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Poste, tra rendite e sussidi

Mentre il governo si prepara a “privatizzare” (cioè a vendere) sino al 40% del capitale azionario di Poste Italiane, un articolo di Bloomberg ci ricorda che il nostro paese ha una vera e propria vocazione nel realizzare dismissioni farlocche, ed anche in questo caso c’è evidentemente chi vorrebbe preservare la tradizione. Ma non sarà così semplice.

Il governo è consapevole che, prima di procedere a dismissioni, occore risolvere i nodi dei sussidi di stato a Poste Italiane, anche per evitare l’apertura di un’indagine da parte dell’Antitrust Ue. Attualmente, Poste Italiane riceve dallo stato italiano un sussidio per l’espletamento del servizio universale di recapito. Tale erogazione nel 2012 è stata pari a 350 milioni di euro. Ma nei dati ufficiali non è incluso il trasferimento pubblico a copertura del deficit pensionistico del gruppo. Poiché il diavolo si nasconde nei particolari, è utile sapere che tale deficit è quasi uguale all’utile annuo del gruppo. Nel periodo 2010-2013, l’Italia ha pagato ogni anno 990 milioni di euro per coprire il deficit pensionistico di Poste Italiane. Quel denaro era gestito sino al 2010 da un fondo speciale, Ipost, e poi in una gestione Inps. Nel 2012 Poste Italiane ha dichiarato un utile civilistico di gruppo di 1 miliardo di euro, su 24 miliardi di fatturato.

Come noto, l’a.d. di Poste, Massimo Sarmi, ha da sempre sostenuto che il gruppo andrebbe privatizzato (o meglio parzialmente dismesso) nella sua interezza, e non per singole aziende controllate. Il motivo appare intuibile, come spiega anche il professor Carlo Alberto Carnevale Maffè, docente di strategia aziendale alla SDA Bocconi: la somma delle parti è inferiore all’intero perché nel gruppo vi è una prassi di sussidi incrociati dalla rendita monopolistica a beneficio di singole entità che non resterebbero in piedi da sole.

Attendiamo quindi fiduciosi che il governo proceda a rendere trasparenti i conti del gruppo, e a far emergere le passività a carico della collettività, risolvendole. In subordine, contiamo su un fermo intervento dell’Antitrust europeo, per evitare l’ennesima “privatizzazione” di utili monopolistici, fatta nella fretta di far cassa mantenendo il controllo. Anche per frenare gli entusiasmi che il dominus di Poste Italiane, Raffaele Bonanni, ha già preventivamente manifestato, anche di fronte alla iniziativa così politically correct del governo, di asssegnare ai lavoratori un posto in cda. Sarebbe certamente un passo avanti, rispetto al controllo de facto di Poste Italiane da parte dei sindacati (uno, in particolare). Decisamente, a questo paese la storia non ha mai insegnato alcunché.

A proposito, ma i nostri baldi politici di destra e sinistra, sempre così pronti a denunciare le odiose “rendite finanziarie”, non ritengono sia venuto il momento di martellare sulle rendite monopolistiche che bloccano lo sviluppo di molti mercati in Italia?

 

Foto: Emanuele/Flickr

Questo articolo è stato pubblicato qui

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