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Quando la pandemia è un pretesto: arresti, torture e uccisioni in 60 stati

In almeno 60 stati le violenze delle forze di polizia e l’eccessiva delega a queste ultime per attuare le misure di contrasto alla pandemia da Covid-19 hanno causato violazioni dei diritti umani e in alcuni casi peggiorato la crisi sanitaria.

In nome della lotta alla pandemia, si legge in un recente rapporto di Amnesty International, molti governi sono andati ben oltre quelle che possono essere considerate misure ragionevoli e giustificate per contenere la diffusione del virus.

L’elenco è lungo.

In Iran, le forze di polizia hanno usato proiettili veri e gas lacrimogeni per stroncare le proteste nelle carceri, uccidendo e ferendo parecchi detenuti.

In Kenya, solo nei primi cinque giorni di coprifuoco, le forze di polizia hanno ucciso almeno sette persone e hanno costretto altre 16 al ricovero in ospedale.

In Angola, tra maggio e giugno, sono stati uccisi almeno sette giovani (vedi foto) che avevano violato il coprifuoco e in El Salvador un uomo è stato ferito alle gambe mentre era uscito di casa per andare a comprare qualcosa da mangiare.

In Etiopia, nella Zona di Wolaita, almeno 16 persone sono state uccise dalle forze di polizia per aver protestato contro l’arresto di dirigenti e attivisti locali accusati di aver manifestato in violazione delle limitazioni adottate per il contrasto alla pandemia.

In Sudafrica le forze di polizia hanno sparato proiettili di gomma contro persone che “vagabondavano” in strada durante il primo giorno di lockdown. In Cecenia, alcuni agenti hanno aggredito e preso a calci un uomo che non indossava la mascherina.

Nella Repubblica Dominicana, tra il 20 marzo e il 30 giugno, le forze di polizia hanno arrestato circa 85.000 persone accusate di aver violato il coprifuoco.

In Turchia, tra marzo e maggio, 510 persone sono state arrestate e interrogate per aver scritto “post provocatori sul coronavirus”, in evidente violazione del diritto alla libertà d’espressione.

Inoltre, in numerosi stati le forze di polizia hanno mostrato un’attitudine discriminatoria e razzista nell’applicazione delle norme sul Covid-19. Rifugiati, richiedenti asilo, lavoratori migranti, persone Lgbti o di genere non conforme, lavoratori e lavoratrici del sesso, persone senza dimora e altre a rischio di esserlo sono tra i gruppi marginalizzati che sono stati presi particolarmente di mira.

In Slovacchia, durante la quarantena, le forze di polizia e l’esercito hanno isolato gli insediamenti rom, contribuendo ad alimentare lo stigma e il pregiudizio che quelle comunità già subivano. L’aggressiva applicazione delle norme per il contrasto alla pandemia ha causato sgomberi forzati, privando persone già marginalizzate di un luogo dove potersi proteggere dall’emergenza sanitaria.

Infine in Francia, tra marzo e maggio, i volontari di “Osservatori sui diritti umani” hanno documentato 175 casi di sgombero forzato di migranti, richiedenti asilo e rifugiati nella zona di Calais.

 

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