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Propaganda 3: tragedia e farsa di una storia molto italiana

Propaganda 3: tragedia e farsa di una storia molto italiana

C’è mezza storia d’Italia nell’inchiesta sulla loggia affaristico-politica che la stampa ha già denominato, con scarsa fantasia, P3. A popolarne i ranghi sono i nomi dei soliti noti del mondo degli affari e della politica (due mondi più sporchi che mai), riemergono con tutta la loro drammaticità i ricordi di vicende come la loggia Propaganda 2 di Licio Gelli, l’omicidio del banchiere Roberto Calvi, la Banda della Magliana, Cosa Nostra, l’omicidio di Aldo Moro, gli "affari proibiti" e le "relazioni pericolose" della Chiesa Cattolica, tutte condensate nella figura di uno degli indagati (ed arrestati) eccellenti: Flavio Carboni.

Il presente racconta una vicenda dai connotati storiografici marxisti: la replica in forma di farsa di una vicendia che ancora oggi non possiamo non vedere come tragedia.

L’associazione segreta che in questi giorni popola le prime pagine di tutti i giornali assomiglia spaventosamente ad una copia improvvisata, ridicola e malriuscita di quella macchina da guerra che era Propaganda 2. Senza per questo divenire meno pericolosa o preoccupante.

L’inchiesta nasce come sempre nascono scandali giganteschi come questi (scandali il cui 1% sarebbe sufficiente per far tremare tutte le istituzione di un paese europeo estratto a caso, ma non certo l’Italia): per puro caso. Si parte con la meticolosa osservazione degli appalti ottenuti dal costruttore (pregiudicato) Salvatore Ligresti in Toscana e nel Lazio, da parte delle Procure di Firenze e di Roma. Si arriva al riscontro di evidenti irregolarità nell’assegnazione degli appalti per il G8 alla Maddalena e per il centocinquantenario dell’Unità d’Italia. Si prosegue con l’indagine su favori immobiliari (e di altra natura) che convolgono diversi esponenti delle istituzioni. Si finisce per scoperchiare un malcostume generalizzato per l’assegnazione degli impianti eolici in Sardegna. Da lì la rivelazione della creazione di una loggia segreta capace di fare affari all’ombra della giustizia e non altrettanto capace di agire politicamente.

E così, una micro-inchiesta come tante diventa un maxi-scandalo in grado di estendersi e separarsi in una quantità innumerevoli di filoni, per poi trovare come indiziati principali figure eccellenti del mondo politico italiano: Denis Verdini, coordinatore nazionale PDL, Nicola Cosentino, deputato e sottosegretario all’Economia, Ugo Cappellacci, Presidente della Regione Sardegna, Marcello Dell’Utri, deputato e cofondatore di Forza Italia.


Le ordinanze d’arresto e le intercettazioni dimostrano la totale incapacità da parte della "nuova cricca" di portare a buon fine gli obiettivi politici desiderati: la difesa del Lodo Alfano da parte della Consulta, la candidatura di Nicola Cosentino alle regionali 2010 al posto dell’emergente Stefano Caldoro, il ripescaggio della lista presidenziale di Formigoni, il condizionamento dei lavori della Procura di Firenze sugli appalti del G8, la nomina del giudice Alfonso Marra a presidente della Corte d’Appello di Milano sono tutti illustri fallimenti di un gruppo ai limiti dell’eversione costituzionale.

La Procura di Roma ha lanciato la sua battaglia complessiva a ciò che secondo gli stessi inquirenti si configura come un insieme di personaggi colpevoli a vario titolo di associazione per delinquere, violazione della legge Anselmi sulle società segrete, abuso d’ufficio e corruzione. Nell’attesa che il gigantesco castello di accuse si mostri per ciò che è (una fortezza di granito o una torricciola di sabbia), la politica si è già mossa, chiedendo da più lati le dimissioni di Nicola Cosentino e di Denis Verdini dai rispettivi ruoli esecutivi (sottosegretario e coordinatore del partito), immediatamente respinte dal leader di governo e di partito Silvio Berlusconi.

Il parlamentare Nicola Paolo Di Girolamo, indagato per rapporti con la mafia e incastrato presumibilmente dalle intercettazioni, è stato "costretto" alle dimissioni e al carcere. Nicola Cosentino, indagato per rapporti con la mafia, incastrato presumibilmente dalle intercettazioni e protagonista di una presunta associazione segreta massonica, resta al suo posto.

Claudio Scajola, fruitore di regali immobiliari da parte dell’imprenditore Diego Anemone ma senza capi d’accusa a proprio carico, ha incontrato le dimissioni dal ruolo di ministro, così come l’omologo Aldo Brancher, indagato, pochi giorni fa.
Denis Verdini, indagato per violazione della legge sulle associazioni segrete eversive, non è rimovibile dal suo ruolo di coordinatore nazionale del principale partito del paese.

I finiani sostenitori del repulisti interno al PDL forse avrebbero bisogno di fare realmente un passo indietro, come chiesto dal premier. E chiedere, più che le dimissioni corali, un manuale-guida per la gestione politica dei guai giudiziari del partito. Tanto per capire come regolarsi di volta in volta.

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