Quale futuro per l’Eritrea nel dopo Afewerki?
La fine del regime autarchico di Isaias Afewerki (nella foto) apre diverse possibilità all'Eritrea, ma le forze in gioco potrebbero aumentare l'instabilità dell'area sub-sahariana e del corno d'Africa già tormentate da problemi politici derivanti dalle politiche post-coloniali, dagli attuali ordini economici e da conflitti religiosi o culturali.
Pare ormai molto probabile la fondatezza di rumors ricorrenti negli ultimi giorni. Isaias Afewerki presidente dell'Eritrea sarebbe morto, anche se le istituzioni eritree per ora sono restie a confermarla.
Afewerki è stato presidente dal 1993, ossia dopo due anni dalla conclusione del conflitto trentennale con l'Etiopia che ne ha sancito l'indipendenza. Prende le redini del paese in seguito al referendum sotto l'egida del Fronte Popolare di Liberazione Eritreo (da lui stesso presieduto) ma la provvisorietà della carica si trasforma ben presto nell'instaurazione di un governo permanente e irrevocabile, basato sull'esistenza di un partito unico, il Fronte Popolare per la Democrazia e la Giustizia (PFDJ).
Qualsiasi opzione di aspirazione democratica o di opposizione è ritenuta destabilizzante dal regime, che cerca di mantenersi saldo su equilibri precari. Il leit motive continua ad essere rappresentato dalle schermaglie con l'Etiopia e dalla ricerca di appoggi esterni economici e militari a favore del governo. I rifornimenti di armi si connettono a discutibili intese con Iran e Corea del Nord (poteva l'Italia esimersi dal fare brutte figure?), a patti scellerati con Gheddafi (soprattutto riguardo al trattamento disumano di esuli e fuggiaschi nelle indegne carceri libiche) e a probabili compromessi con le frange estremiste islamiche di Al Qaeda. Dal punto di vista dell'economia, invece, le scelte implicano l'autarchia ma l'autosufficienza è una chimera dal peso insostenibile per la popolazione, mentre d'altra parte è stata agevolata la presenza cinese. Il controllo interno è assicurato dall'impossibilità di espressioni contrarie, come più volte ha testimoniato l'organizzazione Reporter Senza Frontiere nell'analisi delle attività di informazione e comunicazione nel mondo, (che potete visualizzare qui). Prigione per i giornalisti, persecuzione delle minoranze religiose e servizio militare obbligatorio e indeterminato per uomini e donne sono elementi di quotidianità e pseudo-normalità. Le libertà civili fondamentali, quindi, sono ostaggio delle politiche governative dettate da Afewerki, tuttavia le violazioni dei diritti non possono avere un solo responsabile, nonostante l'impianto personalistico del sistema di potere in vigore in Eritrea.
Dunque lo scenario che si apre alla fase successiva non dispone dei migliori auspici. L'eterna ostilità dell'Etiopia (intenta ad avere uno sbocco sul mare), le controversie con il confinante Gibuti, l'instabilità della zona Sudanese, le possibili intrusioni dei gruppi fondamentalisti somali, i contrasti interni tra musulmani e cristiani ortodossi con le minoranze evangeliche o di altre credenze, le difficoltà economiche di un paese devastato da decenni di indirizzo militare delle ridotte risorse a disposizione e la poca dimestichezza con pratiche democratiche sono delle autentiche spine nel fianco per il futuro dell'Eritrea. Al di là dei possibili miglioramenti nei rapporti internazionali favoriti magari dall'ingresso delle ONG, ad oggi non si intravedono spiragli per un significativo intervento della comunità internazionale. Il pericolo maggiore potrebbe derivare dalla scarsa resistenza a forze (o alleanze) oppressive che potrebbero ritenere l'Eritrea un territorio di facile sottomissione. A soffrirne le conseguenze sarebbe il popolo eritreo già vessato da troppi anni di ingiustizie e prevaricazioni, al quale non basterebbe il solo sostegno morale e umanitario.
Le contingenze internazionali focalizzano l'attenzione su altri contesti, tuttavia l'opinione pubblica può contribuire ad evitare l'isolamento e la negligenza nei confronti di un dramma già parzialmente consumato. Prima di riporre fiducia nell'auto-affermazione dei popoli, l'informazione rappresenta una doverosa presa di posizione in terrmini di umanità e capacità democratiche.
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