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Prostituzione che fare? Un romanzo storico cerca di spiegare la differenza tra prostitute e prostitute

Vedere questa piccola lettera (i) dell’alfabeto nelle donne che si prostituiscono è come aprire gli occhi e vedere quelle costrette e bisognose di aiuto.

Non vederla è più semplice, fa avere la coscienza a posto: “Sono consenzienti!” diciamo in molti. Ma le prostitute costrette e rese schiave sono tante; quelle che si vedono nella notte in angoli inaspettati delle città o di giorno nelle strade di periferia e di campagna. Si vedono le auto che si fermano ed è sempre lo stesso copione: donne o ragazze, spesso giovanissime, che vendono il loro corpo.

Gli eventi narrati dall’autore con il romanzo storico risalgano alla fine degli anni ‘90, alla fine delle guerre nell’ex Jugoslavia, ma ancora oggi esiste la tratta di esseri umani finalizzata alla prostituzione forzata.

La protagonista: “Quando venni in Italia dal Kosovo sospettavo a cosa andassi incontro. Non ne ero certa, ma lo misi in conto, convinta che avrei potuto cambiare strada in ogni momento. All’inizio speravo che non mi toccasse, ma la mancanza di alternative mi ha fatto accettare la strada come una condanna inevitabile, ma non pensavo che ragazze come me diventassero schiave”.

Proprio una ragazza diventata schiava che denunciò i suoi sfruttatori ha messo in contatto l’autore con il mondo dell’associazionismo e con i volontari che si occupavano alla fine degli anni Duemila di togliere le ragazze dalla strada.
Divenuta donna questa ragazza, che fu rapita giovanissima nel suo paese e costretta a prostituirsi, ha vissuto sempre ai margini della società, abbandonata anche dallo Stato Italiano che ha utilizzato la sua denuncia per smantellare un’organizzazione criminale dedica al traffico di esseri umani.
Lo scorso mese di novembre questa donna (#adelina113) si è suicidata gettandosi da un ponte a Roma e ha posto fine alla sua esistenza. Il suo suicidio dimostra che dopo aver vissuto atrocità orribili è difficile riprendere una vita regolare come se nulla fosse successo.

Quel suicidio ha spinto l’autore Luigi Sparanica a scrivere questo romanzo “senza alcuna pretesa né aspettativa, ma un omaggio alla memoria di tutte le vittime della tratta”.

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