giorni dopo l’ Ensemble 400, un sestetto italiano che ci trasporterà indietro nel tempo per festeggiare i 700 anni dalla nascita di Francesco Landini (Firenze, 1325 o 1335 – 2 settembre 1397).

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