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Piagnistei del Sud e direzioni di partito

In vista della direzione del PD del 7 agosto, il premier ha avvertito: "Sul Sud basta piagnistei: rimbocchiamoci le maniche. L'Italia, lo dicono i dati, è ripartita. E' vero che il Sud cresce di meno e sicuramente il governo deve fare di più ma basta piangersi addosso". Il ministro dello Sviluppo economico, Federica Guidi, ha rilanciato: "serve un piano da almeno 70, 80 miliardi di euro sulle nuove infrastrutture. Una cifra poderosa, il fulcro di un modello di rilancio".

I piagnistei del Sud

Le anticipazioni sui principali andamenti economici dal rapporto SVIMEZ sull’economia del Mezzogiorno, diffusi il 30 luglio, evidenziano la peggiore crisi economica del dopoguerra.

Nel Mezzogiorno d’Italia nel 2014 il Prodotto interno lordo è calato dell’1,3%, (del -0,4% nel Centro-Nord). Nello stesso periodo 2007-14 sono calate tanto la domanda estera, quanto quella interna. Sono diminuiti in misura significativa i consumi delle famiglie (-13,2%) ed i consumi pubblici. Si è fortemente contratta la spesa per gli investimenti (-38,1%). Il solo comparto dell’industria manifatturiera dal 2007 ha perso un terzo del suo prodotto (-33,1%). I servizi hanno fatto registrare un calo uguale (-33,1%). Quanto all’agricoltura, è stata colpita in misura addirittura maggiore (-38,1% a fronte di un -10,8% del Centro-Nord). E le ragioni di questa débacle non sono solo congiunturali, ma strutturali, per le modeste dimensioni delle aziende agricole e per l’invecchiamento progressivo dei conduttori.

Ma i dati più drammatici riguardano l’occupazione. Dal 2008 è calata del 9% (-1,4% Centro-Nord). Al Sud si è concentrato il 70% delle perdite occupazionali (576 mila su 811mila unità lavorative perse). In misura esponenziale è aumentata quella giovanile (-31,9% a fronte del 26% del Centro-Nord). Nel 2014 il tasso di disoccupazione giovanile a livello nazionale è salito al 43%, ma nel Mezzogiorno ha superato il 56%.

Non trovano lavoro tanto i diplomati, quanto i laureati. Rispettivamente, solo il 24,7% e il 31,9% di essi lo trova a tre anni dal conseguimento del titolo. Ed è un dato che non ha riscontro in Europa, nemmeno nelle economie in forte difficoltà della Spagna e della Grecia, dove il tasso di occupazione giovanile è al 65% e al 44%. Superiori a tutti gli altri paesi europei sono in Italia, ed in particolare nel Mezzogiorno, i giovani scoraggiati che non lavorano né si formano in vista di un possibile impiego.

Il fatto è che la carenza di opportunità di lavoro nel Mezzogiorno è strutturale, endemica, frutto di un’emergenza troppo a lungo rimandata e di carenza di strategie e politiche di sviluppo. Rotto negli anni ’60 l’ancestrale equilibrio economico-sociale fatto di miseria e fatica, non se ne è mai instaurato un altro fondato su basi più solide e moderne. Il Mezzogiorno continua a conoscere disoccupazione e sottoccupazione, malgrado la deprivazione demografica che la perdurante emigrazione ha indotto in gran parte del suo territorio. E proprio l’emigrazione, da sempre valvola di sfogo per i giovani meridionali, ha ripreso consistenza in questi anni di crisi. Tra il 2001 e il 2014 il saldo migratorio netto dal Sud verso il Centro-Nord è stato di 744 mila unità, il 70%, delle quali (526 mila) sono giovani formati e qualificati andati ad arricchire con la loro competenza altri tessuti economici e sociali.

Ma il fatto assolutamente nuovo è che si contraggono, a differenza che nel passato, le nascite. Siamo al più basso numero dall’Unità (174mila)! Cosicché il Sud invecchia e la sua popolazione, specie sulla fascia appenninica che ne costituisce l’ossatura naturale, va assumendo sempre più i caratteri di residualità. Sui piccoli paesi abbarbicati sulle montagne dell’interno restano ormai solo gli anziani a scrutare l’orizzonte e a raccontare di vecchie storie e di disattese speranze. 

Nuova vecchia politica per il Sud

Con il suo linguaggio agevole e diretto il premier ha sentenziato: basta piagnistei sul Sud! Ma quell’affermazione appare più di bandiera che di sostanza, figlia com’è di un pragmatismo tanto leggero quanto inconsistente, ammiccante in direzione di un improbabile consenso.

Per il passato sono piovuti sotto forma di appalti pubblici, sono serviti più spesso ad alimentare le mafie, che una crescita reale dell’economia e della società. Laddove il problema più grosso era l’assenza dello Stato, non si è fatto altro che ingrassare le clientele e, all’ombra di queste, la corruzione ed i favoritismi. Alla società civile si sono concesse le briciole sotto forma di un assistenzialismo paternalistico, che è servito a veicolare consensi in un gioco al massacro per la democrazia.

Oggi, a fronte della più grave crisi economica dal dopoguerra, il Mezzogiorno si presenta come un paese senza risorse e senza speranze. Paga, in misura maggiore rispetto alle altre regioni, la politica di contenimento della spesa pubblica con i minori investimenti e la conseguente contrazione dei consumi e dei trasferimenti. Vede il suo potenziale produttivo fortemente depauperato, se non compromesso, in tutti i suoi comparti.

Ma le politiche del governo non solo non incidono su quei concentrati di interessi e poteri locali, che hanno alimentato ed alimentano il sottosviluppo economico, sociale e civile del Mezzogiorno, ma da quelli ricerca sostegno e forza in termini politici. “Nel Sud Italia, il partito renziano è pieno di emiri, ovvero di capi delle clientele – ha dichiarato Eugenio Scalfari in un’intervista a SkyTg24 il 29 giugno. Non parli di mafiosi, ma di lobby. Sono loro che dicono a Renzi: ‘Vuoi che ti deleghi il potere? Per me va bene, ma qui sappi che decido io le cose che mi interessano’. Sugli interessi particolari di questi poteri, Renzi sa di non avere alcuna voce in capitolo. Questo è l’accordo”. Il caso De Luca, “ineleggibile” eletto in Campania, ne è solo il più macroscopico esempio.

E’, pertanto, significativo che a fronte di una crisi così profonda si assuma di intervenire in una direzione di partito (quella convocata per il 7 agosto), preannunciando per bocca del ministro dello sviluppo economico interventi a pioggia “sulle nuove infrastrutture”. Ed è ancora più significativo che a fare simili affermazioni siano brillanti giovanotti divenuti premier o ministri, non per concorso o per investitura popolare, ma sotto la spinta di primarie di partito o della simpatia di poteri più o meno forti.

In realtà, colui che si era presentato come un innovatore, che avrebbe cambiato il sistema politico, rottamando la vecchia classe dirigente, non è, per il Mezzogiorno, che un patetico presidente del Consiglio, non diverso da quelli che lo hanno preceduto.

 

Un disordine morale da vincere

Nel Sud si evidenzia, in definitiva, un profondo e radicato disordine. Non c’è solo, infatti, una gestione viziosa della cosa pubblica, in quanto si è mirato, e si mira, a perseguire il vantaggio proprio o del proprio gruppo a scapito di quello della collettività. Non c’è solo una mentalità che spesso eleva la furbizia a virtù e che porta a perseguire un tornaconto facile e immediato, in deroga ad ogni rispetto e scrupolo. C’è più in profondità un individualismo irretito nel proprio cupo egoismo. E tanti individualismi non fanno un popolo.

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