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Protezionismo al contrario: come le nazioni Ue proteggono l’industria degli Stati Uniti

Quando, a fine anni ‘90, iniziai a studiare i principi di Macroeconomia alle scuole superiori, era normale parlare di protezionismo e di aiuti statali all’industria nascente all’interno di una Nazione.
Faceva parte di un concetto più ampio e oggi dimenticato: il piano industriale a medio/lungo termine, attraverso il quale era lo Stato a garantire l’occupazione dei cittadini.
L’idea era quella di garantire agevolazioni fiscali temporanee ad aziende o gruppi di aziende considerate strategiche in ottica futura, di solito perché coinvolte nei processi di creazione e sviluppo di nuove tecnologie.
Le agevolazioni terminavano quando le aziende erano ritenute mature per competere nel mercato globale.

Un ventennio dopo il mondo funziona esattamente al contrario.
La legislazione Europea per la libera concorrenza delle imprese vieta le vecchie forme di aiuti alle industrie nascenti con l’obiettivo di favorire la competitività all’interno del Vecchio Continente.
Di fatto i governi hanno perso lo strumento principale attraverso il quale si garantivano lo sviluppo industriale nel lungo termine e, di conseguenza, un livello di occupazione sostenibile che potesse garantire la stabilità sociale.


Il compito di garantire l’occupazione è passato quindi dall’ecosistema pubblico alle aziende private europee ed extra comunitarie, dando quindi a queste ultime un potere contrattuale immenso.

E’ infatti di pochi anni fa la notizia che Apple abbia pagato per anni a malapena il 2% di tasse in Irlanda beneficiando di un accordo segreto con il governo di Dublino.
Allo stesso modo, come denunciato dalla BBC già nel 2012 (https://www.bbc.com/news/business-1...), Starbucks ha dichiarato perdite in Gran Bretagna per diversi anni, versando quindi pochissimo nelle casse del Governo, salvo poi dichiarare agli investitori che il mercato Britannico procedeva a gonfie vele. 
Ma questi sono solo due esempi di come le multinazionali amino navigare in acque torbide per aggirare le tassazioni locali.

Nel lungo termine questa situazione rischia di danneggiare l’economia Europea, basti pensare che la maggior ambizione di molti imprenditori nel settore high-tech è semplicemente quella di vendere la propria azienda ai giganti della Silicon Valley con delle ‘exit’ milionarie.
Quando le aziende Americane avranno fagocitato quelle europee utilizzando il denaro di cui i cittadini e le imprese dell'UE avrebbero dovuto usufruire, cosa ne sarà di noi?

Le multe sembrano non essere più uno strumento sufficiente e con questi presupposti e senza un proprio ecosistema produttivo orientato al futuro, l’UE non sarà in grado di svolgere il proprio ruolo di grande potenza economica nonchè ago della bilancia nel burrascoso matrimonio tra Stati Uniti e Cina, lasciando campo libero ad una Russia la quale invece di affidarsi ad aziende straniere, è corsa ai ripari già da tempo sviluppando prodotti software di proprietà statale da utilizzare nei settori più sensibili della pubblica amministrazione.

L'Unione Europea deve correre quanto prima al riparo, perchè se non consentire aiuti alle nuove aziende autctone rappresenta una scelta discutibile, investire denaro pubblico per proteggere le aziende d'oltreoceano è masochismo puro.

 

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