Provaci ancora, Adolfo
Il Consiglio di Stato affossa i cartelli di prezzo medio dei carburanti fortemente voluti dal ministro Urso senza una parvenza di analisi di impatto né di ragionevolezza.
di Vitalba Azzollini
La norma che impone l’obbligo di esporre un cartellone con il prezzo medio dei carburanti accanto al cartellone con il prezzo di vendita «si presenta come manifestamente irragionevole e sproporzionata». Lo ha affermato il Consiglio di Stato (CdS) nella sentenza, pubblicata il 23 febbraio scorso, con cui ha dichiarato illegittima tale prescrizione.
La pronuncia abbatte uno dei pilastri su cui si reggono certe narrazioni di Adolfo Urso, ministro delle Imprese e del Made in Italy. Secondo il vertice del Mimit, il cartellone col prezzo medio – analogamente al tanto celebrato “carrello tricolore” – avrebbe prodotto mirabolanti effetti di riduzione dei prezzi. I giudici hanno mostrato tutte le falle della misura, con buona pace delle vanterie del ministro.
L’ANALISI D’IMPATTO
Prima di entrare nel merito della sentenza, serve una premessa. Più volte su questo sito abbiamo parlato di analisi di impatto della regolazione (AIR), strumento che dovrebbe servire a ogni governo per definire in modo chiaro gli obiettivi che intende conseguire con le proprie scelte normative. AIR significa, tra l’altro, esaminare le varie opzioni di intervento (incluso il non intervento); comparare i vantaggi e gli svantaggi di ognuna di tali opzioni, nonché i relativi oneri, cioè i costi per cittadini e imprese; delineare uno scenario attendibile del funzionamento dell’opzione selezionata e valutare se essa effettivamente consente di ottenere quanto si è promesso ai cittadini.
Questo è il metodo che gli esecutivi dovrebbero seguire, non foss’altro perché è da anni un obbligo di legge. Obbligo tra i più disattesi o, se si preferisce, solo formalmente assolto. Ed è un peccato. La trasparenza delle decisioni di regolazione, attraverso la trasparenza delle valutazioni dei loro impatti, ex ante ed ex post, porrebbe i governanti nella condizione di dover rendere conto delle proprie scelte, consentendo all’elettorato di giudicarli con dati concreti. Detto in altri termini, la valutazione d’impatto permetterebbe di disvelare il mancato ottenimento di effetti annunciati con noncurante leggerezza. In mancanza, talora ci pensano i giudici. Come in questo caso.
UNA NORMA INUTILE E DANNOSA
«Non vi è alcuna ragione logica o di mercato» – afferma il CdS – «che possa giustificare un onere di esposizione e aggiornamento quotidiano del prezzo medio». Dal lato dei distributori, tale onere «comprime inutilmente la libertà di iniziativa economica, tutelata dall’art. 41 Cost.»; dal lato degli utenti, non c’è alcun interesse «a conoscere, ogni giorno, quale sia il prezzo medio di un’area vasta centinaia di chilometri (Regione o addirittura Stato), in cui non vi è neppure concorrenza tra gli operatori». Infatti, l’automobilista «non sa (semplicemente leggendo il cartello del prezzo medio) dove sia il distributore che pratica prezzi inferiori: potrebbe essere anche a centinaia di chilometri di distanza nella stessa regione».
Un’analisi di impatto, con il relativo obbligo di valutazione degli oneri connessi al provvedimento, avrebbe consentito di evitare ex ante i vizi che i giudici hanno rilevato ex post: una misura che non comporta benefici per gli automobilisti e che determina costi per i benzinai. Il CdS aggiunge un’altra notazione: l’attività discrezionale dell’amministrazione «mai può trasmodare nell’arbitrio». Come in questo caso.
TROPPE INFORMAZIONI GENERANO CONFUSIONE
Informare in modo trasparente è sempre una buona cosa, nell’auspicabile logica del “conoscere per deliberare”. Ma c’è modo e modo per farlo, e il CdS lo dice chiaramente, citando la Direttiva del Consiglio dei Ministri del 16 febbraio 2018, proprio in tema di «analisi e alla verifica dell’impatto della regolamentazione». Nella Direttiva si legge che, sebbene «le norme che facilitano la disponibilità di informazioni a beneficio dei consumatori possano produrre elevati benefici a fronte di costi contenuti», non sempre l’obbligo di «mettere a disposizione maggiori informazioni (…) conduce il consumatore a compiere scelte più razionali». Anzi – come già rilevato dall’Autorità Antitrust (AGCM) in un parere sulla misura – l’esposizione di una pluralità di prezzi «può confondere il consumatore invece di aiutarlo ad assumere la soluzione migliore nel proprio interesse». Del resto, anche la Corte costituzionale, in un diverso contesto, ha riconosciuto che una «indiscriminata bulimia di pubblicità» può causare il paradossale effetto di produrre «opacità per confusione» (sentenza n. 20/2019).
I COSTI DEI CARBURANTI QUELLI DELLA REGOLAZIONE
L’obiettivo perseguito dal governo con l’obbligo di esposizione del prezzo medio – una maggiore informazione sul prezzo dei carburanti – poteva essere raggiunto dal ministero senza alcun costo, indirizzando gli automobilisti verso soluzioni già esistenti. Infatti, precisano i giudici, è «sufficiente collegarsi al sito per conoscere non solo il prezzo medio regionale ma anche la collocazione dei singoli distributori che praticano i prezzi più bassi in una determinata zona». In alternativa, si «può consultare una delle tante app che offrono questo servizio scaricabili dagli “store” di distribuzione digitale e installabili sullo smartphone». Si potrebbe anche adottare la soluzione «suggerita dalla Confesercenti» – dice il CdS – ovvero «posizionare in evidenza direttamente sugli impianti un QR-code che rinvii al sito del Ministero nella parte in cui fornisce le informazioni sui prezzi praticati in zona». As simple as that, direbbero gli anglofoni.
Ma evidentemente al ministro Urso le soluzioni semplici non piacciono, mentre i cartelloni con il prezzo medio dei carburanti gli piacciono proprio tanto, al punto da preferirli rispetto a opzioni più chiare e meno onerose. Per cui ora pare abbia in mente di ripresentare la norma bocciata, con l’unica differenza che l’aggiornamento dovrebbe avvenire ogni tre giorni, e non più quotidianamente. Anziché cogliere «l’occasione per immaginare nuove soluzioni tecnologiche di facilissimo impiego» – come auspicato dal CdS – «che aiutino le diverse tipologie di consumatori ad adottare soluzioni per loro più utili», e così avviarsi verso una necessaria transizione digitale, Urso insiste con «le vecchie procedure cartacee (il cartellone)».
Insomma, un vecchio cartello cartaceo – che crea confusione, comporta costi e non produce benefici – come emblema del (ministero del) made in Italy. Tutto bene, ministro Urso?
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