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Politiche industriali non leggi per evitare la vendita di aziende italiane

Nel corso del forum di Cernobbio, organizzato dalla Confcommercio, il ministro dell’Economia Tremonti è di nuovo intervenuto a proposito della necessità che il governo impedisca o, quanto meno, ostacoli l’effettuazione di investimenti stranieri che non portino un beneficio al nostro paese, determinando l’acquisizione di aziende ritenute di importanza tale da giustificare il mantenimento della proprietà italiana.

Tremonti ha avviato la discussione su questo tema dopo che il gruppo francese Lactalis ha concretamente espresso il suo tentativo di ottenere la proprietà della Parmalat. Tale tentativo viene dopo altre “manifestazioni d’interesse” da parte di aziende francesi nei confronti di società italiane, ad esempio l’Edison. A Cernobbio Tremonti ha dichiarato che intende studiare “una legge canadese che - ha spiegato - mi han detto che fu applicata contro l'Eni”. Altri sono intervenuti sullo stesso tema. Il ministro dello Sviluppo economico, Paolo Romani, ha insistito sulla necessità “di fare qualcosa” perché “troppe aziende italiane sono sotto pressione di aziende francesi, e in Francia c'è una normativa che difende le loro aziende”. È “doveroso per il sistema produttivo italiano – ha rilevato il ministro del Welfare Maurizio Sacconi - proporre ipotesi sul futuro di Parmalat che consolidino e sviluppino questa capacità nazionale”.

Intervenendo a Modena alla commemorazione di Marco Biagi, Sacconi ha anche aggiunto che il Governo chiede, in questa situazione, al mondo economico francese anche “regole di reciprocità: in Europa non sempre vengono applicate, e una buona volta penso sia giusto pretenderle”. “Reciprocità sì, protezionismo no”. È la posizione espressa dal vicesegretario del Pd, Enrico Letta, che ha sottolineato come “non serve solo un decreto difensivo ma ci vuole anche una politica industriale che è mancata”. A suo avviso “la vicenda Parmalat è figlia di una politica industriale sbagliata”. “L'obiettivo è allineare la normativa che viene applicata in Francia e in Italia. È una riflessione legittima”. È, invece, l'opinione del presidente della Pirelli, Marco Tronchetti Provera. “Credo sia corretto - ha osservato - un rapporto bilanciato con altre aree del mondo e gli altri Paesi per garantire un' applicazione omogenea”. Il commissario all'Industria dell’Unione europea, Antonio Tajani, ha evidenziato che a livello nazionale “si possono fare norme, purché compatibili con le norme comunitarie sul mercato interno”.

Sulla questione è intervenuto anche il consigliere delegato di Intesa SanPaolo, Corrado Passera, partendo proprio dal caso Parmalat. “Aver sollevato il tema della reciprocità - ha sostenuto - è molto importante, perchè in taluni casi l'Italia è molto aperta, e altri Paesi lo sono molto meno nell'apertura dei mercati”. Secondo il banchiere, poi, oltre a mantenere in Italia il patrimonio industriale italiano, che nel caso del gruppo Parmalat “coinvolge anche l'agricoltura, la trasformazione e la distribuzione”, bisogna anche “favorire le operazioni fatte dall'Italia sui mercati”.

A me sembra che sbaglino coloro che hanno proposto di approvare decreti o leggi, cioè soluzioni giuridiche a problemi che non sono giuridici. A parte che nuove norme approvate in Italia devono essere compatibili con le norme comunitarie, come ha rilevato Tajani, e tale compatibilità non mi sembra facile da conseguire, in realtà se determinate aziende italiane diventano facilmente “preda” di gruppi stranieri dipende, in primo luogo, dalla debolezza del sistema produttivo italiano, almeno in certi comparti. Un esempio è proprio la Parmalat: se ci fossero state in precedenza, non solo adesso quando si è manifestato concretamente il “pericolo” che passasse in mani straniere, società italiane realmente disponibili ad acquisire questo gruppo alimentare difficilmente società straniere avrebbero tentato di acquisirlo. Ma poche sono le aziende italiane del settore le cui condizioni economiche e finanziarie consentono loro di assumere la proprietà di Parmalat. E ciò si verifica anche in altri settori economici. Non molte sono le aziende italiane di medie e grandi dimensioni in grado di competere con società estere quando altre aziende si trovano nella situazione di potere essere vendute. E’ noto che in Italia il tessuto produttivo è contraddistinto dalla presenza (eccessiva?) di piccole imprese e tale caratteristica del sistema produttivo italiano è alla base delle difficoltà rilevate. E, questo, è un problema economico, non giuridico, e va risolto, anche e soprattutto, con interventi di politica economica. Di qui le giuste valutazioni di quanti rilevano che, alla fine, la facile acquisizione di aziende italiane da parte di gruppi stranieri dipende principalmente dalla vera e propria mancanza di una politica industriale che sia anche contraddistinta dal perseguimento dell’obiettivo di una crescita dimensionale delle imprese italiane. Di questo si dovrebbero occupare soprattutto i ministri economici del nostro governo, piuttosto che ipotizzare “scorciatoie” giuridiche, peraltro di difficile realizzabilità.

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