• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Mondo > Polpette da macello, passamontagna e calzamaglie nere

Polpette da macello, passamontagna e calzamaglie nere

di Lorenzo Trombetta per SiriaLibano

Nel vortice di eventi apparentemente slegati fra loro, registratisi tra il 30 dicembre 2013 e il 4 gennaio 2014 in Siria, Libano e Iraq, sorgono troppe domande senza risposta chiara. Mi limito a elencare i fatti e le domande relative. Ma prima qualche appunto di riflessione.

Tutto gira intorno a un Deus Ex Machina chiamato Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Isis), che ultimamente sembra avere le mani in pasta in ogni crimine che si verifica dal Mediterraneo alla Mesopotamia.

Le vittime appaiono in modo evidente gli sciiti duodecimani e i cristiani (in particolare modo gli ortodossi, protetti dalla Russia di Vladimir Putin): due comunità dell’Oriente arabo ben viste dalle opinioni pubbliche europee. I carnefici sono identificati con i sunniti estremisti, tradizionalmente mal visti dall’uomo comune europeo.

Questo è abituato a imprecare contro poveri migranti sunniti provenienti dal Nordafrica e a trattare invece con rispetto commercianti, ingegneri e politici sciiti provenienti dall’Oriente arabo e dall’Iran.

I pompieri in grado di spegnere l’incendio qaedista appaiono, oggi più che mai, il regime siriano degli Asad, gli Hezbollah libanesi e il governo iracheno di Nuri al Maliki. Tutti e tre hanno legami strettissimi con l’Iran. La Repubblica islamica è ora descritta dai distratti media europei come guidata da un leader illuminato e sorridente.

In sintesi: “L’Iran e i suoi alleati nella regione non solo non sono minacciosi, ma possono salvare la cara vecchia Europa dalla minaccia del terrorismo islamico. Diamogli dunque una mano: sosteniamo Asad (è un dittatore sì, ma o lui o al Qaida), appoggiamo degli Hezbollah in Siria (sempre jihadisti sono, ma loro – poverini – si difendono), tifiamo per Maliki impegnato a bonificare l’Iraq occidentale”.

Ora i fatti. E qualche domanda.

1) Data alle fiamme una biblioteca della comunità ortodossa a Tripoli, nel nord del Libano (4 gennaio 2013). Si parla di ignoti ma non si esclude la pista religiosa. Secondo fonti di stampa locali, l’attacco è stato compiuto all’indomani della diffusione in città della scoperta nella biblioteca di un volume considerato offensivo nei confronti dell’Islam e di Maometto. I gestori della biblioteca hanno incontrato le autorità musulmane e hanno chiarito la vicenda, ma – affermano i media – nella notte ignoti hanno comunque dato fuoco alla biblioteca. Il Mufti di Tripoli condanna e assicura che il crimine non ha a che fare con l’Islam e che non è diretto contro i cristiani. Sui social network si scatenano però in molti, attribuendo la distruzione della moschea al terrorismo qaedista che minaccia il Libano dalla vicina Siria.

Domande: perché quel volume incriminato è stato scoperto solo adesso? Chi ha interesse a dividere ulteriormente Tripoli, mostrando la città ostile ai cristiani e dominata solo dal fondamentalismo, in un momento in cui sono rimbalzate a Beirut voci di una possibile ”invasione” dell’Isis in Libano contro Hezbollah? 

2) Attentato suicida nella periferia sud di Beirut, roccaforte di Hezbollah (2 gennaio 2013). Secondo la magistratura libanese (4 gennaio) il kamikaze è un giovane di 19 anni di Wadi Khaled, Qutayba Satem. Di lui si ritrovano solo pezzetti di corpo nell’auto. Ma quasi intatto è invece il certificato di identità cartaceo (non la carta di identità plastificata), rinvenuto nell’auto carbonizzata. I genitori del giovane di Hnaider, località nel cuore di una regione a maggioranza sunnita, negano che il figlio possa aver compiuto un simile gesto e ricordano che Qutayba era scomparso dal 28 dicembre. Lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Isis) ha rivendicato (4 gennaio) l’attentato di Beirut ma non ha citato il giovane Qutayba.

Domande: com’è possibile che un ragazzo della remota regione di Wadi Khaled riesca a introdursi con facilità nel cuore della roccaforte di Hezbollah – dove solitamente si viene fermati anche solo se ci si gratta il naso per oltre dieci secondi – a bordo di una Grand Cherokee? Perché l’auto era imbottita con solo 20 chilogrammi di tritolo? Il bilancio è modesto (cinque uccisi) per un attacco che poteva davvero fare una strage visto il luogo e l’orario dell’attentato. Cosa non ha saputo fare il giovane Qutayba? Chi lo ha aiutato? 

3) Il premier iracheno Nuri al Maliki decide, dopo un anno di proteste contro il suo governo da parte di ampi settori della regione occidentale di al Anbar, di dare fuoco alle polveri. La turbolenta regione è confinante con la Siria orientale ed è luogo di campi di addestramento dell’Isis. Maliki ordina (30 dicembre 2013) lo sgombero con la forza del sit-in di manifestanti anti-governativi a Ramadi, capoluogo di al Anbar. Ne seguono scontri di piazza (14 morti tra i manifestanti) che si trasformano in meno di 24 ore in combattimenti tra forze governative e miliziani sunniti sostenuti – guarda un po’ – da miliziani dell’Isis. Per Maliki è una lotta al “terrorismo di al Qaida”. Gli insorti descrivono le forze governative come “milizie di Maliki” o “milizie sciite”. Nel giro di alcuni giorni, la battaglia si concentra a Ramadi e Falluja (2-4 gennaio), quest’ultima a soli 60 km da Baghdad.

Domande: perché proprio adesso Maliki ha sentito l’urgenza di sgomberare con i carri armati il sit-in di Ramadi? Non sapeva che miliziani dell’Isis sarebbero accorsi come api sul miele? 

4) All’indomani dell’uccisione sotto tortura di un esponente di spicco della ribellione siriana del nord della Siria, diverse sigle dell’insurrezione d’orientamento islamico decidono di lanciare una vasta offensiva contro l’Isis nelle regioni di Idlib e Aleppo (2/3 gennaio). Nell’arco di 48 ore quello che fino a ieri veniva descritto come un fronte di sbandati male armati e litigiosi fra loro riesce a costringere alla ritirata da diverse località chiave del nord della Siria gruppi dell’Isis, una piattaforma fino a ieri descritta come la più organizzata e forte sul terreno.

Domande: come mai le brigate islamiche dell’insurrezione siriana lanciano solo ora un’offensiva contro l’Isis? Come mai riescono in pochissimo tempo a strappare ai qaedisti postazioni e località che fino a ieri sembravano inespugnabili? Come mai l’Isis si ritira con così tanta facilità? Quanto lo scenario “iracheno” influisce su quello “siriano”? Per l’Isis è più importante tenere Idlib e Aleppo o conquistare Falluja e Ramadi? Se l’Isis si ritira, cosa ne fa dei suoi numerosi prigionieri tra cui – ricordiamo – c’è Padre Paolo Dall’Oglio

5) Tutti questi miliziani dell’Isis non sono solo stranieri provenienti da ogni angolo del Pianeta. Tra loro ci sono moltissimi siriani, iracheni e libanesi. La maggior parte di loro ha tra i venti e i trent’anni. Sono dunque nati negli anni ’80 e ’90.

Domanda: In che ambienti hanno vissuto? Perché sono cresciuti preferendo l’Isis? Sotto quali regimi sono cresciuti e hanno vissuto? A quali scuole sono andati? Su quali libri di educazione civica hanno studiato? In quali moschee hanno pregato? Chi ha consentito che intere generazioni di questi giovani siano oggi semplici polpette da macello con passamontagna e calzamaglie neri? È solo colpa loro?

 

Foto: Siria Freedom/Flickr

Questo articolo è stato pubblicato qui

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox


Pubblicità




Pubblicità



Palmares

Pubblicità