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Prepensionamenti: un modo valido per combattere il neoliberismo?

Mentre il sindacato tenta l’ultimo assalto alla crivellata diligenza dei conti pubblici, chiedendo nuovi trenini elettrici a beneficio di pensionandi e pensionati, non poteva mancare a sostegno la voce stentorea del lobbysta dei pensionati, al secolo Cesare Damiano. 

Che ieri è tornato a perorare la causa offrendo una chiave di lettura aggiuntiva, deliziosamente ideologica, di quelle di una volta, come ormai non si leggono più neppure nelle bocciofile di Fiom e circoli intitolati a Michele Bakunin. Perché il momento è cruciale, e tutto aiuta a combattere il pestilenziale liberismo che avvolge la nostra povera penisola.

Ieri Damiano ha quindi dettato alle agenzie, in questa meravigliosa prosa guevarista:

«La falsa contrapposizione tra giovani e anziani è stata creata ad arte da chi ha sempre avuto come obiettivo la distruzione dello Stato sociale e delle tutele. Il Liberismo politico ed economico, che ha elevato il mercato al rango di un dio assoluto, benché morente, cerca di assestare i suoi ultimi colpi di coda. La politica, prevalentemente di Destra [maiuscolo, ndPh.], che ha imposto, nell’ultimo trentennio, l’ideologia della fine della società e del ritorno all’individuo, che ha sostenuto il capitalismo finanziario predatorio e che ha condannato alla precarietà esistenziale e del lavoro intere generazioni di giovani, oggi pretenderebbe di giocare la carta di un ulteriore smantellamento dei diritti, delle pensioni e del welfare in generale. Per raggiungere questo obiettivo la strada più semplice è quella della divisione e dello scontro di interessi tra giovani e anziani» (Ansa, 29 agosto 2017)

Si potrebbe replicare che, se l’Italia si trova in una crisi fiscale esistenziale, la causa risiede anche in decenni di welfare patologico e distorsivo, tale da aiutare chi ha di più e non chi ha di meno, ma sarebbe risposta assai banale e prevedibile, di fronte ad una simile vibrante prosa. Prendiamo atto quindi che, per assestare il colpo di grazia al neoliberismo morente, serve tutto: anche evitare di innalzare di tre mesi, tra due anni, l’età di pensionamento. Le coperture non sono un problema, dopo tutto: basta qualche patrimoniale ben assestata, ovviamente ricorrente, e il gioco è fatto. Lottate anche voi contro il capitalismo disinibito che stupra l’Italia, quindi: agevolate i prepensionamenti! Anche per fare spazio ai “nostri giovani”, nella ricorrente icona rivoluzionaria della staffetta generazionale, che è la coperta di Linus in cui generazioni di sindacalisti e lavoratori logori si avvolgono.

Noi, che siamo notoriamente senza cuore, vorremmo tuttavia segnalarvi un paio di problemi, oltre a quello delle coperture, che per i pensatori dotati di sensibilità sociale non sono mai davvero un problema. Problemi che ostacolano la generosa battaglia antiliberista di Damiano e compagni. Il primo è di natura economico-demografica, ed è stato evidenziato a luglio da quegli sporchi liberisti del Fondo Monetario Internazionale al termine del loro periodico checkup dell’economia italiana. Trovate tutto qui, a pagina 25. Per vostra comodità vi riassumiamo il punto: le assunzioni di crescita economica di lungo termine ipotizzate dal nostro MEF rischiano di essere troppo ottimistiche.

In pratica, il MEF prevede un vero e proprio crollo dell’incidenza su Pil della spesa pensionistica, da qui al 2060, basandosi su ipotesi di “stato stazionario” di lungo periodo che al momento appaiono eroiche. Tra esse, il tasso di disoccupazione al 5,5% e quello di crescita di Pil pro capite e produttività del lavoro di ben 1,75% annuo. Sono numeroni, è bene che lo sappiate, e sono basati soprattutto su un boom demografico oppure (più verosimile) su una massiccia immigrazione strutturale. Il FMI si esercita con altri meno eclatanti numeri (economici, demografici e di eventuali shock negativi di produttività) e scopre che il rapporto pensioni-Pil, oggi al 15%, potrebbe salire di altri 3-5 punti percentuali, all’appuntamento con la famigerata “gobba” pensionistica del 2045. Le ipotesi del MEF, che vedete qui riprodotte, disegnano invece una traiettoria virtuosa di calo dell’incidenza delle pensioni su Pil che immediatamente portano i nostri politici e sindacalisti a farneticare di “tesoretto” previdenziale.

Questo è il problema “macro”, quello della compatibilità finanziaria di lungo termine delle pensioni. Poi c’è il problema “micro”, non meno grave. Ed è la “convergenza di interessi” tra imprese e lavoratori, con i secondi che vogliono andare in pensione prima del previsto e le prime che puntano a liberarsi di quella che spesso è zavorra, non solo in termini di costi ma anche di adattabilità e produttività. La sfida della digitalizzazione e le continue innovazioni di processo da essa indotte richiedono organici aziendali reattivi e preparati, sottoposti a formazione permanente. Del tutto umano e prevedibile ritenere che non tutti i seniores aziendali riusciranno a stare al passo, formazione o meno.

Dopo gli usurati fisici, è assai probabile che avremo gli usurati digitali. Ma è difficile pensare che la risposta possa essere il prepensionamento, perché i costi sarebbero insostenibili. Per questo serve pensare ad una “curva retributiva” per i lavoratori anziani, in cui a minore produttività causata da minore adattabilità alle innovazioni di processo si risponde con retribuzione decrescente. Mostruoso? Inumano? Aberrante? Neoliberista? Non saprei, a me pare realista e descrittivo. Ma, come sappiamo, la realtà ha un noto bias neoliberista, soprattutto in Italia.

In attesa che questi problemi inizino a mordere in modo visibile, possiamo sempre passare il tempo con le richieste di Damiano e compagni, e con la lotta al darwinismo liberista. Pensionamenti o muerte.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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