Prodi e la rassegnata mobilitazione
L'ex leader dell'Ulivo prende atto che il salario minimo non sarebbe un proiettile d'argento per i bassi salari italiani, ma tirando le somme propone solo una vuota e impotente retorica.
Non sono lettore abituale dell’editoriale-omelia del sabato di Romano Prodi sul Messaggero. Ma questa settimana il titolo ha acchiappato il mio click: “La risposta necessaria ai salari bassi“. E non poteva essere diversamente, dato il tema. L’ultima, solo in ordine cronologico, ossimorica emergenza permanente, causa di costernazione oltre che di impoverimento del paese.
Che suggerisce, Prodi? Al tempo. Prima vediamo la descrizione del contesto da egli fornita. Che parte da qui:
In questo quadro l’Italia, recuperato dopo il Covid una parte del cammino perduto nel decennio precedente, crescerà quest’anno intorno a 0,9%. Con questo risultato, certamente modesto, ma leggermente migliore rispetto alle previsioni, abbiamo superato del 3,6% il nostro Pil del 2019. Tuttavia, unico tra i grandi paesi europei, non abbiamo ancora raggiunto il livello del lontano 2008.
La citazione di Panetta
Prodi prosegue evidenziando quello che segnalo da tempo, e cioè che la crescita dell’occupazione, essendo superiore a quella del Pil, è causa ed effetto di un’economia a produttività stagnante o in via di ulteriore cedimento. Poi, Prodi cita le parole del governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, che sarà il prossimo premier di emergenza alla prossima crisi economico-istituzionale (perché il premierato nel frattempo sarà stato bocciato).
Panetta, giorni addietro, intervenendo all’assemblea dell’Abi, ha detto quanto segue:
Si discute inoltre della crescita dei salari, tuttora robusta. Anche in questo caso un’attenta analisi dei dati attenua i timori. Dopo le perdite degli anni scorsi, l’attuale aumento delle retribuzioni rappresenta un inevitabile recupero del potere d’acquisto, destinato ad affievolirsi a mano a mano che si ridurrà la perdita da recuperare.
Ecco, attenzione a questo punto. Panetta parlava di rischi inflazionistici, e in questo modo ha allontanato quelli di matrice salariale. Ma la sua è anche una risposta a quanti, nel governo e nella maggioranza, fanno la ruota per segnalare che il recupero dei salari reali rappresenterebbe un punto di svolta, il cui merito sarebbe da attribuire alla fantomatica politica economica dell’esecutivo. Ebbene no, dice Panetta.
Chiuso l’inciso. Prodi invece riprende la frase di Panetta, e la volge a questo modo:
Ancora più significativa risulta l’osservazione del Governatore riguardo alla media dei salari italiani che, nonostante qualche recente aumento, risultano ancora ad un livello così basso da rendere sostanzialmente necessaria la loro rivalutazione. Un aumento che, almeno entro certi limiti, è oggi possibile senza il pericolo di tensioni inflazionistiche.
A occhio e naso, non mi pare il concetto espresso da Panetta, tranne la frase conclusiva. Quindi forse Prodi si riferiva a questo specifico passaggio del governatore:
Inoltre, i minori costi degli input produttivi intermedi e i cospicui profitti sin qui accumulati consentono alle imprese di assorbire la crescita salariale senza trasferirla sui prezzi finali. Infine, l’incremento del costo del lavoro da un lato e il calo dei prezzi dell’energia e del costo del capitale dall’altro favoriranno un aumento del rapporto capitale-lavoro e della produttività, contribuendo anche per questa via a contenere le pressioni inflazionistiche.
Che, ribadiamo, allontana il rischio di matrice salariale per l’inflazione italiana, che infatti è tra le più basse d’Europa. Forse Prodi intendeva affermare che, visto lo stock di profitti cumulati dalle imprese e le migliorate condizioni di costo dei fattori produttivi, sarebbe possibile premere sull’acceleratore e concedere aumenti ai lavoratori. Non so.
Il “controverso” salario minimo
Prodi arriva quindi al “che fare?”, ed elabora partendo dal salario minimo, che in molti a sinistra vedono come la leva per sollevare il mondo:
I dati esposti in precedenza ci obbligano a prendere prima di tutto in considerazione il controverso capitolo del salario minimo.
Si tratta di un traguardo raggiunto dalla quasi totalità dei paesi europei e per noi necessario. Dobbiamo essere però consapevoli che, da solo, non è in grado di riportare al livello dovuto il mondo del lavoro italiano.
Abbiamo infatti un tasso di occupazione più basso della media europea, una quota troppo elevata di giovani fuori dal sistema di lavoro e di istruzione (16,1% contro l’11,2%), una quota fuori misura di part-time involontario (10,2% contro il 3,6%) e un insufficiente grado di istruzione e preparazione professionale.
Il salario minimo è “controverso” e da solo non basta a combattere la povertà lavorativa, a causa del ridotto numero di ore medie determinato dal part-time involontario ma, anche e soprattutto, dalle scarse qualifiche e formazione. Necessario ma non sufficiente, pare argomentare Prodi.
Il primo punto l’ho segnalato quasi un anno addietro, attirandomi critiche di essere una sorta di affamatore del popolo lavoratore. Ma, vedete, se le ore mediamente lavorate (in chiaro) restano poche pro capite, anche eventuali aumenti del salario minimo non servono allo scopo, anche ipotizzando che tale aumento non venga compensato da un aumento di immersione, ad esempio col part time involontario.
Il secondo punto toccato da Prodi è fondamentale: come è possibile alzare il salario minimo se le qualifiche e la formazione dei destinatari sono talmente basse ed esigue che sarebbe una pura distruzione di valore aggiunto, quindi di aumento di disoccupazione o di nero?
Ecco, onore al merito di Prodi, che si mostra realista ed economista. Il salario minimo, a favore del quale Prodi pure si era speso lo scorso anno, non gli appare la soluzione. Punto.
E allora, che fare? Qui Prodi la prende molto larga, e non sfugge alla suggestione dello slogan:
Non quindi bonus o sussidi, ma una mobilitazione nazionale di lungo periodo per spingere la società e il sistema produttivo italiano verso quella maggiore efficienza necessaria per invertire la drammatica perdita del potere d’acquisto dei nostri salari.
La mobilitazione nazionale, fa fine e non impegna
Una “mobilitazione nazionale” vuol dire tutto e nulla. E, soprattutto, implica un’attività di lunga lena, non certo immediatamente produttiva di risultati. E, ancora una volta, Prodi la manda a dire a quella parte di sinistra che risolverebbe tutto con patrimoniali e tasse, per alzare i salari: “non bonus o sussidi”. Eppure, proprio un sussidio è la chiave di volta della proposta di legge sul salario minimo di ampia parte dell’opposizione di sinistra.
Ecco, game over. La soluzione non ce l’ha Prodi né altri. Il nostro sistema produttivo presenta ampie fasce di arretratezza e distruzione di produttività che si autoalimentano, con immigrazione di non qualificati ed emigrazione di cervelli. Una sorta di auto-affondamento, in pratica. Resta da capire in che modo il Prodi di luglio 2024 riesca a coordinarsi col Prodi che, a settembre 2023, affermava:
Sul salario minimo ho letto tutti, giuristi, sindacati e faccio un ragionamento molto semplice: se noi non garantiamo sei euro netti all’ora a chi lavora, perché questo sono i 9 euro lordi, siamo un Paese che deve vergognarsi di se stesso. Siamo al di sotto del minimo vitale per una persona che deve vivere.
Forse intende che possiamo permetterci i 9 euro lordi orari ma questo non risolverebbe comunque, per i motivi detti? Oppure che dobbiamo sussidiare i 9 euro in modo che, da lordi, divengano netti? Ma questo lo sta tentando il governo Meloni con la decontribuzione, cioè un “bonus” e un “sussidio”. Che, peraltro, si mette di traverso ai rinnovi contrattuali di quelle fasce di reddito.
Torno a ripetermi: e se, invece, non pensassimo a riformare la contrattazione collettiva, decentrandola a livello aziendale e territoriale, e puntellandola col salario minimo, che in questo quadro avrebbe senso? Questo Prodi non lo suggerirà mai, temo. Meglio una “grande mobilitazione” che sfidare un tabù.
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