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Pubblica Ammistrazione | Il Grande Deflusso da una PA sempre più dissestata

di Luigi Oliveri

Egregio Titolare, ricorda le roboanti promesse del precedente Governo, confermate anche da quello attuale, di assumere 500.000 dipendenti pubblici, per tamponare il pensionamento di altrettante unità avviato già nel 2019 e che arriverà a valanga fino al 2021?

In pochi mesi, della questione si è parlato molto e legiferato persino di più: con la legge di bilancio 2019, che ha previsto il concorso unico nazionale (mai visto, perché manca il consueto decreto attuativo), con una serie di decreti di varia denominazione, che prima hanno esteso la possibilità di sommare alla spesa pari al 100% del costo del personale cessato l’anno precedente residui di assunzioni autorizzate ma non effettuate cinque anni prima; per poi passare – per regioni ed enti locali – al superamento del limite percentuale del turn over, rapportando la spesa per assunzioni al rapporto tra spesa complessiva del personale e media delle entrate correnti, al netto del fondo crediti di dubbia esigibilità (elegante metodo contabile per lasciar apparire credibili bilanci con previsioni gonfiate di entrata).

Tuttavia, caro Titolare, nessuna norma riesce a contrastare un elemento fondamentale della fisica e della condizione umana: lo scorrere del tempo. L’autunno del 2019 si avvicina, come si avvicina l’inizio della valanga di pensionamenti anticipati grazie a “Quota 100”, antipasto da decine di migliaia di dipendenti in quiescenza in vista dei pensionamenti di massa del 2020, cagionati non solo dalle riforme recenti, ma soprattutto dall’inesorabile invecchiamento dei dipendenti pubblici.

Come dice, Titolare? I concorsi non hanno già sopperito alle uscite per pensionamento? Purtroppo, come Ella sa, il Legislatore quando emana le leggi spesso pensa che basti la loro promulgazione perché producano effetti. Si deve, quindi, essere diffusa la convinzione che se per legge si stabilisce di fare concorsoni unici o di ampliare (per altro solo in parte) le possibilità di assumere, allora si è già posto rimedio alle fuoriuscite.

Nella realtà, mentre i pensionamenti sono già partiti e il ritmo delle cessazioni dei rapporti di lavoro si fa ogni mese più serrato, i concorsi per coprire i fabbisogni che si aprono restano ancora lì al palo.

Se n’è accorta l’Associazione Nazionale dei Comuni d’Italia (Anci), il cui presidente, Antonio De Caro, su La Stampa del 6 agosto 2019 ha rilasciato un’intervista per sottolineare le difficoltà operative, cagionate da oltre un decennio di blocchi parziali delle assunzioni, da cui è derivato un dimagrimento dei ruoli dei dipendenti pubblici necessario per fronteggiare le esigenze di contenimento della spesa pubblica (il pubblico impiego ne rappresenta poco meno del 20%), ma che adesso rischia di divenire eccessivo.

Il presidente dell’Anci, interrogato sull’opportunità offerta da “quota 100” e dalle norme sugli “sblocchi delle assunzioni” osserva caustico: “le cose vanno fatte per bene e nei tempi giusti. Adesso il personale chiede di uscire anticipatamente; tra due anni, forse, faremo nuove assunzioni”.

E sì, caro Titolare: a dicembre 2018 si proclamavano assunzioni a rotta di collo, ma dopo 8 mesi sono partiti solo i pensionamenti e, oggettivamente, i tempi per la gestione e conclusione dei concorsi sono molto più lunghi della chiusura dei rapporti di lavoro.

E si arriva al paradosso. L’attuale maggioranza, nella convinzione di aver già realizzato la semplificazione necessaria per accelerare i concorsi, ha voluto contestualmente adottare provvedimenti finalizzati ad evitare la produzione di “precari”, abolendo per i concorsi banditi a partire dal 2019 gli “idonei”, cioè coloro che pur avendo ottenuto un punteggio superiore al minimo nelle varie prove, non si siano piazzati nelle graduatorie così in alto da occupare i posti messi a concorso.

L’Anci, per voce del suo presidente, constatando che si fa molto prima ad andare in pensione che ad organizzare un concorso (immaginiamo i tempi biblici del concorso unico nazionale, se davvero lo si attivasse, dovuti non solo alla gestione, ma all’immane contenzioso che ne scaturirebbe) chiede di tornare alle graduatorie ampie, in modo che gli enti possano scorrerle ed assumere anche gli idonei, senza passare per le forche caudine delle procedure concorsuali ed impiegano allo scopo molto meno tempo.

 

Era prevedibile ed evitabile tutto questo? Ovviamente sì. Tutti erano al corrente dell’età media sempre più anziana dei dipendenti pubblici e che tra il 2019 e il 2021 sarebbe emersa l’enorme “gobba” pensionistica, che adesso non si sa come fronteggiare. Avrebbe dovuto essere chiaro da tempo quanto fosse necessario partire con programmi graduali ma sostenuti di ricambio nei ranghi, almeno 3-4 anni prima del 2019. Ma, tra il 2015 e il 2017, ad esempio, complice la devastante e fallimentare riforma delle province, vi sono stati due anni di blocco delle assunzioni pressoché totale: scelta ovviamente deleteria e concausa dell’emergenza creatasi adesso.

Nel frattempo, mentre i comuni cominciano ad avere serissimi problemi a mantenere aperti anche gli sportelli dell’anagrafe a causa del depauperamento di massa del personale, l’unico rafforzamento di personale sin qui visto è quello derivante dal reclutamento dei navigatorper la “assistenza tecnica” ai centri per l’impiego, nella gestione del Reddito di cittadinanza.

Un reclutamento di collaboratori coordinati e continuativi (in un regime normativo che ormai vieta le co.co.co. non solo ai privati, ma anche alle pubbliche amministrazioni) a tempo determinato: insomma, migliaia di precari, con buona pace dell’intento di semplificare i concorsi eliminando gli idonei per non produrre nuovo precariato.


Già avevamo una PA profondamente disfunzionale, per procedure operative e rigidità varie; ora aggiungiamo anche i deflussi non tempestivamente compensati da ingressi, e il dissesto è servito. O meglio, aggravato. Che poi, questa assai prevedibile “gobba” di quiescenza poteva essere una irripetibile opportunità per ridisegnare funzioni e mansioni. Voi, invece, ricordate i proclami su Quota 100 come imprescindibile strumento per creare occupazione, soprattutto giovanile? No? Nemmeno io. Un giorno, neppure troppo lontano, qualcuno “scoprirà” che, frenando le nuove assunzioni, si controllano i conti pubblici dissestati da Quota 100, ed il cerchio si sarà chiuso. Intrappolandoci. (MS)

Questo articolo è stato pubblicato qui

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