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Quando i Mattarella erano spiati

 Questo è un presidente che bisogna digerire. Forse è come una medicina amara, un alimento che al primo impatto col palato dà un sapore strano. Poi, però, ti rendi conto se ti ha fatto bene o no. Vorrei proprio sperare che sia terapeutico per un’Italia che vive alla giornata, di liti, asti personali, chiacchiere e fumo. Perché è il frutto di un lungo percorso, dal cattolicesimo popolare di Giorgio La Pira e del padre Bernardo alla nascita del Pd. Una vicenda che non ha vissuto dall’esterno ma ha contribuito a costruire, lungo un travaglio di generazioni. Fino a Renzi.

Per molti, invece, il presidente neoeletto è un carro su cui salire per essere assieme ai vincitori, senza riserve o eccezioni. Certamente sarebbe piaciuto, oltre che ai 665 grandi elettori che lo hanno votato, a molti di Forza Italia, o dei grillini se questi ultimi non avessero avuto ordini di scuderia: un nome, come quello di Imposimato, da immolare sull’altare di una patria perduta, di un dio pagano che vive di sacrifici con la pelle degli altri. Le elezioni di questo presidente segnano ancora la diaspora del tessuto democratico dei partiti e il rafforzamento del monolite Pd, unico zoccolo duro del sistema di potere, un tempo democristiano, ora impropriamente democratico, fatto di palazzi e ignoramento delle piazze, di riprese economiche sempre rinviate, di accondiscendenze alle finanze europee e ai diktat dei Paesi forti dell’Occidente.

Il guaio è che questo Parlamento è sempre quello di prima, che i leader politici hanno sempre le stesse facce, che ciascuno vuole rimanere abbarbicato al potere fino a quando le condizioni lo consentiranno. Cioè non ci sono alternative alla locomotiva del Pd. Se il neopresidente presta attenzione a questo fatto si renderà conto che l’Italia marcia silenziosamente verso un regime neoberlusconiano di nuova generazione, che porterà la destra allo sfascio e al partito unico di Stato. Una democrazia costituzionale che non ammette altro da sé.

Sergio Mattarella suscita in me una doppia spinta. Per il mestiere che fa è una garanzia di legalità e di buon senso. Un galantuomo di cui fidarsi. Ma l’aspetto che più mi colpisce è il suo essere schivo, guardingo, rattristato, come se dovesse difendersi da continui attacchi di nemici che gli si parano davanti, pronti a fargli del male. Per questo dà l’aria di un monaco solitario chiuso in una sua ascesi non mistica, tra contemplazione e azione, silenzio e impegno tutto da tavolino. Un uomo casa e chiesa, famiglia e studio. Intento a sognare e volere un’Italia ben ancorata ai suoi punti cardinali.

Molto simile, come notano gli inglesi, al fratello Piersanti. L’8 marzo 1978, l’ambasciata di Roma, nella persona di A. C. Goodison, risponde al console britannico a Palermo I. H. May, dicendo che per capire la scena politica italiana è molto importante cogliere l’interrelazione tra la politica regionale e quella nazionale. Goodison rileva che “la soluzione di compromesso [di aver scelto Mattarella al posto di Nicoletti], avviata in Sicilia il 9 febbraio, in un certo senso precorre la linea seguita dalla Dc a livello nazionale negli ultimi mesi. Si tratta di un piccolo passo per il Pci, anche se non è stato incluso nel governo regionale siciliano”. (FCO 33/3567). Scrive Goodison: “Piersanti Mattarella, eletto il 9 febbraio del 1978 Presidente della Regione Siciliana, è nato a Castellammare del Golfo nel 1935. E’ democristiano e cattolico praticante, si definisce ‘un politico di vocazione’. Mattarella è il figlio dell’ex Dc Ministro del Commercio, Bernardo Mattarella, che è stato accusato di avere legami con la mafia, ma lui ha sempre negato questo ed è stato discolpato da un tribunale. Negli ultimi sei anni e mezzo, Mattarella è stato ministro delle Finanze regionale ed è stato deputato regionale per 11 anni. Alle ultime elezioni è arrivato secondo nella lista del partito regionale democristiano con più di 59.000 voti. Prima di diventare deputato regionale, era un Consigliere della città di Palermo e precedentemente aveva esercitato la professione di avvocato. Divide il suo giorno tra lavoro, famiglia e la chiesa e ha promesso di lottare contro il ristagno politico. Un uomo amabile con un modo leggermente diffidente, è sposato con due figli (19 e 16 anni)”.

Un carattere e uno stile di vita che i due fratelli, Sergio e Piersanti derivano dalla cultura familiare, nonché dal carattere del padre Bernardo, avvocato. Dati i tempi, il fondatore della Dc, era tenuto sotto controllo dall’agente Oss “Z Sicana”. Ma non c’era solo questo nel vecchio siciliano di Castellammare, il paese di Salvatore Maranzano e di Joe Bonanno, alias Bananas, capo della mafia newyorkese, che negli Usa facevano il bello e il cattivo tempo. Ma Bernardo si era tenuto alla larga da questi signori, anzi era in stretti rapporti epistolari con don Luigi Sturzo, in esilio a Jacksonville (Florida), dove il dirigente democristiano gli scriveva per informarlo di quanto accadeva in Sicilia tra i suoi compari di partito e in Italia. E in un’Italia che dopo lo sbarco del 1943 stava per risorgere dalle ceneri del fascismo, dandosi una struttura politica, quello che facevano uomini come Mario Scelba, lo stesso Mattarella, Salvatore Aldisio e pochi altri, non era indifferente per tranquillizzare gli Alleati, quanto prima costretti a far gestire la penisola a chi l’abitava.

Nel neopresidente della Repubblica è abbastanza evidente dunque l’educazione paterna. Bernardo era il siciliano più accreditato presso la Santa Sede, dopo Giulio Andreotti, già dal primo congresso regionale della Dc, nel 1944. Il che, come abbiamo accennato, non lasciava indifferenti molte persone, a cominciare dagli agenti dell’Office of Strategic Services, che vedevano di buon occhio il suo essere repubblicano di ferro, contro quanti nel mondo della Chiesa si professavano monarchici. E non erano pochi. Non a caso, dunque, papa Francesco, un uomo che viene da molto lontano ma che ha informazioni molto vicine, ha inviato questo comunicato al neoeletto presidente, per esprimergli i suoi auspici.

Forse non era mai successo con una tempestività tanto pressante da sorprendere: “Mi è gradito rivolgerle deferenti espressioni augurali per la sua elezione alla suprema magistratura dello Stato italiano e, mentre auspico che ella possa esercitare il suo alto compito specialmente al servizio dell’unità e della concordia del Paese, invoco sulla sua persona la costante assistenza divina per una illuminata azione di promozione del bene comune nel solco degli autentici valori umani e spirituali del popolo italiano. Con questi voti – conclude Bergoglio – invio a lei e all’intera Nazione la benedizione apostolica”.

E, subito dopo il papa, in modo analogo, si è comportata la Conferenza episcopale italiana. Tutto a posto? Non mi pare. Perché l’elezione del primo cittadino italiano riceva la benedizione apostolica del Vaticano, in quanto cattolico non è cosa che si addica a uno Stato laico e pluri-religioso, dove ci sono parecchi milioni di persone che sono delle più svariate religioni.

Tutte, a pari livello, tutelate dalla Costituzione italiana. Non vorrei che questa scelta di Francesco, fatta in buona fede e in modo spontaneo, possa essere, però, il pretesto perché la riforma costituzionale dello Stato si muova su altre basi, che vedano il capo dello Stato docile strumento del Vaticano. Ad esempio a cominciare dalla supertutela delle scuole private cattoliche.

Da Bernardo a Sergio ci sono ben quattro generazioni. La prima è quella del periodo fondativo del sistema, segnato da gruppi dirigenti, prima del 1948 laici e cattolici, poi cattolici. Segue la generazione di Sergio e Piersanti, segnata dalla barbara e ancora misteriosa uccisione di quest’ultimo (1980), che apre una fase storica oscura per la Sicilia e per l’Italia. Dall’uccisione del sindaco (1984) di Palermo Giuseppe Insalaco, ammazzato nel 1988, dopo avere denunciato il sistema degli appalti nella sua città, e le attività illecite di Ciancimino, fino all’assassinio di Salvo Lima (marzo 1992), che chiude politicamente la carriera di Andreotti. Seguono le stragi del 1992, con gli attentati di Capaci e via D’Amelio, e del 1993: Rapido 904, via dei Georgofili, via Palestro a Milano.

Di quello che pensava il sottosegretario, però, era bene edotta la fonte Z. Un agente segreto. Il 7 settembre 1944 in una nota confidenziale, scriveva agli uffici dello spionaggio americano che da una conversazione tenuta con lui, aveva capito che il personaggio “non possedeva una cultura eccezionale” ed era probabile che diventasse un “docile quadro agli ordini del Vaticano.” Bernardo, infatti, era un sicuro anticomunista. Come li lottava lo sa solo Iddio e quel papa Pacelli sotto il cui governo alcune sedi arcivescovili erano state trasformate in arsenali, come leggiamo negli atti della commissione stragi presieduta da Giovanni Pellegrino. Naturalmente per un’eventuale azione di difesa.

Certamente non era questa l’indicazione data da Gaspare Pisciotta, il luogotenente del bandito Salvatore Giuliano. Nel 1952, prima che i giudici emettessero la loro sentenza a Viterbo, accusò Bernardo Mattarella di essere, assieme a Leone Marchesano, il principe Alliata e Cusumano Geloso uno tra i mandanti della strage di Portella della Ginestra. Poi magari si pentiva di averla sparata grossa e aggiungeva o toglieva a suo piacimento i nomi che si era scordato di aver fatto. “Gasparino” non ebbe mai la schiena dritta e non tutto quello che diceva lo diceva per il bene della verità. Trattava e ritrattava specialmente per il suo tornaconto, ma senza mai cavare un ragno dal buco. Perciò i giudici di allora e la storia non gli hanno dato ragione. Ci vuole ben altro per condannare.

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