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Quando c’è la salute: le vittime del sistema italiano

Servono più soldi al sistema sanitario italiano. Ma serve anche una cultura della accountability senza la quale avremo solo ulteriori sprechi, in nome del pubblico

 

La catastrofica letalità italiana durante il Covid-19 ha riacceso il dibattito sulla spesa pubblica sanitaria. Troppo poca? Molto probabile, rispetto all’invecchiamento della popolazione, ma la sanità per decenni è stato uno dei maggiori ambiti di distruzione di risorse fiscali e sprechi, oltre che palestra di lottizzazione e antimeritocrazia. Basta mettere più soldi per risolvere questa condizione? Domanda retorica, ovviamente. Di questo ho parlato nel mio podcast, che ritrovate in calce a questo post. E il privato? Carnefice della sanità pubblica o a sua volta vittima delle disfunzioni del sistema paese? Ricevo e volentieri pubblico.

di E.B., medico chirurgo

Le scrivo da medico, direttamente coinvolto negli eventi. Ho lavorato fino al 2018 nella sanità pubblica, per poi licenziarmi e passare ad una attività libero professionale nel privato convenzionato, ottenendo maggior soddisfazione professionale, migliore qualità di vita e migliore retribuzione. Diciamo che ora ho un punto di vista ampio sugli eventi, ma non super partes.

La prima cosa che vorrei dirle, è che anche questa volta nel dibattito pubblico, a fronte di qualcosa che chiaramente non ha funzionato come previsto, (guarda caso nella Sanità, argomento a lungo sbandierato come “eccellenza” dello Stato italiano), si addita una causa di “sistema”, una causa sopra le teste che spieghi il perché: questa volta è la sanità convenzionata.

Si manca sempre la ricerca di responsabilità personali, caratteristica costante nel nostro paese, esimendo pertanto il politico pro tempore di rispondere alle sue scelte, spesso motivate più da convenienze di appartenenza politica che da necessità di efficientamento.

Più regole, meno responsabilità personale

Come giustamente faceva notare alla fine del podcast, la scelta politica di dirigenti non qualificati, non può essere estranea ai risultati ottenuti nella letalità. In uno Stato dove si dubita del cittadino e gli si lascia minor responsabilità possibile, regolamentando tutto ciò che è immaginabile, va da sé che anche il politico/dirigente è libero da responsabilità, che viene sistematicamente dimenticato lanciandosi di volta in volta in crociate contro il sistema.

L’assioma “più regole e meno responsabilità personale” è pervasiva nel tessuto sociale italiano. Mi risulta strano inoltre pensare che in un paese dove spesso le pubbliche amministrazioni non brillano per prontezza esecutiva ed efficienza della spesa, si possa sottrarre a questa consuetudine la Sanità Pubblica, che alla prova dei fatti si è dimostrata per quello che realmente è.

In condizioni impensate in precedenza, dove si richiede uno sforzo di iniziativa in ciascun dirigente, uno sforzo organizzativo in particolare, dove invece chi può cerca di delegare la responsabilità di una scelta, non potevano non emergere le tradizionali lentezze condizionate dall’assenso che chi ti sta sopra, che sua volta attende chi sta sopra di lui e via così in una piramide burocratica alla cui base sta il personale sanitario che “a mani nude” spesso fa quello che può. Ritardi di scelte, mancanza di materiale, attesa di provvedimenti amministrativi, nulla osta, carte, assensi, delibere, non può non avere un peso quando i tempi sono stretti e un posto letto fa la differenza tra la vita e la morte.

Una classe dirigente completamente avulsa dal contesto, che non ha ben presente neanche i turni, le malattie, il materiale, gli smonti, le ferie, ma progetta i massimi sistemi del Sistema Sanitario Nazionale, si trova ora a gestire in modo apodittico la pandemia da Covid. Come sempre è più facile trovare un colpevole che trovare una soluzione.

Il colpevole a questo giro è la sanità convenzionata: che il dibattito trovi il responsabile dell’accaduto nella sanità convenzionata è una cosa che non mi lascia atterrito. Per più di un motivo. Primo, perché il pubblico gestisce per intero la sanità territoriale, che dispone più della metà dei fondi destinati alla sanità, lasciando il 44% alla spesa ospedaliera (F. Pammolli, “La sanità delle regioni” pag. 47, Il Mulino, 2020). 

Secondo, perché nella spesa ospedaliera il privato convenzionato, come il pubblico, viene rimborsato per procedura, in base al DRG, cioè ad una specie di listino prezzi per il quale a tale procedura corrisponde il rimborso. In quel rimborso ci deve entrare tutto, dal materiale usato, le spese degli stipendi, l’uso del posto letto, gli investimenti…Chi più fa, più rimborsi ottiene.

Morte per mille tagli (lineari)

Ma si sa, ideologicamente sono più accetti i soldi che vengono sperperati piuttosto che quelli che generano un profitto, pertanto se un intervento chirurgico è in grado di generare un utile in persone capaci di gestire le risorse e in deficit in chi non lo è, la scelta va indiscutibilmente ai secondi, quando una scelta razionale sarebbe (quantomeno) valutare se ci costa meno lo sperpero degli uni o il profitto degli altri.

Parlando di efficienza, nel 2016 il 28,4% delle giornate di degenza e il 26,5 % della produzione di prestazioni sono state prodotte dalle strutture ospedaliere convenzionate a fronte di una incidenza sulla spesa ospedaliera pubblica del 13,2% (rapporto Aiop 2019, redatto da Ermeneia, Ospedali & Salute, accesso libero). Non solo la quantità ma anche la qualità delle prestazioni, misurata come Peso Medio, è stata superiore in 15 regioni/province autonome (indici di performance sull’anno 2016, ibidem, pag 27). La scelta di spostare tutto nel pubblico (nuovamente) consolidando la tradizione del monopolio di Stato, così si evitano sconvenienti raffronti, è nel solco della più radicata tradizione ideologica di stato.

Terzo, i tempi di attesa: dietro questa perifrasi si nascondono i tempi dell’inefficienza, dell’incapacità di gestire i mezzi e il personale sanitario in un’ottica produttiva anziché di consuetudine di quello che è sempre stato fatto, tagliando in modo orizzontale la spesa, obbligando così di fatto i cittadini ad una spesa out-of-pocket o alla mobilità extraregionale. Motivo peraltro di disuguaglianza, permettendo a chi può di comprarsi la visita o la procedura diagnostica/terapeutica e gli altri accodarsi mestamente alla lista di attesa. Non sto neanche a sottoporle i LEA, che lei già conosce, con le chiare differenze tra regione (anche queste spiegabili con il convenzionato?). 

Ci siamo scordati dei Piani di Rientro delle Regioni in deficit, che si sono occupate del contenimento della spesa ma non alla riqualificazione dei servizi? Sono state impoverite della offerta sanitaria togliendo ospedali e puntando alla medicina del territorio che di fatto non è mai stata implementata (riduzione progressiva dei tassi di ospedalizzazione da quasi 20 anni) (ibidem pag 10). Le strutture convenzionate hanno saputo reagire adattandosi alla contrazione dei finanziamenti con nuovi modelli organizzativi, non concentrandosi sulla contrazione dei costi, ma efficientando l’offerta e continuando ad investire in strutture, tecnologie e professionisti di richiamo. Non sarebbe sensato estendere queste soluzioni al pubblico?

Il conflitto d’interesse dello Stato

Non sarebbe poi anche ora di pensare a un controllo operato da organi terzi, superando il conflitto di interessi di un erogatore pubblico che è al contempo controllore e controllato?
Si badi bene, anche nel convenzionato c’è da migliorare, anche lì bisognerebbe metter mano. Cosa diversa è correggere, altra cosa è cancellare questo servizio con il consueto livore iconoclasta di alcune frange del nostro paese. Non sarebbe più conveniente, come si è fatto in alcune regioni, instaurare una sana competizione tra le due realtà? È stridente il paradosso dei colleghi ospedalieri che hanno lunghi tempi d’attesa e si lamentano che nel convenzionato vi sono tempi più rapidi che gli portano via i pazienti! Di cosa si lamentano, che gli altri sono più efficienti? Perché non si adoperano a richiamare la patologia che gli sfugge potenziando i reparti più produttivi e riducendo i meno? 

Io credo, da cittadino, di poter chiedere di scegliere il medico dal quale farmi visitare e operare, di avere tempi ragionevoli per una indagine diagnostica e una procedura chirurgica. La libertà di scelta premia i più capaci. Alcune regioni hanno pienamente adempiuto a tale obiettivo adoperandosi al meglio combinando pubblico e privato, altri ignorano la domanda di rendiconto del proprio operato ma conoscono una risposta per migliorare l’offerta, “la risposta” al problema: più soldi. Direi di guardare alle realtà che hanno funzionato prima di buttare tutto via.

Il discorso ora verte solo sul “dare più soldi”, senza pensare alla sostenibilità della spesa nel lungo periodo, senza valutare la qualità dei servizi erogati, senza partire da una analisi della situazione attuale. Sul come i soldi siano stati spesi nessuna parola. Mi fa male sentire Gino Strada, persona che ammiro, affermare una soluzione che a tutti gli effetti è ideologica e per nulla fattuale: presume il mal operato degli uni e ben operato dell’altro. Un mondo bianco e nero. Chi fa profitto male, che sperpera bene.

Infine vorrei sottolineare la prepotenza e la prevaricazione dei Servizi Sanitari Regionali verso il privato convenzionato, sancito dal DM. Balduzzi del 10/2012, nel quale esplicitamente si ha una riduzione delle tariffe DRG, con meccanismi di “tetti” alle prestazioni, regressioni tariffarie, mentre modalità ben diverse vengono riservate alle strutture pubbliche tramite finanziamenti ad hoc. Inoltre nel periodo 2011-2018, a fronte di una riduzione degli stanziamenti nel 2011 del 2% mantenuta fino alla fine del 2019, abbiamo assistito ad un aumento dell’inflazione di circa il 7%. Per esperienza diretta posso dire poi che quest’anno, ad ottobre una regione ha stabilito retroattivamente un tetto di spesa sulle prestazioni extra-regionali sull’anno in corso per le strutture convenzionate, con tanti saluti agli accordi precedenti.

Ci sono molti spunti, in questo scritto. Quello che mi pare evidente è che il sistema italiano produce vittime, in prima battuta le professionalità e le competenze. Poi, che la solita ideologia di “mettiamo più soldi, la qualità seguirà”, è la corda a cui questo paese si sta impiccando da lustri per non dire decenni. E infatti, anche la sanità privata sta subendo gli effetti di strette progressive e tagli lineari sui costi. Chiariamoci: non è che nel privato abitino i santi e nel pubblico i demoni e pure ladri. Spesso il privato ha lucrato su sistemi perversi di incentivi pubblici, catturando risorse fiscali che sarebbero patrimonio della collettività. Ma pare che in questo paese viga un’ideologia per cui l’appropriazione e distruzione di risorse è tollerata se avviene per mano di soggetti che indossano il cappello “pubblico”. Indovinate chi perde a pie’ di lista, oltre a professionalità e competenze? (MS)

Questo articolo è stato pubblicato qui

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